Friday, December 31, 2010

Con il fiato sospeso

Cosi' attendo la fine di quest'anno, pur comprendendone la stupidita'. Perche' dopo la fatidica mezzanotte, sara' un giorno come un altro, un'alba come un'altra.
Saranno ore e giorni.
Ma sara' speranza. Quella che ci permettiamo e consentiamo quando un anno ci ha fatto del male e aggiunto rughe.
Me lo ricordo a scuola, ci facevano disegnare l'anno che andava via come un vecchio e quello che arrivava come un bambino. A me il vecchio faceva sempre tanta tenerezza e non volevo che andasse via. Questo mi dice che, forse, ho sempre amato la mia vita. E i miei giorni e le miei ore.
Per questo forse, in silenzio, tante volte, sgusciavo via dalla stanza "delle feste" e mi chiudevo nel bagno di mia nonna, aprivo la finestra e guardavo il cielo con le lacrime agli occhi immaginando quel vecchino scacciato via con tanta allegria.
Ho sempre ma dico sempre detestato il capodanno almeno tanto quanto amo il Natale. Come Carnevale. Mi mette una maliconia infinita. Con quell'obbligo a divertirsi e ad essere allegri.
Questa sera lavoro. Facendo il lavoro che piu' detesto al mondo. O fra quelli che piu' detesto. Pago il mio ultimo (spero) prezzo per una notte che deve volare via e non lasciare traccia nei miei occhi.
Per una volta il vecchino non mi fa tristezza perche' non mi appare tale. Quest'anno lo vedo come un politico di mezza eta' che ti ha promesso e tolto ridendoti in faccia e andandosene in qualche bel posto caldo a festeggiare.
E' iniziato male e subito.
Quest'avido uomo di mezza eta' in doppiopetto, si potrebbe avere la faccia di Berlusconi, ma per una volta non e' di politica che parlo, mi ha bastonato nelle gambe, piegato e riso in faccia guardando le mie lacrime.
Mi ha portato via l'amore di un uomo che mi dedicava sonetti di Shakespeare e sorrisi.
Mi ha portato via amici che sono andati troppo lontano persino per il ricordo
Mi ha portato via un pezzo di cuore, con un morso avido, portandosi via Pierpaolo.
Mi ha portato via una casa che amavo, nonostante tutto.
Mi ha portato via, spesso, la capicita' di guardare in faccia le mie paure senza paura.

E per una volta non voglio bilanciare tutto cio' con il buono che ho. Perche' ce l'ho. Perche' sono una guerriera indomita che si rialza anche se gia' vede il braccio armato di bastone pronto a colpire ancora. Sono una guerriera.
Ma questa volta non ho perdono, ne' comprensione.

Non meritavo tanto dolore. E con me non lo meritavano tanti altri che in queste parole si riconoscono.

Ma come ho gia detto una volta, la vita non ti da' cio' che meriti. La vita vive e a volte ti arriva una mano di carte che fa schifo e tu devi restare a giocare anche se sai che perderai tutto. Se ti siedi a giocare al tavolo della vita e non resti in disparte a guardare, allora giochi e rischi.

Questa notte scivolera' via come altre. E mi sentiro' piu' libera. Perche' quello stronzo col doppiopetto e' andato via. Quello che arriva puo' essere meglio o peggio ma intatnto sara' diverso.

La mia amica Ginny mi ha chiesto qual'e' il mio proposito per il nuovo anno. Le ho detto "diventare sempre piu' newyorchese, provando a lamentarmi sempre meno". Ecco, questo e' uno dei piu' grandi insegnamenti che mi ha dato questa citta': l'inutilita' del lamento.
QUindi se vi sembra che iomi lamenti, vi sbagliate. Io mi ribello. Io piango e urlo e mi ribello ancora. Ma non mi lamento.
Perche' anche a terra, con le ginocchia spezzate e un dolore fitto che ti fracassa lo stomaco, io mi ribello e non mi arrendo.
E allora che passi presto questa notte
Che passi tranquilla e si porti via, con tutto il resto, un po' dei miei lamenti e mi lasci, piu' forte, la capacita' di incazzarmi insieme a quella di ridere e gioire.

Thursday, December 23, 2010

Buon Natale

John, il mio vicino di casa, stamattina ha bussato alla mia porta per invitarmi a pranzo... ci siamo incontrati poche volte ma e' molto simpatico... in serata cena con Donna, suo figlio Charlie, sua cognata Annie, altri amici.
Intorno New York e' come la immaginate, come il solito film che non vi stancate mai di rivedere, con la musica e le luci e la voglia di vederlo quel diavolo di Santa Claus fare un miracolo alla 34m strada, magari tutto per me, tradotto in qualche paio di scarpe di Manolo.
Sotto l'albero sono aumentati i regali, i biglietti di auguri.... senza nemmeno accorgermene... in fondo, e' vero, non sono sola, anche se la tentazione a sentirsi tale in questi gironi e' un macigno troppo pesante da sorreggere.
Per me Natale e' famiglia e cibo, in ordine sparso, con il mondo fuori a fare cio' che gli piace e noi dentro a stringerci sotto un plaid. Natale non e' Natale a New York. Quello e' un film e pure di pessimo livello,
Eppure sono qui, in questa che non e' LA New York di quel film ma e' casa mia, quella che ho scelto e che mi ha accolto. E una casa, se "vuota" e' triste anche se e' l'isola piu' bella del mondo.
Eppure non sono sola. Me lo ripeto, non per consolarmi ma per prendere atto, come mi hanno insegnato nelle mie 'meditazioni" a prendere atto di cio' che ho realizzato e non solo di cio' che ho fallito.
Tre anni fa mi e' capitato di nuovo di essere qui a Natale. Un incubo. Sola di quell'essere soli che persino Dorothy mi voleva adottare.
Questa volta ho un invito da amici per la Vigilia e uno per Natale. Santo Stefano non si festeggia, magari saro' io a invitare gli altri.
E poi penso che devo scrivere degli auguri e che se inizio ora finiro' a Capodanno... del 2012... perche' sono tante le persone alle quali vorrei in modo speciale, pieno d'amore, di riconoscenza, di amicizia e di infinita graditudine, augurare Buon Natale.
E mi accorgo anche che non ho parole speciali. Non quelle che vorrei per quanto sono speciali per me. Per tutte le volte che, forse senza nemmeno saperlo, mi afferrano le mani mentre sto per precipitare da una finestra.
Non ci sono parole per l'amore e la gratitudine. Solo i nomi, con i tanti che mi sfuggiranno perche' la mente e il cuore fanno brutti scherzi quando li metti al lavoro insieme.
Ma ci provo.
Mimma Centanni, Marzia Roefaro, Suorliana Petrizzo, Tina Mongelli, Antonella D'Agostino, Rosanna Ferrara, Lina Staffa, Erica Salerno, Leonardo Sileo, Licia Ct, Francesco Bassini e Sarah Galmuzzi, Giusi Prato, Bruno De Stefano, Simona D'Albora, Alessia Schisano, Renata Giordano, Roberto Vitaliano, Nicle Savino, Tatiana Capuano, Rosy Ros, Annarita Del Giudice, Maria Grazia Biggiero, Marco Taglialatela, Veronica Molese, Antonietta Mazzini, Francesca Spataro, Alberico Giordano, Genoveffa Roma, Giuseppe Argiuolo, Francesco Peluso, Claudia Grimandi, Carla Napoli, Teresa Pinto, Anna Trieste, Debora Ghetti, Simona Romano, Simona Natale, Antonella Marciano, Veronica Paddeo, Eleonora Amore, Ivana Aveta, Iole Torre, Adelaide e Marina Auriemma, Mauro di Pi, Alessandra Del Prete, Shanti Alessandra del Vecchio, Anna D'alessandro, Edvige Nastri, Ele Ferraro, Raffaella Fortunato, Paola Forcellati
E lo so, lo so che tornero' ad aggiungere altri... perche' ci siete... solo ora sfuggite fra i tasti ;)

Buon Natale a tutti voi. Con amore.

Wednesday, November 24, 2010

La MIA lista

In tempi in cui le "liste" vanno di moda anche io, soprattutto perche' domani si festeggia il giorno del Ringraziamento, faccio la MIA lista di cose per le quali sono grata. Perche' quello che ci rende infelici ce lo portiamo appresso ogni istante e quindi, per oggi, ne facciamo a meno.

1) sono grata per essere viva
2) sono grata per mia madre e mio padre e per cio' che mi hanno insegnato
3) sono grata per mio fratello Roberto, Nicle mia amica e cognata, Serena e Cristian, lo splendore assoluto
4) sono grata per Dorothy: chi non si e' mai "lasciato amare" da un cane sa poco di occhi che parlano
5) sono grata per tutta la mia "enorme" famiglia fatta di zii, zie, cugini, cugine, acquisiti, adottati, ipotetici. Per quelli che non ci sono piu' ma che sono in ogni battito del mio cuore
6) sono grata per aver avuto il coraggio, quasi 4 anni fa, di sorvolare l'oceano delle mie paure e venire a New York e sono grata per essere ancora qui
7) sono grata per ogni amico e amica qui a New York che mi ha teso una mano, mi ha sfamato, mi ha aiutato, mia ha abbracciato e mi ha incoraggiato. Senza di loro sarei smarria
8) sono grata per Facebook, le mail, l'Ipad, l'Iphone, Skype e tutte "quelle cose dei diavoli" che mi permettono di stare in contatto con le persone che amo e anche per averne trovate di piu' (si' anche tu Bassini ;) e tutte le persone che ho conosciuto grazie a te)
9) sono grata per non essermi mai sentita umiliata nemmeno nel fare il lavoro piu' umile se questo mi aiuta a sopravvivere
10) sono grata per chi mi da' la possibilita' di vedere il mio nome stampato su un giornale e far sentire orgogliosi di me i miei genitori.
11) sono grata per i sorrisi che ricevo e per quelli che so restituire
12) sono grata per non avere rimpianti
13) sono grata per saper essere grata
14) sono grata per i sogni che ho
15) sono grata a te che hai letto fin qui.

Monday, November 15, 2010

da grande sposero' Simon Le Bon

Questo era il sogno delle ragazzine "ai miei tempi"...
Oggi il sogno e' "da grande faro' la escort, nemmeno la mignotta in senso vero perche' costa fatica stare sul marciapiedi"

Vabbe' i tempi cambiano e tutto si evolve e ad essere troppo critici, come sempre, si corre il rischio di essere accusati di
- essere invidiosi
- essere catto comuninisti
- essere bacchettoni

Pero' io queste escort non le sopporto perche':
- mi fanno sentire vecchia nel dire "ai tempi miei"
- in perfetto stile italiano, non fanno gavetta, nemmeno un po' di marciapiedi prima... non va, cosi' non va
- si vestono in maniera "normale" (quasi sempre): una mignotta (di mestiere) deve avere la sua "uniforme" come ogni altro lavoratore che si rispetti.... altrimenti si fa confusione
- non conoscono Filumena Marturano ma nemmeno Mme Bovary: si limitano a "letteratura di seconda mano"
- non sanno cio' che vogliono: "voglio essere una soubrette", "io un avvocato" "io una ministra", "io anche una mamma e una sposa felice" - eh no care mie... una mignotta fa il suo lavoro con onesta' e professionalita' e fa quello per anni prima di passare ad altro

Insomma, ho deciso che per me queste escort (e non penso solo a quelle di Berlusconi ma a tante, tante , tante altre, targate PD e con la falce e il martello nella borsa di Luis Vuitton) non sono mignotte perche' non si meritano il titolo. Queste sono solo delle poveracce che hanno delegato la propria vita a dei "finti magnaccia" che a loro volta si credono assessori, presidenti del consiglio, produttori ecc ecc e che, fuori da quel loro ruolo di potere, valgono meno di uno che non vale niente.

Massimo rispetto dunque alle "lavoratrici del marciapiedi" vere. Quelle che "lavorano" sodo e senza tanta allegria.
Queste altre qui, per favore, chiamiamole semplicemente, come dicono qui, delle Barbie doll: plastica che inquina praticamente.

Thursday, November 11, 2010

La finestra di fronte

E poi il silenzio svanisce e la parola torna a materializzarsi come respiro.
Scrivere per me e' testimonianza di vita, la mia, in quanto "essere viva". Solo il senso di disperazione assoluta mi toglie le parole, come il respiro. In quei momenti sopravvivo stancamente, trasportata dalla stanchezza e persa nel buio delle mie paure che conosco bene ma, a volte, senza apparente ragione, mi appaiono troppo estranee.

Da sempre amo guardare le finestre dei palazzi, le loro luci, le ombre, un profilo di mobili che ti racconta una casa, una famiglia, una cena o un prepararsi veloce per il lavoro.

A New York, le finestre di fronte, sono la mia ancora quando la solitudine sembra grattare anche l'ultimo pezzo di carne attaccato alle ossa per lasciarmi completamete incapace di stare in piedi.

Cammino con il viso verso l'alto, a guardare il cielo e le stelle, alla ricerca di chi mi sta guidando e al quale chiedo di tenermi li', salda su quel marciapiedi, perche' sto ancora provando strenuamente a cercare la mia felicita' e che la merito e che, a parte quella stanchezza che rende pesanti anche le lacrime che raschiano la pelle del viso come lamette, non voglio arrendermi. No e poi no.

Guardo in quelle finestre. E vorrei, lieve come il sogno di un bambino in una piccola culla di legno, entrare fra quelle mura e sedermi su quei divani e a quelle tavole per sentirmi parte di quella famiglia che spesso mi manca e che e' tremendamente lontana.
Ma mi piace anche guardare per immaginare altre vite e tristezze e felicita' e sapere che anche se non sono davvero seduta li', non sono sola. Perche' finche' riusciro' a trovare in me la voglia di guardare a quella finestra di fronte come segno del mio amore infinito per la vita, fosse anche quella degli altri, non mi perdero', travolta dall'inutilita' di uno sguardo perpetuamente rivolto a se' stessi, alle proprie miserie o alle proprie felicita'.

Saturday, October 23, 2010

Dillo alla luna

Ho imparato a guardare in alto, verso il cielo.
Per questo forse mi piace New York. Con tutte quelle vette che si stagliano verso il cielo, sei spinto a guardare ancora piu' su. Ancora e senza paura. Ignaro di quel cuore in gola e del fiato corto. Piu' su.

Guardando su impari anche a non essere invischiato dalla miseria umana. Non quella economica ovviamente. Quelle di miserie umane di gente piccola e meschina, abituata a rasentare i muri con la sguardo basso, come don abbondio, come i topi. Almeno i topi, che mi fanno orrore, sono creati cosi' dalla natura, gli uomini/topi avrebbero tante scelte, potrebbero guardare al cielo e invece scelgono di sporcarsi lo sguardo con lo sporco della strada.

Mi sono svegliata stamattina con la certezza che avrei trovato la peggiore conferma alle mie preoccupazioni. Ho un sesto senso per quello.

Per assurdo mi sento quasi liberata. Odio essere nel limbo di chi non sa. E sapere, sebbene doloroso, ti permette di elaborare un lutto e ripartire da qualche altra parte. Ancora e sempre guardando il cielo.

Liberata dalla meschinita'. Ho vissuto una vita per essere libera dalla miseria umana. per non esserne toccata dopo che per anni mi ci ero dovuta sporcare le mani, con portaborse, leccaculo e pettorute bamboline di ogni genere.

Si sceglie sempre nella vita. Anche quando si sceglie di non scegliere. Di non diventare uomini con il rispetto che si deve a questa parola.

E se ho lacrime sono di rabbia e non di dolore. Una rabbia acuta.

Ma la rabbia, piu' del dolore vero che non passa mai, passa e si stempera e dilegua nel corso del tempo.

Ora vado al parco. Il cielo e' terso e il sole alto e fa freddo e mi piace. Dorothy al mio fianco come sempre, indifferente al fatto di cio' che io faccio per vivere. A lei basta che io sia viva.

A dire il vero, basta anche a me. Perche' io vado al parco e continuo a guardare il cielo, appena velato dalle lacrime che per ora (solo per ora) non riesco a fermare.

Qualcuno si svegliera' tronfio di orgoglio, nemmeno toccato dalla vergogna di essere costretto per tutta la vita a camminare rasente il muro, nelle ombre e senza mai guardare il cielo.

Monday, October 11, 2010

sono qui per l'amore

Seduta nel silenzio della mia mente, mentre i rumori d'intorno sfioriscono come una rosa appassita.
Poi quelle note... Imagine... John che canta la sua visione di un mondo di pace
Pace anche dentro di noi.

Guardo fuori dal vetro e vedo Harlem, il mio nuovo quartiere, cosi diverso eppure gia' cosi' caro e familiare alla mia pelle e al mio sguardo.

Ho un peso nel cuore. Qualcuno ha rubato un pezzo del mio sogno. No, anzi, qualcuno ci ha solo sputato sopra, senza riguardo.
Ma il sogno e' li'... intatto.

Sono a New York, dove volevo essere. E scrivo. Qui in questo spazio che nessuno mi puo' togliere o dare perche' e' mio e vostro che avete voglia e cuore di leggermi.

Quel coltello piantato nella schiena quasi non fa gia' piu' male. Dovrei imparare a guardarmi sempre le spalle. Ma che vita sarebbe, camminare con lo sguardo basso o rivolto indietro.

Chi mi ha ferito non mi ha mai guardato dritto in faccia. Negli occhi. Occhi che si affrontano come lame. Ci vuole coraggio. piu' facile affondare un coltello alle spalle mentre si e' distratti da una contingenza che si chiama vita.

Ma la lama, ben affondata, quasi non fa piu' male e non c'e' sangue. Camminero' cosi' per un po'. Con una lama nella schiena ma non meno viva. Non meno vitale.

Sguardo fiero. Occhi che si affrontano come lame: di quelle nobili in cui persino quella che cade a terra perdente, non e' mai veramente sconfitta.

Non capisco di coltelli che si affondano nella schiena. Non mi appartengono.

Friday, October 8, 2010

Lorenzo

Lorenzo mi ha scritto per chiedermi se le cose andavano proprio cosi' male. Un amico vero sa che quando io sto zitta e' perche' sto male di brutto.

Questa volta, con un sorriso, liberandomi un po' dall'alone pseudo tragico in cui mi piace a volte avvolgermi, non si tratta di quello. Di mezzo c'e' (solo) un trasloco, l'ennesimo e una disavventura con Internet che, nella citta' piu' cablata al mondo, non ho e non avro' per un'altra settimana. Di mezzo ci sono stati scatoli, confusione e assenza di un minimo di tranquillita' per digitare qualcosa. Anzi di forza.

Ma sono qui.

Vi ascolto ;)

Dalla mia finestra guardo Harlem e mi piace. E' un nuovo inizio.

Per le scale, trasportando scatoli, come sempre, ho perso cose e persone e ne ho trovate altre. Quelle perse non le cito, perche' sono gia' dimenticate. Ma ho trovato le borse di Ikea che non trovavo da mesi, il mio piccolo Ipod shuffle, rossetti e trucchi vari sepolti da qualche parte, i ferri per la maglia, Andrea, il capitanomiocapitano che si e' fatto un mazzo tanto ad aiutarmi nel trasloco, il barettos otto casa, dal quale scrivo, dove mi sento gia' come fossi qui da sempre e dove gia' mi salutano come se la mia vita non fosse stata altrove che qui.

la mia vita non e' nulla di piu' semplice o difficile ora. E' ancora un progetto di un sogno e duro lavoro per portarlo avanti. A volte con sudore e lacrime. Spesso con sorrisi.

Io ci sono. Lo dico a me. lo dico a Lorenzo e a voi se puo' interessare.

Ci sono, e non mi arrendo


E sono ad Harlem, la mia nuova New York, la mia nuova casa, il mio nuovo rifugio.

Thursday, September 30, 2010

Traslocando

Ho svuotato case e riempito scatoli
tante volte
forse troppe
e non ancora abbastanza
All'improvviso la tua vita ti si presenta sotto gli occhi
uscendo da un cassetto
dove era finita in un angolo
dimenticata

Eccoci qui
Dorothy ed io ancora
e i nostri inseparabili scatoli

Zingare in cerca della felicita'

Questa e' gia' la nostra felicita'
cercarla...
instancabilmente

Thursday, September 23, 2010

io ho imparato

rompo il silenzio
brevemente
rapidamente
stancamente
ma con mente positiva e meno capelli a contorno

in una settiman saro' in una nuova casa? dove? non so ma lo sapro'
ho imparato che posso resistere alla paura, guardarla in faccia e dirle, "tanto io non ho paura di te"

ho imparato che in un minuto tutto puo' cambiare, nel male ma anche spesso nel bene

ho imparato che bisogna avere l'umilta' di chiedere aiuto, la capacita' di dire grazie e la forza di conservare un sorriso

ho imparato che ci si puo' far vedere contriti nel dolore senza essere per questo calpestati

ho imparato che niente e' gratis e niente e' giusto in automatico ma poi qualcosa di giusto accade

ho imparato che una buona notizia che aspettavi da una vita, quando arriva, ti cancella decine e decine di momenti cupi e disperati

ho imparato che un divano di un'amica di ottant'anni puo' essere il porto piu' sicuro nella notte di tempesta

ho imparato che amo la mia vita e non credo che si mettera' a posto perche' "lo merito" ma perche' mi faccio un mazzo tanto perche' sia cosi

e ho imarato che ho una voce, scritta, ma che altri ascoltano e che mi fa essere sempre, in ogni istante della mia vita, meno sola.

Thursday, September 9, 2010

questa e' la mia casa...

Sono tornata

Con la malinconia che sottintende ogni saluto e quella vogli di lasciare i mille pezzi che compongono la mia anima, ciascuno a vivere in un posto diverso, con le diverse persone che amo. E, invece, bisogna metterli insieme quei mille piccoli pezzi e portarli da un lato all'altro dell'oceano come quelle scatolette di tonno che mi porto per ricordarmi casa.
Buffo. Il tonno non lo mangiavo quasi mai in Italia, ora se non ne ho qualche confezione in cucina mi sento persa.

Questa volta e' stata un po' piu' dura. Sara' l'eta'. Sara' che avevo ancora da sciogliere un po' di emozioni nascoste qui e li' per non farmi arrossire troppo e non ombrare la mia scorza da dura, sara' perche' non avevo mangiato abbastanza pomodori, abbracciato troppo mia madre e mio padre, respirato abbastanza il mare e essermi lasciata trafiggere gli occhi dall'azzuro.

Sara' per tutto e per niente ma i primi giorni mi sono isolata sulla terrazza di Giovanna, con Dorothy, stesa al sole a continuare a non pensare a niente. Sebbene quel niente avesse il peso di te che non ci sei piu', della casa da trovare, un altro trasloco, i soldi che mancano, il lavoro da trovare e il giornale che mi strapazza il cuore. E altri piccoli soliti fastidi.

Chissa' perche', pero', quando sono stesa al sole, con gli occhi socchiusi e quel caldo che mi abbraccia, anche il pensiero piu' faticoso diventa una piuma leggera sul mio cuore e mi sembra possibile affrontare tutto, vincere tutto.

Per qualche giorno ho aperto gli occhi desiderando con tutta me stessa di svegliarmi nella mia stanza e, scalza, camminare in cucina dove mamma mi aspettava per mettere su la caffettiera... e fare qualche chiacchiera, nel silenzio d'intorno.

Poi ieri, in un'ora troppo giovane anche per una citta' che non dorme mai, sono uscita nella rada pioggia del mattino e, Jo, il venditore di giornali all'angolo, che ogni mattina siede sulla sua sediolina, con il suo banchetto, dalle 6 alle 10 a vendere giornali, mi ha sorriso e mi ha detto "bentornata, com'e' stata la tua vacanza?" E ci siamo scambiati quel gesto dei "neri" con i due pugni chiusi che si incontrano.

E ho sentito di essere tornata a casa. Non meno ne' piu' casa di quell'altra. Solo un'altra casa. e all'improvviso mi e' sembrato di essere fortunata ad avere piu' di una casa in cui tornare, sapendo sempre che ci saranno braccia ad abbracciarti, sorrisi ad accoglierti e parole in lingue diverse ad intrecciarsi per dirti "bentornata", ovunque sia, ma bentornata in qualche luogo.

Saturday, August 14, 2010

L'immensita'

Ho attraversato la citta' in un taxi, con le ossa dolenti di stanchezza, la gola in fiamme e una stanchezza che non mi ha fatto nemmeno avere la forza di infilarmi l'orologio al polso. E poi, in fondo, a che mi serve un orlogio se sto andando, per la prima volta in tre anni e mezzo, a passare un weekend fuori citta'?
Quando vivi a New York, ci sono delle cose che ti vengono quasi a noia come il traffico della Quinta strada, il suo scintillio, le sue vetrine, il suo viavai di gente, tanta gente con mille lingue e mille colori, tutti di fretta, tutti pieni di borse, tutti indaffarati. Quello stesso tratto di strada che, pero', quasi detesto durante il giorno, ridiventa il corridoio di casa mia, ogni volta, di notte. Il corridoio di una casa dove i miei sogni continuano a resistere ai contraccolpi di una difficile realta', Mentre il taxi procede, non troppo di fretta, da un blocco all'altro, e Dorothy finalmente "trova pace", accomodata nella sua posizione "a tarallo" che significa, "vabbe' finche' sono con te tutto va bene", mi ripassano dinanzi a agli occhi sprazzi di vita recente. Pensare che la mia vita ora e' qui, davvero, dove avevo cosi' fortemente voluto mi appare ancora un fatto difficile da credere. A volte ho paura di svegliarmi e sapere che c'e' un aereo da prendere senza un biglietto di ritorno a casa. Qui. A casa mia.
E poco importa che da ottobre non so nemmeno dove sara' realmente questa casa. Cio' che so e' che questa e' la mia citta' e che io oggi sono cio' che volevo. All'80% almeno. Sorrido di me stessa ma penso anche che se fossi completamente contenta mi lascerei andare e non posso permettermelo.
New York e' una citta' in cui, di primo acchitto, ti sembra regni incontrastatao il rumore. Se ascolti ne puoi avvertire il silenzio. Se ci riesci sei riuscito ad arrivare al suo cuore e alla sua vera vita: quella che tutto e tutti accoglie e tutto e tutti trasforma.
E New York non e' solo Manhattan. Sebbene e' li' che vanno i nostri pensieri.
C'e' una parte, Upstate, verso nord, seguendo il corso dell'Hudson, che amo profondamente. E' li' che sono andata per il weekend, a casa dellla mia cara amica Chava e del mio adorato Katan.
In una casa immersa nel verde di un bosco ho ritrovato il senso di immenso che la vita ha e che, spesso, mi capita di smarrire.
Al risveglio, su un terrazzo aperto sull'intricato inseguirsi ed amoreggiare di alberi, uccelli, scoiattoli, cerbiatti, ho finalmente respirato a pieni polmoni e ho sentito di essere immensamente, anzi infinitamente felice.

Per anni ho vissuto sul minuto, sull'istante, combattendo solo per non cedere alla paura e riuscire ad arrivare al minuto dopo, ancora viva e ancora qui. Per anni ho sentito di non avere piu' nulla se non quel momento di fronte che poteva sopraffarmi e anninetarmi. Tutto cio' che mi raccontava la quotidianeita' di 24 ore almeno, e dnon di 24 secondi, era Dorothy con il suo ritmo uguale e cosi confortante.

Uscendo, a pieni nudi, su quella terrazza, senza infinito di fronte, ne' immenso, ma un fitto labirinto di arbusti, ho finalmente sentito l'immenso perche' non era di fronte ma dentro di me e alle mie spalle e sotto i miei piedi e al di sopra della mia testa.
L'immenso e' essere dove volevo.
Scrivere
Sapere che qualcuno legge
Avere i miei amici che mi consolano e amano
Sentire la vita. Sentirla e amarla
E continuare senza stanchezza ad avere sogni.

Ho toccato l'immensita' per un istante e tutto ha avuto un senso.

Thursday, August 5, 2010

Questa e' la mia casa

Scrivo poco in questi giorni. Voi siete in vacanza e io sono stanca. Un'accoppiata vincente per rallentare il ritmo....
I pensieri e la vita pero' non si fermano. Per fortuna.
E' strano e non ne riesco a capire la ragione ma, nonostante questo periodo sia difficilissimo, ho una sorta di buonumore che mi stuzzica in continuazione. Oggi e' stata una di quelle giornate da impacchettare e gettare nella spazzatura, nemmeno in quella da riciclo.... proprio quella da buttare e via. Dopo una notte quasi insonne per i lamenti di Dorothy (lei riesce ad adattarsi piu' lentamente allo zingaraggio di quanto faccia io) mi sono rimessa al computer e al telefono e tutto mi e' caduto addosso come libri che cadono da uno scaffale: tu li ami ma ti fanno male se ti cadono in faccia.
Cosi sapere che mia madre non sta bene ma peggio e che mio padre per questo sta perdendo ogni minimo buonumore, sono stati i primi tre volumi in faccia: la divina commedia.
Dopo di che e' toccato a una telefonata con un'acidissima responsabile di un'agenzia di Firenze presso la quale una mia amica sta fittando un appartamento di oltre 4000 euro per novembre (quando cio' la stagione non e' bassa ma BASSissima). Quando le ho chiesto perche' il saldo doveva essere versato DUE mesi prima della vacanza mi ha risposto "queste sono le regole, se vi piacciono le accettate, se no vi rivolgete ad un'altra agenzia". Quello e' stato come i Promessi Sposi dritti sul naso. Mai piaciuti. (In piu' mi veniva da chiedere perche' poi gli americani dovrebbero venire a spendere oltre 4000 euro per essere trattati come merde da un'acida strega)
Ma alle 21.13 di sera, mentre siedo sul comodo divano di casa della mia amica che ha una casa vera qui, con tanto di terrazzo, capisco che quella era solo una metafora divina per prepararmi a cio' che sarebbe successo di li' a pochi minuti.
Il fatto in se' non ha particolare importanza perche' ovviamente le ragioni non stanno mai da una sola parte (ma posso dire con ragionevole certezza che questa volta la ragione e' tutta mia!!!) MA cio' che ha avuto il valore e il peso dell'intera Treccani piombatami sul cranio e' stato il fatto che qualcuno, nemmeno molto simpatico, anzi per nulla, abbia provato a farmi sentire umile ma non nel senso di umile = senza pretese ma umile nel senso di poveraccia. Che, dal suo punto di vista, limitatissimo e basato su fattori estetici assolutamente lontani dai miei, lo sono sul serio. Una poveraccia sfigata.
Ora c'e' una cosa che ho imparato, anzi due. Che non posso rispondere a tono quando sono furiosa perche' non sarei lucida e non farei abbastanza male. E che parlare (e incazzarsi) con chi ha un cervello che e' rimasto un'ipotesi e quell'ipotesi e' piena di preconcetti, pregiudizi, giudizi, chiusure, limitatezze e presunzione, e' tempo sprecato e sottratto a cose piu' importanti.
Cosi, con l'Inferno di Dante a bruciarmi dentro, i monatti a suonarmi le campane a morto nella testa e tutti i volumi della Treccani a prendersi a gomitate nel mio stomaco, stanca come Lassie dopo essere tornato a casa e con un aspetto da Mary Poppins prima del trucco, me ne sono andata a bere una birra con un amico e insieme abbiamo speso, divertendoci come pazzi, una cifra folle: 20 dollari in due, per mangiare e caffe'.

E mentre sentivo tutti la rabbia scivolare via pian piano, un'amica, una di quelle "importanti" (che secondo la mentalita' di quelli dal cervello illusorio non dovrebbe essermi amica perche' lei e' famosa e benestante e io no) mi ha scritto che potevo stare da lei, in questa casa che amo, CON IL TERRAZZO!!!!!!

Sono povera. Faccio fatica a pagare l'affitto di una casa che e' un buco ma un buco a Manhattan, alla 72ma strada dove John Lennon aveva deciso di vivere. Faccio tanta fatica che presto andro' altrove, In un'altra casa, non piu' alla 72ma e forse nemmeno a Manhattan. Perche' sono povera.

Ma non permetto a nessun poveraccio di buttarmelo in faccia come una colpa o come una vergogna. Quando per cinque minuti lo faccio mi incazzo non con il poveraccio ma con me stessa perche' e' come se abbassassi la guardia e mi facessi colpire in pieno viso.

Sono povera e non mi va nemmeno di dire che sono ricca dentro. Cazzate. ;) Ma non sono insensibile e non sono prigioniera nello spazio mentale della strada sotto casa e delle cose che si possiedono.

In altri tempi e stagioni, Manhattan l'ho guardata dall'Hotel Plaza e Capri da un balcone di una camera da letto a picco sul mare. Ho avuto quello e ho questo. E sono semplicemente orgogliosa di non essere prigioniera di nulla. Soprattutto non di una casa.
La casa e' il posto dove torni e puoi startene in mutande a piedi scalzi. Tutto il resto, come diceva Troisi, e' ornamentale.

Wednesday, July 28, 2010

Lassu' qualcuno mi ama

Forse e' vero. Qualcuno lassu', in qualche posto nascosto al mio sguardo, pure spesso errante attraverso il blu e le nuvole o il nero piu' profondo nonostante la trapunta di stelle, mi ama. Qualcuno mi ama e mi afferra ogni volta che sto per cadere. A volte cado lo stesso ma quelle braccia forti che non posso sentire rallentano la caduta e la schiena resta dritta e le ossa non in frantumi.
Lassu' dove i nostri sogni vivono come le mimose sugli alberi a gennaio, qualcuno mi ama e mi aiuta a ritrovare la strada.
Non so se e' un dio, qualsiasi nome abbia, o mia zia o ora Pierpaolo o tutti. Ma qualcuno mi ama. E mi aiuta a ritrovare la direzione.

Anche vivere a New York, ovviamente, mi aiuta. Qui ho imparato i punti cardinali: so se sono a est o a ovest e posso dirigermi a sud senza sbagliare. E so guadare a Nord e alla mia stella. Quanto mi insegna questa citta'. Come dice la mia amica Ivana, sono un'altra persona. Migliore. E immodestamente condivido. Perche' ho ancora la voglia di imparare e di rimanere stupita come un bambino di fronte ad una giostra che gira e quel cavallo che torna sempre li', in quello stesso punto, con tutti i suoi colori.

Oggi e' stata una giornata difficile. Sono molto stanca e ho bisogno di vacanze. Prima pero' mi aspettano un paio di settimane toste, un po' da vagabonda e con tante decisioni da prendere. Passeranno, le decisioni si prenderanno e i piedi nella sabbia calda mi ridaranno tutta l'energia di cui ho bisogno.

Fra le cose che mi ha insegnato New York e' che c'e' sempre una via d'uscita se non hai paura e sei disposto a lavorare. Ma, anche, se impari ad ascoltare davvero e fino in fondo il tuo cuore. Per ascoltare, pero', abbiamo bisogno di silenzio: totale. Dobbiamo zittire la mente, i pensieri, le paure, le necessita', le urgenze, le inquietudini, le malinconie, le gioie, gli entusiasimi e tutto cio' che potrebbe portarci fuori pista. Per ascoltare, per il tempo che serve, abbiamo necessita' di silenzio. Ho trovato questa dimensione facendo yoga, in questa stanza con 42 gradi e 50% di umidita'. Come ha detto stasera l'istruttrice "se riuscite a fare yoga qui, New York non puo' farvi nulla di male". Ho sorriso. No, New York non puo' farmi nulla di male. Anzi.

Non puo' perche' io la amo di un amore cosi' profondo che mi porta ad ascoltarla, senza sforzarmi di vederla con lo sguardo dei miei pregiudizi e nemmeno dei deisderi. New York la guardo com'e', come i suoi viali larghi che portano all'acqua che non sai mai se e' il mare o il fiume e nemmeno importa.

Mentre il mio corpo sudava come mai credevo possibile e i miei muscoli si sottomettevano a posture inverosimili, ho capito da dove ricominciare ancora una volta. Ho capito quali erano le mie priorita' e la strada per realizzarle. In un minuto che mi e' sembrato un anno, tutto mi e' sembrato semplice e le decisioni gia' prese e, se non fosse costata ulteriore fatica, avrei sorriso.

Tornando a casa, poi, ho traovato la mail, bellissima di Renata. Renata va al liceo e ha chiesto la mia amicizia tramite Facebook. Mi da del lei. Stasera, fra le altre cose mi ha chiesto "non si sentiva spaesata quando si e' trasferita a New York"? (mi ha detto che aveva trovato per caso il mio blog e che da un'ora leggeva "senza stancarsi"). Ho pianto. Non piangevo da una settimana. La necessita' di sopravvivere ad un lutto ti fa concentrare sulla necessita' di abolire le lacrime come un fastidio, come quei fiori secchi che restano sulle tombe e puzzano e mettono infinita tristezza. Invece le lacrime possono essere belle come una rugiada, come le gocce del mare, come la pioggia fresca d'estate, come lo champagne per un'occasione speciale. Quelle di stasera, quelle "per Renata" erano lacrime belle, anche se sembravano uguali alle altre. Anche se dentro c'era l'assenza di Pier Paolo, le paure, le sofferenze e le incertezze di una vita difficile che meriterei piu' semplice ma ho scelto difficile per testardaggine e cuore.
Le lacrime per Renata sono state lacrime di "ok ricominciamo". Non ho mai pensato che qualcuno potesse leggere qualcosa che io scrivo per un'ora e "non stancarsi" e scoprirlo con tanta dolcezza ha ridato un senso a tutto.
Ero spaesata Renata. Ero spaesata e terrorizzata e a volte lo sono ancora. Ma se sei dove volevi essere e, mentre il terrore e lo spaesamento ti divorano, lasci un po' di spazio al silenzio, allora sentirai il tuo cuore indicarti la strada. Sempre. A New York e ovunque.

A New York e' solo piu' semplice perche' qui si vive di pane e di sogni che diventano realta' e sembra che ci sia sempre un nuovo appiglio al quale aggrapparsi e continuare. Se ne hai davvero voglia.

E poi c'e' chi da lassu' ci ama. Se sappiamo lasciarci amare. E se sappiamo amarci profondamente.

Questo post e' dedicato a Renata Giordano, ai suoi sogni, alle sue speranze, alla sua voglia di imparare, al suo amore per New York e a quelle lacrime che stasera, in una serata bellissima, mi fanno gli occhi piu' belli.

E questo post e' per tutti voi che mi leggete, a volte piu' attentamente di altre, perche' questa e' la mia vita e raccontarla a volte e' complicatamente doloroso. Ma da' un senso alle stelle.

Saturday, July 24, 2010

la quiete dopo la tempesta

Ieri sera un tornado ha attraversato New York e la mia vita. La furia della natura era incredibile, eppure ipnotizzava lo sguardo mentre faticosamente cercavo di chiudere le finestre e tranquillizzare Dorothy. Lei odia la pioggia.

Si fa fatica a chiudere le finestre quando quando un tornado arriva a spazzarti via l'equilibrio e a scompigliarti le pagine di una vita intera.

Stamattina sono uscita e la citta' mi ha regalato la piu' bella giornata di sole che chi, come me, ama il sole, potesse desiderare. Non c'era traccia del tornado se non i qualche eccesso di foglie ai bordi delle strade, stranezza di una stagione di poco vento.

Cosi come il dolore, come un tornado, ha oltrepassato finestre e porte e barriere e protezioni, anche il sole e' tornato. Gli lascio asciugare le lacrime, seccare le ferite, riscaldare il cuore.

Il sole non cancella ma lenisce. Come l'abbraccio di tutti ha lenito la disperazione.

Un'amica mi ha scritto, da milioni di chilometri, "chi va, solitamente e' piu' felice mentre noi che restiamo indietro siamo pieni di tristezza". Cecilia e' la persona piu' piena di vita che io conosca e le sue parole sono state come una carezza.

In questi giorni ho continuato a scrivere per lavoro e per sopravvivenza. Sforzandomi di cambiare il tono.

Posso solo dire, citando un poeta di quelli veri, che non "sono mai stata tanto attaccata alla vita".

Tuesday, July 20, 2010

spegnete le stelle, prosciugate gli oceani

Mi sono svegliata con gli occhi appiccicati per il troppo piangere.
Ogni osso dolente mi ha ricordato che io sono viva. La gola, come intasata da una manciata di pezzi di vetro, mi ha urlato che io sono viva. Il peso sul petto che mi rende difficile il respiro che pure viene fuori, mi ha ricordato che sono viva.
E che tu non lo sei piu'.
E' da ieri che cerco di dirmi quelle atroci parole ma non ci riesco.
Da ieri, invece, ti vorrei chiedere se ti ricordi quando da bambini cantavamo a squarciagola "Anima mia" e tu sbagliavi tutte le parole perche' eri il piu' piccolo. Una testa bionda e uno sguardo imbronciato.
Da ieri, vorrei ridere ancora una volta con te ricordando quel natale in cui per sbaglio, i nostri genitori buttarono via la busta sbagliata e dentro c'erano tutti i regali.
Da ieri, ti vorrei dire che ora vado in una casa piu' grande, non proprio cosi' centrale, ma piu' grande e cosi' potrai venire a trovarmi.
Da ieri, rileggo quelle lettere che ci siamo scritti. Quelle scritte con il peso di due che hanno attraversato la morte. Ognuno la sua e si sono ritrovati.
Da ieri, vorrei chiederti scusa per qualche mia durezza quando non sapevo con quali parole parlarti.
Da ieri, vorrei riascoltare con te quei vecchi pezzi hip hop che ci tenevano incollati alla Virgin di Times Square per ore
Da ieri ti vorrei rivederti incrociare le braccia perche' hai fraddo, sempre un po' freddo.
Ma tu, da ieri, sei morto.
E questo e' tutto cio' che devo ripetere al mio cuore che non vuole sentire.
E poco importa se resterai in un ricordo. E poco importa se resterai in una foto. Poca importa se resterai in quelle lettere e in quella musica.
Oggi non c'e' musica, non ci sono parole anche se le scrivo. Oggi non c'e' consolazione.
Oggi c'e' la tua maledetta assenza che non so come colmare.
E ti dico cosa sento perche' vorrei sapere cosa senti tu adesso.
Cosa vedono i tuoi occhi.
Cosa respira nel tuo cuore.
Vorrei chiederti se hai avuto paura perche' noi ne abbiamo, molta di piu' da quando sei andato.
Mentre ci lasciavi, sei venuto nei miei sogni e mi hai abbracciata e mi hai detto "sono felice". Mi chiedevo perche', ieri, prima di saperti andato.
Felice.
Vorrei lo fossi. Lo sarei anche io. Nonostante il freddo che sento sulla pelle.
Ti aspetto a New York, la citta' che adoravi. Ora che sei respiro puoi essere ovunque. Con tutti noi che ne avremo bisogno.
Scendo. Ti aspetto davanti ad un hamburger. Non fare tardi.

Sunday, July 18, 2010

Mio padre e' un grande uomo

Ci sono momenti, mentre anche una citta' come New York si spopola e allora ti sembra che la solitudine attacchi anche te, come una tagliola dietro il polpaccio che non ti ammazza ma ti fa tanto male da non farti camminare, in cui ti fermi, anche mentre stai correndo nel parco o viaggiando in metropolitana o facendo spesa al supermercato, ti fermi, dicevo, e provi a ripercorrere la strada all'indietro per scoprire come tu sia arrivata fin qui, fino ad oggi. Con ancora un sorriso a rischiararti il viso che sembra non voler trovare posto alle rughe.

Ci sono giorni in cui forse e' cosi' tanta la paura del domani che ti volti indietro per rassicurarti che non ci fosse davvero un appiglio al quale afferrarsi, che non ci fossero davvero ipotesi ragionevoli per cui restare, che quell'umiliazione profonda alla quale ero stata biecamente e continuamente sottoposta non fosse cosi profonda ne' cosi bieca.

Ci sono giorni in cui, con distaccato battito del cuore che sembra non voler nemmeno piu' mutare d'accento al ricordo di cio' che lo stava incartapecorendo, cerco una conferma alla concretezza dell'essere qui. Dell'essere ancora viva e finanche felice. Seppure nella mia frammentata e postdatata esistenza.

E allora ricerco una traccia, uno scritto, una parola che io abbia inciso come sangue sulla pietra per la mia memoria. Per non dimenticare. Ho scritto sempre. Cio' che non so dire, lo scrivo. Anche a chi, forse, non ha piu' occhi per leggere perche' il velo di tristezza che potrebbe appannare lo sguardo renderebbe deboli e disarmati. E chi controlla la vita degli altri attraverso un potere malato e disumano, deve avere paura delle parole che possono essere come l'eco di un mondo in cui una stretta di mano contava ancora come la parola d'onore di una persona che non e' d'onore ma agisce onorevolmente.

E ho trovato questa. Scritta per una di quelle persone che hanno reso ridicoli i miei sogni. Ma non ucciso.

"Mio padre e’ un grande uomo, uno di quei vecchi comunisti che rendono onore al significato piu’ alto e “religioso” di un’ideologia morente che ha dato speranze a milioni di uomini e donne nel mondo.

Mio padre, quando eravamo bambini ci diceva che dovevamo essere i migliori a scuola altrimenti non avremmo potuto reclamare il rispetto dei nostri diritti: ci avrebbero definito comunisti fannulloni

Mio padre aveva messo in cucina uno di quei calendari pieno di foto di bambini africani divorati dalle mosche e dalla fame e se non ci piaceva qualcosa ci indicava le foto e ci diceva di vergognarci.

Mio padre ci raccontava che da ragazzo, con la fame che lo devastava, trovo’ un portafogli pieno di soldi e felice lo porto’ a casa e che mia nonna, vedova, lo porto’ in chiesa al prete perche’ ne trovasse il proprietario. Che non regalo’ nemmeno una mancia.

Mia nonna, racconta mio padre, si era messa attaccata sulla parete la foto di Mussolini e mentre girava povero cibo in un pentolone, insufficiente per tutti, alzava lo sguardo e sputava sulla foto del Duce, bene dritto sulla faccia

Mio nonno, contadino, analfabeta, racconta mio padre, la sera si puliva le scarpe con un panno e andava a scuola serale per imparare a leggere. Aveva sogni piccoli ma li inseguiva.

Mia zia, giovane ragazza, lavorava alle Cotoniere di Fratte e andava a piedi da Cava dei Tirreni tenendo bene a bada chi provava a mancarle di rispetto.

Mio padre e mia madre ci hanno cresciuti bene, ci hanno fatto studiare e io sono stata una bambina e una ragazza felice. E ancora lo sono.

Non hanno mai fatto una vacanza. Ma mio fratello e’ andato all’altro capo del mondo, in Colombia, per adottare un bambino di quattro anni, Cristian, che oggi parla con l’accento romanesco e gioca alla play station come tutti i bambini (o quasi) dell’altra parte del mondo.

Una famiglia come tante la mia. Lo so. Politicamente corretta. Di quelle dimenticate che Santoro non invita alle sue trasmissioni su Napoli.

Mio padre stamattina, per l’ennesima volta, mi ha chiesto se io fossi davvero sicura di aver fatto tutto il possibile per MERITARE un lavoro e se fossi stata abbastanza umile e perbene. Abbiamo litigato. E detesto litigare con mio padre. Lo amo troppo. Ma lui non comprende il perchĆ© del mio fallimento, di questa mia quotidianeita’ senza un lavoro che possa definirsi tale e di quel curriculum, in cui ci sono i sacrifici infiniti suoi e di mia madre, che non vale niente per nessuno.

E a dire il vero non lo capisco nemmeno io.

Ma io non ho tempo piu’ per darmi risposte. Io prendo atto e vado avanti e mi rimbocco le maniche.

Lascio questa citta’ che amo e che muore. Io sono cosƬ piena di vita e di allegria che non voglio morire.

Mi aveva detto che dovevamo parlarci. Non avra’ avuto tempo, lo capisco. Ci sono emergenze che opprimono. Io non sono un’emergenza, sono una persona un po’ strana, un po’ originale che le scrive lettere e che, stranamente (visto che e’ molto alla moda oggi) non ce l’ha su con lei.

A New York avrei fatto bene. Benissimo. In qualsiasi altro compito lei avesse voluto affidarmi avrei fatto bene. Questo lo so.

Volevo salutarla e farle capire da dove arriva parte di quella mia originalitĆ , testardaggine e incrollabile certezza che e’ meglio essere in pace con sĆ© stessi. Sempre e in ogni caso.

Un abbraccio
Angela
(1997)

Monday, July 12, 2010

sono qui per l'amore....

A New York sono arrivata perche' amo la vita.
Stasera me lo sono ricordato, in una sala con 40 gradi e 26 posizioni yoga (Birkram Yoga): un'ora e mezzo in cui metti alla prova te stesso, il tuo equilibrio e il tuo bilanciamento, sudando come in una sauna....
Avevo provato il Birkram 5 anni fa, durante uno dei miei viaggi a New York. Stasera, attraverso quel sudore che mi rigava il viso, mi sono rivista in strada mentre mandavo un messaggio ad una persona che credevo amica dicendo "la mia vita e' qui ed io verro' a vivere qui perche' qui mi sento felice".
Sono venuta a New York per amore, per amore di quelli avuti e per amore di quellic he restano. E per amore per me.

E allora, fra i ricordi, ho ritrovato questa poesia che scrissi per qualcuno. Che non ho messo mai via.




Dove sei?
Perso nel mio cuore che ti guardĆ²
diverso.
Non rude.
Non freddamente lontano.
Ma dolce.
Generoso.
Ed ora perso.
Come si perde un tram, un treno, un aereo
a lungo attesi
perchƩ ti portassero
altrove.
Perso come una scarpa
che rende inutile l’altra;
perso come la memoria
che ti fa sfuggire il senso della tua vita.
Perso, semplicemente.
Come una banconota
da un buco nella tasca;
che ti serviva a comprare un pĆ² di dolcezza.
Tenuta stretta per non perderla
e persa senza accorgersene;
senza sapere nƩ dove nƩ quando
a volerla ritrovare.
Amore voluto per gioco;
perseguito per sfida;
tenuto per tutto:
mai per abitudine.
Amore amato.
Da entrambi.
Con generositĆ ,
a piene mani.
Amore
di attese e arrivi;
di partenze e di ritorni.
Amore
di piumoni caldi d’ inverno
e lenzuola fresche d’estate.

Amore
di piatti da cucinare
e valigie da svuotare.
Amore
di silenzi e di fughe.
E abbandoni.
Sempre tuoi.
Dove sei ora?

Se proprio devi lasciare il mio cuore
non fare rumore
non acuire il dolore.
Se proprio il tuo vento
non puĆ² piĆ¹ soffiare
fra i miei rami forti;
se proprio, pur pensando di amarmi,
non mi ami piĆ¹,
in questa vita;
se proprio mi lasci andare...
Allora:
per me,
per la mia vita che ti fu cara
e che, pure, non finisce qui;
per quel minuto di felicitĆ ,
se c’ĆØ stato;
per quel secondo di infinito,
se c’ĆØ stato;
allora:
ritrovami nel tuo cuore
e tienimi stretta.
Per una sera ancora,
chiamami amore
come se lo fossi.
Raccontami ciĆ² che la mia vita
ĆØ sembrata ai tuoi occhi.
Ritrova la tenerezza del tuo cuore
a un mio gesto
a un mio silenzio
a un mio sorriso.

Ora che mi hai detto
e ripetuto
ciĆ² che NON SONO
e MAI SARO’ per te
(fino a intristirmi,
fino a sfinirmi,
fino a rendermi ciĆ² che non ami);
ora,
per una volta ancora,
amami
come se mi amassi.
PerchƩ io possa ritrovare
i ricordi che ho.
PerchƩ io possa pensare
nel tempo
che ne sia valsa la pena;
perchƩ io possa sapere
che non ĆØ stato tutto inutile.
Fammi sentire amata
come da tempo non fai.
Fallo per me.
E un pĆ² anche per te.
Rendi meno doloroso il mio dolore,
rendi meno penoso il tuo andare
rendi meno difficile il mio restare
in questo mondo
senza di te
viva, comunque.

Sunday, July 11, 2010

Ole'

E cosi ci svegliamo tutti spagnoli... pur di festeggiare un po' anche noi, ancora sotto la "botta" per la cocente disfatta, ci scopriamo amanti de "los hermanos" spagnoli e, infondoinfondo, tutti siamo stati in Spagna, amiamo la paella e la sangria e l'Andalusia pronunciata con la lingua fra i denti. Ibiza, Marbella e Penelope Cruz e Almodovar e Bartem... passando per il Santiago Bernabeu che ci vide campioni e finendo stremati sulla costa Brava. La Spagna in fondo e' un po' Italia, tanto che ci puoi sempre andare in treno o in auto e non c'e' studente universitario che non voglia fare li' l'Erasmus. E in fondo ancora, ma mica tanto, noi siamo mezzi spagnoli, soprattutto noi "sudici" perche' della Spagna siamo stati casa di vacanza e magione di quarantena.
In fondo, l'Olanda la conosciamo solo per le droghe e il sesso libero e nessuno, davvero, ha mai prestato attenzione ai tulipani passeggiando per strada.
Insomma, a cominciare da me, in piena tradizione italiana, abbiamo scelto un carro, ci siamo saliti e lo abbiamo un po' fatto nostro (come gia' successo per il polpo Paul che, nome a parte, e' ovviamente italiano). Qualcuno, dimenticando le cattiverie delle scorse settimane, tirera' fuori che in fondoinfondo, ma mica tanto, c'e' un filo che passa dal 2006 ad oggi e sta proprio in Cannavaro che alza la coppa, va a giocare in Spagna, insegna qualcosa sulla difesa (e qualcosa la dimentica lui) torna a casa e riconsegna la coppa ai suoi ex compagni. Piu' giusto di cosi.... ;)
La verita' che un po' siamo noi italiani a voler essere sempre "nel mezzo" di quelli che vincono e poter dire "beh ma lo sai che in fondo io sono un terzo spagnolo". Un po' e' anche (o almeno lo spero) che abbiamo iniziato a girare di piu' e che allora, dopo l'Italia, riusciamo a fare il tifo, sportivamente per un'altra squadra (Germania a parte che so' troppoooooooo antipatici). Qualcuno lo fa perche' in quella vacanza a Marbella si e' innamorato, qualcuno per l'amico di Madrid che vive al piano di sopra, qualcun altro perche' Penelope e' bella ma sua sorella Monica, mica da buttare alle ortiche.
L'aspetto triste di sentirci oggi tutti spagnoli viene invece dalla motivazione "politica" che sottintende la nostra gioia. Perche' loro, gli spagnoli, quelli che hanno un re e una regina, hanno avuto (come noi) la dittatura, sono tanto cattolici che pure Gesu' si annoia, sono machisti e a volte pochissimo civili (vedi le corride), LORO, dicevo hanno Zapatero che e' arrivato ha tolto le truppe dall'Afghanistan, ha legalizzato i matrimoni gay, si e' attorniato di donne con le palle (anche belle per carita' ma con quella da noi dimenticata cosa che si chiama professionalita') e ha fatto della Spagna, in pieno tempo di recessione, il paese europeo piu' amato persino negli Stati Uniti.
Quindi nell'ordine, a parte i tifosi di calcio, i meridionali nostalgici del re, e i proibizionisti, hanno tifato ieri per la Spagna: i gay, i trans, le donne (quelle di spessore anche belle ma intelligenti e non schiave), i 45enni che sognano di fare carriera politica prima dei 70 anni e senza padrini, i fan di Miguel Bose' e tutti quelli che sanno, fortemente sanno e credono, che le elezioni possono davvero cambiare le cose. Anche quando sembrano immutabili. E che si puo' decidere di rischiare e puntare su qualcun'altro, qualcuno che abbia il carisma del leader e non l'oleosita' dell'unto del signore. E che permettere a tutti di sposarsi se c'e' amore, quello si' che E' AMORE. E che si puo' sognare di vivere in un paese che si risolleva, si mette al pari con i tempi tanto da non appare ridicolo dal di fuori e vergognarsi.
Qualcuno ha tifato Spagna solo perche' lo aveva detto Paulilpolpo. Ma tanti hanno tifato per chi ha avuto il coraggio di diventare migliore. Ancor prima che arrivasse Obama.

Tuesday, July 6, 2010

Certe notti

Ci sono notti che ti raccontano il giorno che sta per arrivare: lo vedi, attraverso altre immagini magari, simboliche premonizioni, soprassalti del cuore.
Da quando mi sono trasferita qui ho difficolta' ad addormentarmi... ho sempre l'ansia di perdermi qualcosa o sprecare del tempo. Come se sentissi di non averne abbastanza. E a volte dormo senza sogni. A volte sogno senza esserne felice. Perche' quei sogni sono i ricordi di un passato al quale ho voltato si' le spalle ma, non avendolo fatto abbastanza in fretta, ha avuto il tempo di scalfirmi il cuore, una piccola cicatrice che, pero', se la guardi troppo e' ancora sanguinolenta.
In una di quelle notti che ti preannunciano il giorno, ho sognato che ero persa e dolente e che le persone che erano i volti creduti amici, si voltavano dall'altra parte ignorando del tutto la mia mano disperatamente tesa a chiedere aiuto. Non mi vergogno a dire che ho "mendicato" aiuto. A chi poteva aiutarmi. Se fosse stato utile per rafforzare il proprio ridicolo potere. Cio' che continuo a non perdonare di tutto cio' e' il fatto che io mi sia lasciata manipolare al punto da credere di non valere nulla, di essere un fallimento. Poiche' queste persone, per la quasi totalita' gestiscono potere politico, penso alla situazione del mio paese e non sento piu' di essere io un fallimento. E questo e' gia un buon passo in avanti.
Eppure la notte mi aveva raccontato di una giornata difficile e non per gli oltre 40 gradi che sono "l'emergenza del giorno" (e io stoicamente continuo a non avere l'aria condizionata). Difficile perche' non trascorsa nelle retrovie a rammendarsi i brandelli di mimetica lacerati nelle ultime battaglie, ma al fronte, fucile spianato a respingere i nemici: l'affitto, il lavoro che non c'e', le ansie del futuro, la voglia di rimanere qui ad ogni costo e quell'eta' che ho paura cominci all'improvviso a pesarmi come un macigno fino a sconfiggermi.
L'estratto conto in banca mi ha detto che con un "avanzo di 100$, potevo finalmente pagare l'affitto. Non ancora la bolletta della tv. Non ancora la lavanderia. Assolutamente non ancora il biglietto per l'Italia.
Ma ho imparato a non pensare a quello che manca. Mi concentro su cio' che riesco a fare.
Intanto, nel mio paese, nella mia regione, una pettoruta fringuellina della tv, attende di essere nominata assessore alle politiche giovanili e alle pari opportunita'. E qualcuno prova a convincermi che non e' colpa della sinistra e di quelle femmine che per accaparrarsi un po' di potere, che altrimenti si sarebbero sognate per assenza di meriti, si sono inventate questa minchiata delle pari opportunita', che in altri paesi, vecchia come il mondo, ha educato la societa' a dare potere reale alle donne che ora non hanno piu' bisogno di quella cosa incivile che si chiamano quote. Sapete vero che le quote ci sono per gli immigrati? In Usa come in Italia. Per gli immigrati, che nessuno vuole, e per le femmine, che nessuno vuole. Nel paese dove vivo le donne hanno un potere acquisito e saldo. Ancora ci sono margini di disparita' con gli uomini ma, tanto per fare un esempio che non sia di parte, ricordo tre segretari di stato donne di spessore incontestabile: Madeleine Albright (Clinton), Condoleeze Rice (Bush) e Hillary Clinton (Obama). Da un lato e dall'altro le donne scelte hanno una qualita' e una professionalita' che arriva da lontano tanto da averle portate vicine alla presidenza o averle fatte sopravvivere a un governo atroce come quello di George Bush. In Italia abbiamo le pari opportunita' e la Carfagna e la Binetti, e la Prestigiacomo e altre di cui per pudore (loro) fingo di dimenticare i nomi. Certo che ricordo anche Monica Lewinski ma non mi risulta abbia avuto nessun incarico di Stato. Cosi' come non ne hanno avuto la squillo di Spitzer (che si e' dovuto dimettere) ne' quelle di altri politici che hanno visto le loro carriere rapidamente bruciate dai sex gates.
Ma l'America e' lontana, cantava Lucio Dalla... e allora viva le quote e cio' che ci rifilano come esempio delle femmine al potere, schiave di uomini che le portano per il collare e loro non fingono nemmeno di nasconderlo.
E siccome ci sono notti che ti raccontano come sara' il tuo giorno, oggi, chissa' perche' ho prestato attenzione ad una mail di facebook, quella di un gruppo. Non le leggo mai. Le cancello automaticamente. Questa l'ho aperta. Senza ragione. Anzi, con ragione. Perche' quella mail era arrivata fino a me per dirmi che un mio amico era morto.
Trovo la morte fastidiosa nella sua inopportunita'. Da quando sono lontana pero', lontana dalle persone che amo, mi fa un po' piu' paura.
Ho chiamato i miei per avvertirli. Non rispondevano. Skype, niente, telefono, niente, cellulare , niente. Mi ha preso il panico.
Perche' sebbene un senso di giustizia vorrebbe che poi certe cose capitino alla pettoruta fringuella o alle "amiche" pariopportuniste che mi hanno dato un calcio in bocca quando imploravo aiuto, poi non funziona cosi'... Proprio no.
Quando mi hanno risposto ho scoperto che a casa si consumava un "dramma" (familiare in tutti i sensi) fra il nonno e il nipote per colpa del computer. Per mio padre il computer, mezzo attraverso il quale puo' vedermi quando vuole (o quasi) e' diventato piu' prezioso di tante altre cose. Lo fa toccare con difficolta' e non sapendolo usare bene e' sempre terrorizzato che gli tolgano Skype. Mentre io ero affranta per il mio amico nella realta' un nonno e un nipote litigavano come due bambini di cinque anni. Mi e' presa una malinconia devastante perche' ho pensato che diamo cosi' per scontata la vita, da sprecare tante occasioni per guardarci negli occhi e dirci che ci vogliamo bene. Lo so che e' banale, ma alla fine non lo e'. Alla fine non sappiamo nulla del tempo e dei giorni e delle ore e per questo ne dovremmo gioire e aiutare chi non ne e' capace a farlo.
Ho tanta voglia di tornare ad abbracciare i mie genitori e stare li' a fargli solo sapere che li amo e gli sono grata per ogni tasto che queste dita mai stanche sanno digitare. Gli sono grata per cio' che sono, e io sono in quelle lettere e in quei tasti.
Ci sono notti che ti raccontano il tuo giorno. Al supermercato ho trovato un portafogli, c'erano cosi' tanti soldi che non si chiudeva. L'ho dato alla cassiera e mi sono sentita in pace mentre il mio conto di 16$ mi pesava come fossero 1600$. Mio padre era un bambino, durante la guerra, e aveva tanta fame. Trovo' un portafogli pieno di soldi, lo diede a sua madre, mia nonna Arcangela Vitale, che lo porto in chiesa al parroco. A mio padre, il proprietario non diede nemmeno una ricompensa e lui continuo' ad avere fame. Ho ascoltato questa storia troppe volte da mia zia Elena. Deve essermi rimasta dentro da qualche parte.
Ci sono notti che raccontano il tuo giorno e allora non ti vorresti svegliare perche' hai timore di non arrivare a sera. Ma poi ci arrivi. E hai pagato l'affitto e comprato le patatine. E tornando a casa due cani, Dorothy e Katan (ribattezzato Gaeta') mi hanno festeggiato come se senza di me la vita fosse orribile.
E allora forse questa notte mi raccontera' di un giorno migliore.

Monday, July 5, 2010

Citta vuota

Ci sono due momenti dell'anno in cui la citta' si "svuota" dei suoi abitanti: il Ringraziamento e il 4 luglio. Nel giorno del Ringraziamento pero' te ne accorgi di meno, per tutte le luci di Natale che ti fanno sembrare che, comunque, ci sia una gran folla.

Il 4 luglio e' meraviglioso invece. Soprattutto se e' caldo come oggi. Tutti vanno al mare, o al lago o se ne stanno in casa abbracciati all'aria condizionata.

E c'e' silenzio e le strade vuote. Sembra davvero incredibile. Come un film ma guardato al rallentatore. E forse, questo giorno (e il lungo weekend) serve proprio a rallentare il ritmo frenetico delle nostre vite.

Amo questa citta', perche' sento che danziamo allo stesso ritmo, che a volte e' un rock, a volte uno shake, a volte un tango, a volte un mambo, talvolta un fantastico blues.

Peccato che da domani ritornino tutti qui. Qualche altro giorno di quiete assoluta mi avrebbe fatto bene. Quasi quasi, scappo al mare.

Friday, July 2, 2010

i miei ragazzi

Quando li vidi la prima volta, ero terrorizzata. Oggi, ogni volta che nella mia mente ripassano i loro volti e i loro sorrisi, un pezzo di cuore si intenerisce tanto che ho paura si sciolga e che lo perda per sempre... Ma cio' che conta nella vita non si perde mai. E il cuore, l'anima o semplicemnete quell'angolo di memoria con su l'etichetta "sentimenti", riesce ad accogliere tanto di cio' che, per dirla con Ligabue, non riusciamo, fortunatamente, a mettere via
In una delle mie tante vite, vissute sempre in bilico fra il senso del dovere e l'obbligo della felicita', sono stata anche un' insegnate di scuola superiore. Insegnavo Francese o Tedesco. E' successo tutto in una stagione, anzi due. Poi i meccanismi della scuola, troppo complicati per una mente disordinata come la mia, mi hanno spinto ad autoescludermi. Non ho recriminazioni questa volta. Forse ne ho ;) ma non e' per questo che scrivo. La prima supplenza e' stata all'Istituto Alberghiero di Anacapri. Non sapevo nemmeno come si tenesse un registro. A me sembrava che solo il giorno prima, io fossi un nome in quel registro ed ora ero dall'altro lato. E non credo nemmeno mi piacesse. Ma come sempre, "rifiutare un lavoro" mi sembrava un peccato mortale. E quindi, aliscafo ogni mattina alle 7 e poi fin lassu', ad Anacapri, in un'aula da dove vedevo il mare e mi veniva da pensare che fosse uno scempio starsene seduti li' a studiare. Sotto i vestiti indossavo quasi sempre il costume, per un bagno prima di andar via. I miei ragazzi mi guardarono come una strana, avevo una testa di treccine e corallini, frutto del mio viaggio in Messico, ero piu' bassa anche del piu' piccolo fra loro e soprattutto si capiva che non ne sapevo granche'. Eppure diventai la loro "professoressa preferita". Ero severa e li facevo studiare e mettevo brutti voti ma parlavo con loro e credo sentissero che li adoravo. Adoravo le loro vite incerte e sorridenti, le loro baldanze impaurite, la loro unicita' camuffata nello stringersi a gruppo. Ogni giorno me ne andavo piu' ricca di qualcosa. Tranne che di soldi. Quando facevamo compito in classe gli mettevo la musica in sottofondo e loro andavano a mille. Quando arrivo' la notizia che non mi avrebbero riconfermato ci fu, fra noi, un saluto triste come l'ultimo giorno di vacanza al mare, quando d'improvviso viene a piovere e un ombrellone se ne vola via per il vento e la sabbia ti graffia gli occhi. Gli scrissi una lettera. La tennero in bacheca a lungo. Io li tenni nelle mie giornate a lungo.
Ma quella era Capri e fu come una vacanza, sebbene meravigliosa. Fu come quando andai in Spagna. In Andalusia, da sola.
Poi entrai in un'altra classe. Una quinta. Sempre Istituto Alberghiero ma ad Agnano. Arrivai con il mio motorino scassato e la mia noia per una vita che girava storta. La prima parte della giornata in effetti era stata in una prima. Mi avevano spossato. Era una classe numerosa e difficile. Che ho amato ma non come i miei ragazzi.
I miei ragazzi, quando entrai, continuarono a chiacchierare fra loro, nemmeno alzarono lo sguardo. Mi ci vollero un po' di manate sulla cattedra e di "silenzio" per far si che si accorgessero di me. Ci vollero diverse lezioni perche' diventassero i miei ragazzi. Arrivavano quasi tutti dai Quartieri Spagnoli o da Secondigliano/Scampia. Qualcuno da Forcella. Avevano occhi che ti raccontavano la bellezza guardata attraverso la morte, la desolazione e lo scempio. I loro occhi erano magici. E mi fissavano con attenzione. Non potevo barare con loro. Per non farli uscire in continuazione gli diedi il permesso di fumare in classe ma non di usare il cellulare. Un giorno arrivai in classe e un collega era ancora li', prima di andarsene mi disse "andiamo a prendere un caffe' insieme qualche volta". Appena lui usci, i miei ragazzi mi guardarono e poi uno di loro, che era uno dei piu' "sfrontati" mi disse "professore' voi non ci dovete andare a prendere il caffe' con lui, perche' quello non vuole fare le cose serie. Il caffe', quando lo volete, ve lo paghiamo noi". In quel giorno diventarono i miei ragazzi. Studiavano, mi ascoltavano e parlavamo. Parlavamo di politica, della vita e del loro vivere in quartieri dove "quando torniamo da scuola, non usciamo piu' perche' fuori si spaccia solo droga". Loro non avevano letto o scritto Gomorra. Loro la vivevano.
Eppure nessuno avrebbe dato la vita per loro. Nessuno l'ha data e nessuno ha mai neppure conosciuto i loro volti che io ho amato ed amo ancora.
"Professore', mannaggia a Berlusconi". Mi dicevano per farmi ridere. Incredibile, Berlusconi era gia' li e gia' faceva danni.
Una volta arrivai in ritardo in classe e loro iniziarono a fare casino tanto che arrivo' il preside. Appena entrai, il preside mi fece una di quelle cazziate storiche. Io pensavo di sprofondare (e sotto sotto volevo pure mandarlo a quel paese). Quando il preside usci' ci fu silenzio. Li guardai negli occhi e non dissi niente e studiammo tedesco senza dire una parola. Quando entrai in classe, la volta dopo, li vidi dall'esterno, insolitamente seduti in ordine e silenziosi. Appena misi piede dentro la classe, scattarono in piedi e in coro mi dissero "Entschuldigung" ("Scusi") e sulla cattedra c'era il piu' bel mazzo di fiori che abbia mai ricevuto. Trattenere le lacrime fu difficile. I miei ragazzi mi fermavano nei corridoi per parlarmi delle loro fidanzate, dei loro problemi e io li ascoltavo e li adoravo ed ero grata alla vita. Se non fossi entrata in quella classe quei ragazzi, i miei ragazzi, sarebbero stati, ai miei occhi prevenuti e miopi, solo dei bulletti di quartiere, dai quali guardarsi e proteggersi.
I miei ragazzi ebbero l'audacia di raccontarmi le loro paure, i loro dubbi e i loro sogni. Ebbero l'audacia di mostrarmi le loro lacrime quando un loro amico mori' troppo presto, come spesso si moure in certi quartieri. I miei ragazzi ebbero l'audacia di mostrarmi la loro ansia durante l'esame di stato. Fui con loro ogni giorno. i membri della commissione mi guardavano chiedendosi chi fossi. Li incoraggiavo e li calmavo e seguivo i loro esami con un ansia e con occhi che proiettavano altre scene di tempo prima, all'Istituto Antonio Genovesi di Salerno.
I miei ragazzi hanno fatto fatica a convincersi a chiamarmi Angela e non piu' "professore' " dopo di allora e con alcuni siamo ancora in contatto e so un po' delle loro vite e ne sono fiera. "Quando e' morto mio padre, mi disse un giorno uno di loro, i boss del quartiere vennero da me e mi dissero - tu ora non ti devi preoccupare, perche' a te ci pensiamo noi - ma io ho continuato a venire a scuola e sono felice di fare il cameriere e poter tornare a casa con il cuore in pace".
I miei ragazzi hanno vissuto e spesso vivono nell'inferno e ne sono usciti illesi perche' si puo'. Perche' le famiglie sono rocce e la scuola e' la strada per attraversare l'oscurita'. La scuola puo' essere la lampada anche se i piedi li metti tu.
I miei ragazzi non li conosce nessuno. Percio' perdonatemi se dico che loro sono si' che sono i miei eroi. Loro che vivono e hanno vissuto all'inferno e sono sopravvissuti e sanno sorridere.
I miei ragazzi non vanno in tv, non sono famosi e non sono simboli di niente e nessuno. E nessuno se ne fotte di loro. Diciamolo.
Ma i miei ragazzi (e quelli come loro) sono la speranza, L'unica. E tutto il resto sono chiacchiere.
Mentre cammino, a volte sopraffatta dal peso delle mie incertezze, talvolta logorata dalla tristezza o avvolta in una coperta di paure, ripenso ai loro occhi. Se loro ce l'hanno fatta io posso farcela. Loro mi hanno insegnato questo. E nessuno lo sa e nessuno li onora.
Volevo farvi conoscere i miei ragazzi. Occhi belli e sorrisi larghi, come solo chi vede la morte e lo scempio ogni giorno, puo' avere. Perche' se non abbassi lo sguardo, oltre tutta quella morte e quello scempio, vedrai la bellezza e non ti ferira' gli occhi ma te li rendera' come stelle in una notte d'estate.
I miei ragazzi sono i miei occhi nella notte scura.

Wednesday, June 30, 2010

freedom is not free

E' il motto dei veterani "la liberta' non e' gratis".
Forse per questo ne abbiamo poca in Italia e non ce ne accorgiamo. Perche' non ne abbiamo mai imparato il prezzo pensando dovesse esserci sempre qualcuno a regalarcela per farcela, magari, buttare di nuovo in fondo alla spazzatura. Siamo stati un paese poche volte libero. A volte liberato per essere piu' schiavo di prima. Quest'assenza di sapienza rispetto al prezzo della liberta' credo sia uno dei nostri mali peggiori.
Insieme ad un acuto senso di superiorita' che ci fa credere sempre i migliori al mondo. E quando siamo proprio generosi, ci fa vedere noi cosi' cosi', ma gli altri davvero uno schifo.

Ieri, un italiano, di quelli radical chic sputava sentenze su New York e su tutto cio' che riguardava questa citta'. Dove era stato qualche volta, di passaggio. E' come se io domani volessi fare il chirurgo perche' ho visto tutte le serie di ER e ora guardo Dr. House. Essendo poi quella persona di "sinistra" , mi e' stato chiaro perche' continueremo a prendere delle batoste elettorali non da poco.

Ma se non fosse abbastanza chiaro, in questi giorni sono capitati altri eventi a ricordarmelo. Lo squallore legato alla morte di Pietro Taricone per il quale sembrava indegno dispiacersi ma, ovviamente, anche non dispiacersi. A me se uno di 35 anni che sembrava "fulminato" d'amore per la vita, sebbene in maniere diverse dalla mia, muore tragicamente, mi spiace. Credo si tratti di una semplice reazione umana. Non penso al significato "politico o filosofico" di quel dispiacere. Mia nonna, piu' invecchiava e piu' soffriva ad ogni morte che arrivava prima della sua, soprattutto se di uno giovane. Era il senso di "ingiustizia" che le si rivelava e che sebbene non potesse cambiare, la disturbava. Mi "disturba" umanamente la morte di chi e' giovane. Inutile dire che mi disturba di piu' se avviene in una miniera o in un cantiere edilizio dove non vengono nemmneo rispettate le misure di sicurezza. Comunque in un paese che non riesce nemmeno a mettersi d'accordo sul fatto se Cassano avrebbe salvato i mondiali o no e se Balotelli e' piu' stronzo che bravo, non c'e' da stupirsi se la morte di Taricone abbia dato via al circo. Ma che in questo circo, ancora una volta ci fosse l'incantatore di serpenti, Saviano, a dare il suo ricordo, beh e' un po' troppo. Innanzitutto pare che i due non siano stati in classe insieme. Ma poi, che cosa hanno in comune? Pure Pino Daniele e Peppe Lanzetta sono andati al Diaz ma questo non ne fa i migliori amici di Pietro... E soprattutto, ci rendiamo conto che questa noiosissima sovraesposizione di Saviano, che interviene pure sul fuorigioco del gol dell'argentina, depotenzia completamente l'effetto positivo che il suo libro poteva aver avuto??? Ci rendiamo conto che "adorare" Saviano non significa automaticamente "combattere" la mafia o dichiararsi contro? La liberta' non e' gratis e non costa il prezzo di un best seller venduto in tutto il mondo ma molto molto di piu'.

Intanto il presidente del Consiglio gira il mondo brillando in batture volgari e squallide sulle quali non ho sentito alzarsi (ancora una volta) una sola voce indignata da parte di quelle signore che pero' non smettono un minuto di reclamare le pari opportunita' (di fare i cavoli loro) e quanto tutto sarebbe bello e meglio con una donna. Stronzate. una donna puo' essere una rovina come un uomo. E se non dimostra qualita' non dovrebbe andare da nessuna parte (come un uomo certo). E quando dico qualita' non intendo quelle delle misure fisiche. Ma le porcherie del presidente degli italiani cadono nel vuoto (a parte un qualche "sdegno" espresso sui social network). Perche' la liberta' non e' gratuita ma costa sudore, che rovina la messimpiega e scioglie il trucco. Meglio il silenzio.

Per concludere, una manciata di sindaci leghisti, durante la commemorazione di un anno della nascita della provincia di Monza si sono tolti la fascia tricolore e si sono dileguati durante l'inno nazionale. Siccome l'Italia e', sulla carta, un paese libero, uno puo' fare cio' che gli pare ma alla fine del mese lo stipendio gli corrisponde a zero euro perche' la sua moneta non circola in ITALIA e quindi non ne abbiamo per il suo cospicuo assegno. Ma ancora la rabbia assordante nella mia testa corrisponde ad un silenzio altrettanto assordante di chi dovrebbe mandare queste persone in risaia, visto che tanto amano la Padania. Ma la liberta' non e' gratis, come sanno coloro che per quella fascia tricolore, ci piaccia o no, hanno perso la vita.

Oggi nella posta c'era una lettera che arrivava da un signore che si chiama Barack Obama. All'interno un certificato che ricorda il passaggio della riforma sanitaria e che dice "noi" abbiamo permesso... sotto a sinistra, la firma del presidente, a destra la mia. Lo so che puo' sembrare stupido ma io mi sono emozionata. Perche' io c'ero e ho assistito alla battaglia di un uomo che, per onorare sua madre morta di cancro e di preoccupazione, ha mantenuto fede ad una promessa fatta e che non avvantaggia se' stesso o la sua famiglia (che godono ovviamnete della migliore assistenza sanitaria) ma una tonnellata di americani e no, che altrimenti non possono nemmeno curarsi l'influenza.

Io sono fra quelli e quindi orgogliosa che il paese che mi ospita, in breve, grazie al presidente Obama, sara' finalmente un paese migliore. La liberta' non e' gratis, costa la fatica dei sogni di chi ha creduto in un paese molto imperfetto ma che include la felicita' nei diritti costituzionali. Obama ha creduto di essere libero ed ha potuto liberare il suo paese ancora un po'. Anche se la liberta' costa.

Domani devo pagare l'affitto e mancano trecento dollari. La liberta' costa. Ricordatelo a quelli che vi dicono che ci vuole ottimismo. Ridetegli in faccia. Perche' non ci vuole ottimismo. Ci vuole liberta'. Anche se costa.

Monday, June 28, 2010

e di una normale giornata di caldo

Sono giorni di caldo, di quello umido che, una delle pochissime cose, odio a New York. Ci siamo svegliati stamane (parlo berlusconianamente con il plurare) alle 7.30 con 28 gradi e un tasso di umidita' 95%. Scrivere fa fatica, come pensare e muoversi.
Ma continuo stoicamente a rifiutare l'aria condizionata. Che fa tanto americano. Forse per questo continueranno a non darmi la desiderata "green card". Sinceramente detesto questa avversione americana alla traspirazione. Sembra che sudare sia un peccato (capisco quando e' abbinato ad una puzza insopportabile, ma non e' sempre cosi'). Capisco che il caldo sia micidiale ma a casa, che chiamo casa per simpatia ma e' una stanza, ho un ventilatore girevole e domani me ne installano uno di quelli a soffitto, un deumidificatore e le finestre aperte... Insomma non sono proprio in un forno. Eppure so che molti non metteranno piede qui fino al prossimo Ringraziamento perche' intolleranti al caldo. Non sopporto l'intolleranza (accidenti, sono intollerante all'intolleranza) alle cose "naturali". Il caldo, il freddo, la pioggia ecc. Possono piacere o non piacere, e lo capisco ma trasformare le proprie case in igloo perche' la natura di un isola in mezzo al mare e' quella di essere umida, mi sembra esagerato. In piu' io con l'aria condizionata a palla mi ammalo dopo 10 secondi. Cosi' devo sempre andare in giro con una maglia e un foulard...
Stamattina poi, alle 9, ero gia' all'Apple Store. Ho percorso i 10 minuti che mi separano dal negozio, con un top scollato, pantaloni di cotone leggerissimi e sandali. Dorothy al guinzaglio arrancava, Entrambe avevamo le visioni e vedevamo Berlusconi intento a spazzare le strade della citta' con il suo capo che gli faceva un cicchetto perche' provava a barare.
Appena entrate all'Apple Store, sono stata ricoperta da una sottile coltre di neve. Dopo dieci minuti, giacchino infilato e abbottonato, ho avuto la visione di Steve Jobs che allenava gli Azzurri; dopo venti minuti, gli azzurri battevano la slovacchia 63 a 4 (4 autogol di Cannavaro per la gioia di chi lo ha messo in croce). Dopo un'ora avevo gli occhi stile giapponese, una fessura praticamente, nel tentativo di proteggere le pupille che ormai riproducevano scene "moralmente inopportune" (tipo: l'Italia senza Berlusconi, Bossi in Africa a pulire le case dei ex immigrati diventati miliardari, quello odioso ex radicale e ex tutto, praticamente una puttana, di cui pero' non mi ricordo il nome, ma avete capito perche' e' troppo odioso, lui a leccare il petrolio che la BP non riesce a togliere). Quando sono uscita, fra la gioia per il computer che funzionava e il congelamento arrivato al ginocchio, mi sono sentita leggera leggera.
La verita' e' che appena il cervello e' riuscito a rompere il ghiaccio e rifraternizzare con il resto del mio corpo, mi ha fatto pensare che, aria condizionata a parte, io amo troppo questa citta'. Al Genius Bar della Apple, dopo una serie di riparazioni (gratuire) ieri mi hanno cambiato l'hard drive e tutti i pezzi della carrozzeria: tastiera e video. Totale costo della riparazione 217$. Senza garanzia (scaduta) Totale costo pagato dalla sottoscritta: 0 dollari. La Apple ha gentilmento coperto tutte le spese perche' il problema era "persistente" e il computer non presentava segni di "cattiva manutenzione".

Io non so se cio' sia possibile in Italia. E quindi non faccio paragoni. Ma qui e' cosi. E quando ieri sera sono tornata a casa e non sono riuscita a ricaricarmi tutti i dati dalla memoria esterna e sono andata in panico, mi hanno detto che potevo andare all'Apple Store della Quinta strada a qualsiasi ora durante la notte e mi avrebbero sistemato tutto.

Ho aspettato le 9 del mattino perche', a volte, mi dico che uno non deve diventare troppo viziato ad avere TUTTO. E ho voluto far finta di essere in una citta' qualsiasi che la notte DORME.

New York, si dice, e' come una droga. Quando vivi qui, non ne sai fare a meno. Non so. Io so che la amo con tutta me stessa. Ma a volte per piccole cose: amo le banche aperte dalle 8.30 alle 7 (alcune 24 ore su 24, sette giorni su sette) e cosi' non ho MAI fatto la fila; amo il fatto che i negozi (TUTTI) mettano fuori una tazza con l'acqua per i cani (soprattutto in estate); che per usare una toilette (9 volte su 10) non sei costretto a prenderti un caffe' che non vuoi; che entri nei negozi e ti giri intorno, ti misuri cento cose e non ne prendi una e nessuno ti guarda con sguardo arcigno.

Amo New York. E vorrei vivere qui come un americano fa. Con tutte le opportunita', molte delle quali a me sono negate.
Amo New York, nonostante l'aria condizionata e i topi.
La amo tanto perche' ha sapore di liberta' e di civilta'. Ha sapore di buono. Quello che le nostre meravigliose citta' sembrano aver da tempo dimenticato.

Thursday, June 24, 2010

L'Italia che (se ne) va

Ho riguardato, senza alcun intendo masochista, un po' di video dello scorso mondiale, quello in cui "we are the champions".
Nessuna mia parola potrebbe essere altrettanto rappresentativa che "la foto del giorno" del New York Times, con due immagini di Fabio, quella vincente del 2006 e quella a testa bassa di oggi. In entrambe, lacrime negli occhi. Ma dal sapore cosi' diverso.
Ho sofferto a vedere l'Italia uscire cosi. Sebbene meritatamente. E so che i calciatori sono strapagati, viziati e idolatrati come se fossero tutti dei Premi Nobel e che, comunque, da domani, se ne andranno in vacanza con le loro barchette in qualche bel posto.
La verita', almeno secondo me, e' che i calciatori sono strapagati SEMPRE. E sempre in maniera disgustosa e offensiva nei confronti di tutti coloro che buttano sudore sui libri prima e in un ufficio/fabbrica dopo. La verita' e' che lo sdegno degli italiani dovrebbe oggi essere per Pomigliano, per la legge bavaglio e per un paese che e' sempre piu' l'ombra di se' stesso. Ma non e' cosi'.
Lo sdegno e' oggi per quegli 11 (o 22) che sabato torneranno a casa con la coda fra le gambe, consci di aver fatto una figura di merda di quelle epocali. Eppure oggi il sito di Repubblica, che pure io consulto continuamente e ritengo di ottimo livello, ha mantenuto per tutta la giornata la notizia della disfatta, mentre intorno succedevano altre 4 o 5 catastrofi decisamente piu' importanti. Ieri, nel pieno di due bufere, la destituzione del generale McChrystal e il riacutizzarsi della perdita di petrolio, anche l'Huffington Post ha dato l'apertura all'impresa dei ragazzi a stelle e strisce, con quel gol al 90 di Donovan. Per 15 minuti, forse 20, il sito ha titolato con un grande "GOOOOOOOOOOOOLLLLLLLLL" che poi e' diventata seconda notizia, poi terza, poi una delle tante. Il paese in cui vivo, fa dello sport e del suo marketing un'impresa da milioni di dollari. Nonostante tutto, in nessun campo, nemmeno nel football o nel baseball, ho visto mai gli "estremismi" che ho visto (e condiviso, perche' no) in Italia.
Quegli 11 ragazzi in mutande, da oggi ancor piu' in mutande, che senza ragione alcuna, se non la follia di chi continua a trattarli come degli eroi (e per un Cannavaro affondato oggi ce ne sara' un altro da strapagare domani), sono capaci di tenere tutta l'attenzione e di smuovere davvero gli animi, a me fanno, a distanza di quasi 24 ore, un'infinita tenerezza. E non mi sento di dirgli vergogna. Certo, che affrontino cio' che deve venire: perdita di sponsor, uscita dalla nazionale, abbattimento di statue.... Ma non carichiamo sulle loro spalle la vergogna altra di un paese che si rende quotidianamente ridicolo persino quando, per bocca dei suoi governanti, decide di non tifare per quel tricolore di cui a nessuno frega nulla ma che e' il nostro, il simbolo di una patria per cui, altri, scusatemi tanto, hanno buttato il sangue e non in maniera figurata.
Penso a Quagliarella che non riusciva a nascondere le lacrime. "Ho 31 anni ha detto" saperndo che la sua unica occasione di farsi onore con la maglia azzurra e' durata 25 minuti o poco piu'. Il suo omonimo, Cannavaro, a 36 (ma da difensore "pesano" meno) e' stato chiamato "vecchio" in tutti i modi possibili e sbeffeggiato (gratuitamente) da sedicenti giornalisti/e, che dovrebbero andare a lezione di stile da Vittorio Zucconi. Perche' si puo' prendere atto di una sconfitta e riconoscere che Fabio non e' quello di 4 anni fa, ma ci si puo' astenere dallo sputargli in faccia. Solo per una questione di stile. E non perche' Fabio e' mio amico. Io non riuscirei a sputare (metaforicamente) nemmeno a Gilardino che pure e' stato "inutile", perche' poi ti rendi conto che non c'era nessuno a passargli la palla e che lui non e' Quagliarella, in forma strepitosa e con idee intelligenti. Lui e' Gilardino e Lippi lo sapeva. Quando Lippi dice "E' tutta colpa mia" per una volta bisogna solo stare zitti e prenderne atto perche' e' cosi. Ma ora che lo ha detto lui, ritorneremo tutti a dargli addosso perche' avremo bisogno di "altri" colpevoli o di domande tipo "perche' hai sbagliato?". Ma cosa vuoi che risponda???

Mentre tutti sono in vacanza e nessuno parlera' di Pomigliano, si continuera' a parlare di questa "debacle" almeno fino all'autunno, con tiri al bersaglio verso i calciatori paparazzati in qualche posto di mare, perche' (chissa' perche') dovrebbero invece mettersi un cilicio o inginocchiarsi sui ceci. Abbiamo un governo che fa cose irripetibili, facendoci diventare lo zimbello (molto piu' seriamente) del resto del mondo, Ministri che se non erano ministri forse diventavano "galeotti"; Ministre che vogliono inserire il 'berlusconismo" (no, non come offesa) nei piani di studio, milionari che fanno evasione fiscale e che se gli sequestrano la barca fanno una cagnara perche' hanno "creature" che perdono il sonno, escort che senza nemmeno aver fatto troppi chilometri come toccava alla macchina della Ford, diventano consigliere, mezzobusto, attrici e chi piu' ne ha piu' ne metta. In un paese cosi, in cui tutto questo zoo, si trasferira' a giorni fra la Sardegna e Cortina (con un po' di Maremma) chissa' perche' 11 giovanotti in mutande, dovrebbero inginocchiarsi sui fagioli e chiedere scusa per la "vergogna" e toglierci una soddisfazione. Poi a settembre tutti pronti, portafogli alla mano, a ripagarli a peso d'oro: qualunque siano i loro nomi.

Per quanto mi riguarda da domani faccio il tifo contro Germania e Inghilterra (scusami ANNA): perche' i primi ci sfottono e lo sfotto' e' sempre inopportuno e i secondi hanno un allenatore oggettivamente molto piu' antipatico e presuntuoso di Lippi.
Per questioni di cuore tifero' Diego (ma anche perche' la squadra e' buona), i miei "compatrioti" americani e squadre come il Ghana che meriterebbero di alzare quella coppa se non altro per tutta la fame e la disperazione che ci sta dietro.

Per il resto, calcio a parte, tornero' a tifare per gli italiani che vorrei ritrovassero quella voglia di rivalsa che gli undici non hanno saputo trovare. Loro sono usciti, testa bassa, occhi lucidi e spalle pesanti. Noi ci avviamo ad uscire ma chissa' perche' continuaiamo a non accorgercene. Forse perche' il coach del paese e' piu' arrogante di Lippi ma senza aver mai nemmeno vinto una Coppa del Mondo?

Monday, June 21, 2010

e della famiglia

La mia cara amica Suorliana, commentando il mio precedente blog sugli "uomini e gli schiavi", ha lanciato una (gradita) "provocazione", sull'importanza della famiglia e del fatto che oggi, in qualche modo, se ne stiano minando le basi. Suorliana (con la quale abbiamo condiviso i banchi della scuola superiore), notava giustamente che io cito spessissimo la mia famiglia e che la mia "tribu' " ha contato moltissimo nella mia formazione e in quel mio sentirmi libera (o liberata).
Faccio un paio di piccole brevi premesse.
Ho detto spesso di non essere una "cattolica praticante", sono spesso critica con la Chiesa e, ultimamente, mi sento "a casa" nella Sinagoga alla funzione del venerdi' sera. Eppure, lungo il mio cammino, ho incontrato persone, preti, suore, religiosi che mi hanno sentire "fortemente" vicina al "loro" Dio perche' ne interpretavano cosi' bene le parole e i messaggi da non poter non esserne coinvolti. La dedizione, poi, di molti di loro alla carita', all'aiuto dei deboli e alla giustizia sociale e' encomiabile. Il fatto che ci sia chi "predica bene e razzola male" non deve spingerci a mettere tutto nello stesso cesto della spazzatura. Insomma, questo per dire che apprezzo molto Suorliana (e non solo per i ricordi di scuola che ci accomunano) e la sua voglia di confrontarsi, discutere e ascoltare con una volonta' che spesso manca ad altri che su quell'ascolto dovrebbe costruire il proprio lavoro. Inoltre, ascoltare e' fondamentale, anche se per replicare. Ascoltare con orecchie libere e sguardo attento. Senza distacco ne' pregiudizio.
L'altra premessa e' che la mia famiglia e' una di quelle "speciali" e non perche' e' la MIA, famiglia. In loro (e non intendo solo mia madre e mio padre) ho trovato la mie radici ma anche la linfa necessaria perche' mi crescessero dei rami forti in grado di reggere alla tormenta e capaci di accogliere e raccogliere la bellezza di quel cielo al quale, instancabilmente tendono.
La mia famiglia e' stata (ed e') lo specchio dove posso guardarmi ma, allo stesso tempo, noi siamo stati per loro la sfida per migliorarsi, per aprirsi e per non rimanere mai uguali a se' stessi. Mia madre e mio padre, per amore del nostro vivere felici, hanno chiuso in un cassetto il loro egoismo e le loro paure e ci hanno lasciato liberi. Pensate quanto sia stato difficile per mia madre amarmi cosi' come sono. Lei aspettava (considerato il periodo, non avendo io 20 anni) di vedermi crescere, sposarmi, aiutarmi a scegliere un corredo, darle dei nipoti e starle magari anche vicino per poter litigare. E invece si e' trovata di fronte me, che sono frutto di cio' che lei e mio padre mi hanno insegnato ma, sicuramente, diversa da cio' che la "normalita' " avrebbe voluto.
Quando si parla di famiglia, dunque, io non posso che essere d'accordo sul valore fondamentale che essa ha nella vita di qualcuno. La famiglia e' la base. Sono le mani che ti reggono quando inizi a reggerti in piedi, le braccia che ti accolgono quando sei stanco, le spalle che ti sostengono quando hai sonno, la coperta che ti copre quando hai freddo. La famiglia e' la casa e la fortezza inespugnabile dove nessuno puo' venire a farti del male.
La famiglia e' cio' che per primo conta nella crescita di un bambino e per questo io sono cosi incazzata verso coloro che fanno i figli per moda, per solitudine, per raddrizzare un matrimonio o per quella stronzata dell'orologio biologico che le case di pannolini si sono inventate per convincere le donne che devono fare figli per avere un senso. Io non ho figli e non ne voglio ma l'ho scelto e non ho mai sentito, nemmeno un solo momento, di non avere un senso.
E sono d'accordo sull'idea che avere un papa' e una mamma come i miei, e magari una zia come la mia e dei nonni come i miei e cugini come i miei e devo fermarmi altrimenti non la finisco piu', sia piu' salutare e formativo che essere andati ad Harvard (per quando avrei voluto andarci) ma credo anche che se da un lato vada difesa la famiglia come nucleo in cui si forma un individuo, cio' su cui temo di essere in (affettuoso) disaccordo con Suorliana e' il concetto di famiglia.
Parto da un esempio. Una mia amica qui, non americana, buon lavoro, testa sulle spalle, voleva un figlio e a breve ne avra' uno in adozione. Negli Stati Uniti l'adozione e' permessa sia per i single che per le coppie gay. Ovviamene la procedura e' lunga e seria e gli "assistenti sociali" vanno fino in fondo per capire se sei un genitore affidabile. Ora, mi chiedo, il giorno che la mia amica avra' quel bambino fra le braccia, lo nutrira', vestira' e accudira' e amera', non diventera' per lui/lei la sua famiglia? E la famiglia della mia amica che, ovviamente, amera' quel bambino/a con lo stesso amore che se fosse un figlio naturale, non diventera' "famiglia"?
Ricordo Cristian, mio nipote, una sera mi disse che lui non amava addormentarsi perche' sognava di "quando stava nella foresta al buio, prima che mamma, papa' e Serena andassero a salvarlo". Posso mai pensare che noi non siamo la SUA famiglia? O che lui non sia piu' felice oggi che in quei giorni?
Ieri, qui era la festa del papa' e il presidente Obama ha mandato una email per ricordare l'importanza di questo giorno. Ha raccontato, come fa spesso, di suo papa' che lo ha abbandonato quando era un bambino. "Nessuna carica governativa potra' colmare quel vuoto che mi sono portato dentro e che ancora non ho colmato". Eppure, come lui ricorda, e' stato cresciuto da una madre "eroica" e da nonni meravigliosi. Certo, resta il vuoto; ma oggi, credo che Barack Obama, prima che essere un grande Presidente sia un papa' affettuoso e premuroso perche' "comunque" ha avuto una famiglia prima di costruire la sua che ritiene, ovviamente, la cosa piu' preziosa.
Per questo, ancora una volta sono pienamente d'accordo con il MIO presidente quando, per la prima volta, ha allargato il significato del termine "papa' " dicendo che "Nurturing families come in many forms, and children may be raised by a father and mother, a single father, two fathers, a stepfather, a grandfather, or caring guardian," ("Allevare una famiglia puo' essere fatto in forme diverse e i bambini possono essere cresciuti da un padre e una madre, da un papa' single, da DUE papa', da un patrigno, da un nonno o da un tutore"

Saturday, June 19, 2010

uomini liberi e uomini schiavi

"Uno schiavo riconosce il potere del bastone; un uomo libero riconosce il potere della persuasione". Queste parole, pronunciate dal rabbino Koster (la mia amica Chava) durante il sermone del venerdi' sera nella Sinagoga del Village, mi sono sembrate sintesi di cio' che distingue un paese da un alro e un popolo da un altro.
Che sia piu' facile amministrare con il bastone che con la persuasione e' un dato di fatto. Per riuscire a persuadere altri esseri umani bisogna avere intelligenza, leadership, sensibilita' umana ma anche inflessibilita' per il rispetto della giustizia. Governare con il bastone e' facile. Tutto cio' che bisogna fare e' terrorizzare le persone. E se le persone sono state troppo use all'utilizzo della forza come punizione, e' ancora piu' facile. Hitler, pazzo e senza una sola visione di leader che sia possibile ricordare, ha tenuto per le palle tanta europa per tanto tempo. Con l'aiuto del suo fidato compagno di merende, Benito Mussolini, uno che in un paese di uomini liberi avrebbe al massimo ripulito le latrine di qualche discarica pubblica. Invece, con uno stupore che non riesco ancora a cancellare, continuo a sentire chi lo definisce uno statista o gli riconosce dei meriti ridicoli. E non posso non pensare a Massimo Troisi e al film "Le vie del Signore sono finite" e alla scena in cui l'orgogliosa signora fascista, esaltava il Duce per il fatto che "da quando c'era lui, i treni arrivavano in orario". "Basterebbe un buon capostazione", la stroncava il personaggio interpretato dall'indimenticabile Massimo. La verita' e' che Mussolini e' stato una tale piaga per il nostro paese, che ha umiliato, privato della liberta', costretto a guerre insulse, legato al nazismo e reso complice della strage degli ebrei, degli zingari e dei gay che bisognerebbe, ad essere uomini liberi, provare un senso di nausea persino a rivederne uno di quei ridicoli siparietti dal famoso balcone di piazza Venezia. Non dovrebbero poi esserci donne fasciste visto il dispregio e l'offesa con il quale lui le considerava e trattava, ridotte a semplici giocattoli di piacere da usare e buttare via.
Ora se e' vero che le figure di tiranni sono esistite ovunque, e' pur vero che altri popoli hanno legato quei nomi al dispregio e alla condanna totali. Insomma io non riesco a pensare ad un tedesco (a parte gli stronzi neonazisti, pazzi appunto come quell'altro) che tenti di riabilitare la figura di Hitler per qualche buona legge che magari (mi sfugge) ha pur fatto. In Germania, si vive la vergogna del nazismo con una dignita' che e' esemplare per un popolo che di quella vergogna, come uno schiavo, inebetito dal bastone, si e' reso complice.
Eppure gli schiavi possono diventare uomini liberi. Come ha insegnato il sogno del dottor King. Ma per farlo devono sentire fino dentro le viscere l'orrore e l'ingiustizia della schiavitu' e, anche, devono avere leader che sappiano persuaderli che c'e' un mondo migliore. Ma un leader, senza il popolo disposto a seguire la sua visone, non conta granche'. E un popolo che, in fondo, accetta di buon grado la sua schiavitu', non produrra' mai un vero leader.
Gli Stati Uniti d'America hanno, per otto anni, vissuto sotto la presidenza di George W. Bush. Dopo e' arrivato qualcuno che li ha "persuasi" a condividere una visione di mondo migliore e loro hanno scelto fra il bastone e la responsabilita' personale.
Ma, c'e' sempre un ma, accettare il bastone significa "solo" piegarsi pedissequamente agli ordini insulsi e irragionevoli di chi comanda. La silenziosa accondiscendenza tiene buono il padrone e fermo il bastone. E lo schiavo non prende colpi sulla schiena e arriva a sera, piegato come un somaro, ma senza lividi.
L'uomo che accetta la responsabilita', drizza la schiena e sa che quelle bastonate le puo' prendere anche in faccia. Ma un uomo e' nato per stare in piedi e con la schiena dritta e per guadare in faccia chi prova a piegarlo.
Il leader di un umo libero non prova a piegare quell'uomo ma lo educa, lo spinge, lo invita a guardarsi negli occhi e a discutere, sapendo che il futuro e' nelle piccole/grandi responsabilita' di ciascuno.

Educare. E' una delle parole che preferisco nel mio vocabolario. Quando eravamo piccoli, mio padre ci raccontava di mio nonno, Alfredo Vitaliano, contadino, che la sera, camminava dalla campagna al paese per andare a scuola. Prima di entrare, con un fazzoletto, si puliva le scarpe impolverate durante il tragitto. Mio nonno voleva imparare a leggere e scrivere perche' sapeva che altrimenti sarebbe stato sfruttato piu' facilmente dagli Azzeccagarbugli o dai ducetti di cui il mondo non e' mai privo. Mio nonno mori' a 41 anni per il diabete e mia nonna e le mie zie lavorarono sodo per mandare avanti la famiglia, mentre il paese moriva di fame e di vergogna per le "audaci" ridicolaggini di Mussolini. Mio padre dovette lasciare la scuola, con suo grande dolore ma ha studiato da solo, divorando libri. Mentre crescevamo ci ha insegnato, "persuadendoci", il valore dell'educazione e ha preteso sempre il massimo da noi. A casa, con mio padre e mia madre, e' iniziata la mia educazione di donna libera. Che non e' ancora terminata.

La liberta' pero' e' responsabilita'. Quotidiana e senza riposo. E con la schiena dritta e lo sgurado fiero, rivolto in avanti.

Due ministri di Obama, si dimisero poco dopo la nomina, per una vecchia questione di evasione fiscale (abbondantemente ripagata). Uno dei due, aveva mancato di pagare 180$ (forse meno) di contributi alla sua collaboratrice domestica. Meno di duecento dollari di contributi l'hanno fermata dall'essere un Ministro. Non ho nemmeno voglia di fare riferimenti all'attualita' di recenti nomine nel governo italiano. Da donna libera, quelli io non li ho mai votati. Benito Mussolini e Silvio Berlusconi sono l'immagine di una stessa medaglia che, ahime', continua ad avere un grande fascino sugli italiani. Pero' penso alla mia parte politica, al mio partito e a quell'assenza totale di spina dorsale che continua ad avere. E mi chiedo perche' Bersani abbia dovuto provare a persuadermi, alle ultime regionali, a votare un candidato pluriindagato, piuttosto che sforzarsi di persuadermi a votare un signor nessuno MA con una vita accettabilmente cristallina? Forse il sindaco De Luca sara' innocente. Forse. Ma al momento e' indagato per cose gravissime di cui addirittura si dice fiero.

Educare. Ecco cosa rende gli uomini liberi. Ecco perche' la Gelmini uccide la cultura e nessuno se ne frega.

Educare significa persuadere ad essere migliori. Non a farla franca.