Monday, April 22, 2013

The price of a passion

Let's start with a premise: I don't give a "damn" to call myself a journalist. Sometimes I would prefer to be a baker at Magnolia Bakery and live wrapped in that wonderful smell of sugar and cream and colored cupcakes. I would not even gain weight because I don't like cupcakes.

So I am not part of that category of people that likes to precise "I am a journalist or a freelance" and goes around with some badge hanging from their neck as a leash, not even very elegant. Every time they give me a "badge", honestly, all i think is that I will have access to the buffet and eat for free. Should I feel ashamed? Not at all. because I am not rich and sometimes I cannot shop grocery. So a free meal is always welcome. And if it is offered to stay 8 hours to follow the boring meetings of a summit where the most exciting thing is to meet the President, well, than that badge is well deserved.

My dream is to cook. My goal is to have a radio show. What I do easier is writing. When I lived when roommates back at the University, every Valentine's day, I was - of course - single and In charge for writing all their Valentine's cards. Each one different from the other. I don't like to make copies. This is why I was able few times to write - as a ghost writer - 3 different prefaces for the same book, signed by 3 different people.

All this said. Often people insult me when I write and honestly I don'g give a damn to this either. I notice, though, often smiling (sometimes getting angry) that many people say that i don't understand anything because I live in my "golden new yorker world", overpaid and with the only obligation to move from one fancy party to the other.

People don't know anything but they try to insult you using some stereotype that somebody else stuck in their brain. i know this as well.

Another short premise, before to get to the point. I am happy here and I don't want to go back. I already found the bench, in Riverside Park, facing the river that, thanks to a fundraising that Chiara will hold, the city of NY will devote to me. I want to stay here even after my death, to stay alive.

Yesterday I was in Boston. I wrote an article, I think a good one. That article will be paid - may be - in couple month and the money will barely cover the expenses that I paid upfront for the bus and a sandwiches and the water. For free, as all blogger, I have also written a blog and twitted all day long to give details "live". i think I did a good job. To save money I didn't fly there or took the train but I spent 9 hours in the bus (round trip) and when I get there I could barely move my legs. I choose the less expensive sandwiches and I drank a Coke because it is less expensive than water . I walked around Boston with 2 heavy bags to save the money for the cab and I took pics using the camera I am paying monthly and when it was time to write the article i realized that the nearer Starbucks was closed and I didn't have internet. I wanted to cry. Then - as a revelation - I saw my gym!!!!! My only, precious luxury that I keep. I went in and I looked for a plug in for my Ipad and because the cable was too short I wrote the article sitting on the floor with the music aloud of the gym and people working out all around. I was starving and thirsty but I couldn't move because my deadline was almost there.When I pushed "send" and my boss said "all ok" I stayed there few minutes wiling to cry. I had to pee and I couldn't move my legs. But right then I got a message from somebody saying "great work today". 


When you are a journalist, when you have this damn passion, it is hard to ask which is the price to pay before to start. The price that a freelance pays, then, is inhuman. In my country, we are nothing, We don't have dignity. We don't have fame. 


I don't "hate" my colleagues with rich salaries, benefits and hotel where they can rest and write and pee and restaurant where to eat. I don't hate them. But very often they look at us in a snobbish way, almost with disgust, always with indifference. Many other people, then, have a wrong idea about us, that contribute to make us more and more invisible.

If someone asks me if I am a journalist, i say "no". Journalist is someone that can live with this job. I do other things to survive. Shamelessly I often survive with the help of friends, all Americans, who send me grocery home or buy me stuff when I cannot. My family help me even if they are not rich at all but they believe in me and support me any way. I survive because I am humble and proud and versatile and I consider myself much better than others that never took a chance to accept a challenge and go for it. When someone asks me what do I do, I say "I write" that means all and nothing. And when they ask me if I am a journalist I say "no" and I explain that to be a journalist in the country where I was born you don't have to be good (and I am good) but you have "to know someone powerful" - "someone". As for any other job.

Yesterday I wrote about Boston. My dad told me "you always put a little of heart in what you write. Not your colleagues. May be you should do like them". May be not, dad. They "do" a job. I allow myself the luxury of a passion






Wednesday, April 17, 2013

Il prezzo di una passione

Partiamo da una premessa: a me di dire che "sono" una giornalista non importa nulla. A volte preferirei essere una pasticciera da Magnolia Bakery e vivere fra quell'odore meraviglioso di zuccheri e creme e cupcakes colorati. Nemmeno ingrasserei perche' i cupcakes non mi piacciono.

Io, dunque, non appartengo alla categoria di chi ama precisare "pubblicista o professionista" e se ne va in giro con badge attaccati al collo come collari per cani, nemmeno tanto eleganti. Ogni volta che mi danno un badge, onestamente, tutto cio' a cui penso e' se questo mi da' diritto ad accedere ad un buffet e mangiare gratis. Vergognarmi? Assolutamente no. Perche' sono povera e spesso non ho i soldi per fare la spesa. Dunque, un pasto gratis fa sempre comodo. E se me lo offrono per stare 8 ore a seguire i lavori noiosissimi di un Summit, dove l'unica cosa bella e' incontrare Barack Obama, allora e' meritato.

Il mio sogno e' cucinare. La mia aspirazione e' parlare in radio. Cio' che faccio con piu' facilita' e' scrivere. Quando vivevo con le mie coinquiline, ai tempi dell'universita', a San Valentino, io puntualmente single, scrivevo i loro biglietti per i fidanzati: tutti diversi, tutti cuciti addosso alla persona. Non mi piace copiare. Trarre ispirazione dai dati si', ma copiare lo detesto. Per questo sono stata capace, in un paio di occasioni, di scrivere prefazioni allo stesso volume firmate da tre persone diverse: tre prefazioni diverse per contenuto, linguaggio e stile.

Premesso cio'. Spesso mi insultano quando scrivo e onestamente nemmeno questo mi importa particolarmente. Noto, pero', spesso, sorridendo (a volte incazzandomi) che molti mi accusano di non capire un cazzo di niente perche' me ne vivo nel mio modo dorato newyorchese, strapagata e obbligata solo a passare da una festa all'altra di gente Vip.

La gente non sa nulla ma prova ad insultarti usando stereotipi beceri che qualcun altro gli ha messo nella testa. So anche questo.

Un'altra piccola premessa, prima di arrivare al punto. Io qui sono felice e non tornerei in Italia. Ho gia' persino individuato la panchina a Riverside Park, che guarda al fiume e che, grazie ad una colletta di amici che Chiara organizzera', la citta' dedichera' al mio nome. Voglio restare qui da viva e da morta, per continuare a vivere.

Ieri ero a Boston. Ho scritto un pezzo, secondo me bello. Quel pezzo, fra un mese o un mese e mezzo mi verra' retribuito con una cifra che ripaga malapena il biglietto dell'autobus per andare a Boston e il panino che ho mangiato e l'acqua che ho bevuto. Gratuitamente, come tutti i blogger, ho anche scritto un blog e tweettato per tutta la giornata per raccontare la cronaca del day after. Credo di aver fatto un buon lavoro. Fra molte settimane, dicevo, mi arrivera' un pagamento (che ad altri nemmeno arriva, lo so) che coprira' poco o niente. Sottolineo che, per risparmiare, non ho preso l'aereo e nemmeno il treno (300$ il treno contro i 35$ del bus) e mi sono fatta NOVE ore di viaggio andata e ritorno che all'arrivo non potevo nemmeno muovere le gambe. Ho mangiato un panino, scegliendo rigorosamente il piu' economico e ho bevuto una coca cola perche' costa meno dell'acqua. Ho attraversato Boston a piedi con due borse pesanti per non prendere un taxi ne' comprare il biglietto della metropolitana. Ho fatto foto con la macchina che sto pagando a rate, 30$ al mese, e quando dovevo scrivere il pezzo mi sono resa conto che l'unico Starbucks vicino (dove puoi sederti senza consumare) era chiuso. Avevo voglia di piangere perche' ovunque avrei dovuto comprare un credito e spendere altri soldi. Poi ho visto, come se avessi visto la madonna, la sede della mia palestra, il mio vero unico lusso newyorchese: una palestra la cui membership ti da accesso alle sedi di tutti gli USA. Sono entrata li' trafelata e mi sono seduta a terra perche' il filo dell'Ipad era troppo corto e ho scritto. Ho scritto mentre intorno, musica ad alto volume, la gente faceva ginnastica. Avevo sete e fame ma non potevo muovermi perche' il tempo era quasi finito. Quando ho schiacciato invio e il capo mi ha detto "ok", sono rimasta seduta li' per qualche minuto con tanta voglia di piangere. Dovevo fare la pipi e le gambe non le sentivo piu'. Ma poi mi e' arrivato un messaggio e qualcuno mi diceva "brava, ottimo lavoro". Giusto il preludio delle parole di mia madre, stamattina, "mi hai fatto commuovere".

Quando "sei" giornalista, quando hai questa maledetta passione ti viene difficile chiedertene prima il prezzo. Quello che paghiamo noi, freelance, carne da macello, anime calpestate e nomi senza dignita' di gloria alcuna, e' un prezzo disumano. Di cui nessuno prova vergogna. Nemmeno, ovviamente, quel comico volgare che ci definisce "poveracci da 10 euro al pezzo".

Non "odio" i miei colleghi da stipendi da tanti zero al mese, con belle case, hotel dove riposare e scrivere e fare pipi e ristoranti dove mangiare. Non li odio. Sia chiaro. Ma noi siamo carne da macello e, spesso, anche loro ci guardano con un'insopportabile puzza sotto il naso. Gli altri poi, hanno di noi immagini assolutamente lontane dal reale che ci rendono ancora piu' invisibili.

Se mi chiedono se mi sento una giornalista dico di no. Giornalista e' chi puo' vivere di questo mestiere. Io faccio altro per consentirmi il lusso di scrivere. Io, senza vergogna, spesso sopravvivo con l'aiuto di amici (americani) che mi mandano una spesa a casa o che mi regalano vestiti o persino una visita medica. Vivo dei "regali" che mi fanno mia madre e mio padre ritagliandoli da una pensione ridicola e della mia versatilita', della mia umilta' e del mio orgoglio che mi fa sentire sempre una spanna superiore a tanto marciume che languidamente stagna sotto di me. Se mi chiedono che faccio io, al massimo, dico "scrivo" che significa tutto e niente. E quando mi dicono "sei una giornalista?" dico no e spiego che nel paese dove sono nata, per "essere" una giornalista devi essere ricca o avere "gli amici giusti". Come per tutto il resto.

Ieri ho raccontato Boston. Mio padre mi ha detto, tu ci metti sempre un po' di cuore, gli altri no. Forse dovresti fare anche tu cosi. Forse no papa'. Loro fanno un mestire. Io mi consento il lusso di una passione.

Friday, April 5, 2013

Pensieri ad alta quota


Quando sei seduto in aereo per quasi tre ore, incastrata fra due dormienti compagni di viaggio, assolutamete sconosciuti, e' inevitabile che, sebbene dovresti finire "assolutamente" quell'articolo, la mente cominci a volare per fatti suoi, capricciosa e incapace di starsene qui seduta. E sul mio viso si alternano sorrisi e malinconie a seconda delle immagini che si avvicendano dinanzi ai miei occhi.
Mamma e papa che salutano dal balcone. Dorothy e' con me. Questa volta viene anche lei a NY. Quella volta papa' SA che sto andando via per sempre. O perlomeno un persempre abbastanza lungo per fare male. Molto male al cuore. La mano si agita mentre gli occhiali sa sole nascondono lacrime a rivoli, senza vergogna. Quando lasci tutto alle spalle non c'e' spazio per la vergogna, non c'e' tempo per essere adulti. Dorothy nel trasportino non sa. Salutarla nella disorganizzazione terrificante dell'aeroporto di Capodichino quasi mi ferma il cuore. Una delle prove piu' difficili alle quali la mia sfida alla vita mi ha sottoposto. L'aereo parte con due ore di ritardo. Chiedo al caposcalo della Eurofly se hanno dato da bere a Dorothy, quello mi guarda e mi ride in faccia e mi dice "a quest'ora il cane sara' bello che morto". Ho volato per 9 ore piangendo senza tregua, pregando e parlando con Dorothy, chiedendole di non morire, di sentirmi perche' io ero la' e presto l'avrei abbracciata. Quando ho ritrovato il trasportino abbandonato nel mezzo dell'aeroporto (in barba a tutti i regolamenti che obbligano uno dell'equipaggio a stare li con il cane ed aspettare il proprietario) mi sono gettata a terra sulle ginocchia e ho aperto la porta. Dorothy ha lanciato un ululato che ha fatto accorrere i poliziotti. Ci hanno trovate abbraccite, lei non riusciva a stare in piedi. Mi hanno detto gentilmente che non poteva stare fuori dal trasportino. Ma mi hanno aiutata e scortata, quando sono passata di fianco alla flotta dell'Eurofly li ho maledetti tutti. Non ho mai piu' volato Eurofly. E maledico le compagnie aeree che lasciano volare chiunque ma non i cani, nemmeno uno per volta, a bordo come esseri umani.
Sono entrata in un bar. Sto tornando a casa ma fa troppo freddo. il primo inverno a NY mi sta mettendo a dura prova. Non ho soldi, tanto per non cambiare, ma un caffe' caldo ci vuole. Costa meno di taxi. Mentre comincio a riprendere i sensi mi accorgo che di fianco c'e' un uomo che mi guarda e sorride. Gli sorrido e mi dice qualcosa sul gelo che c'e' fuori. Cominciamo a parlare. Ha studiato un po' di italiano e lo parlicchia. Mi accordo che e' proprio belloccio con occhi azzurri come il bellissimo maglioncino. Di cashemere ovviamente. Mi chiede se vogliamo prendere un tavolo e cenare insieme. Penso ai soldi che non ho ma penso anche che "cavoli, quante volte succede una cosa cos". Arrivano i menu' - scorro con sguardo gia' addestrato, a cercare la cosa meno costosa ma lui mi chiede, facendo mi raggelare, se gli do' l'onore di ordinare per entrambi. Ovviamente senza ritegno. Lui parla, racconta, e io penso a come potro' recuperare quei soldi... Arriva il conto, un brivido mi attraversa la schiena. Non riesco a muovermi per l'ansoia. Una frazione di secondo e lui ha gia' messo li' la sua Amex gold. Sono innamorata. Mi vedo gia' camminare verso bloomberg con fascia a stelle e striscie che ci unisce per sempre, nel bene e nell'american express. Finalmente sono serena. Usciamo. Nevica. La neve mi distrae dalla sua voce che mi chiede se puo' offrirmi un taxi. Abito a due blocchi, rifiuto signorilmente. Si avvicina e mi dice "domani vado a londra, al ritornovoglio rivederti". Si avvicina ancora e mi bacia, facendomi andare all'indietro proprio come in un film. Quello della mia vita. Quello bello perche' bella sono io, sotto la neve.