Saturday, October 23, 2010

Dillo alla luna

Ho imparato a guardare in alto, verso il cielo.
Per questo forse mi piace New York. Con tutte quelle vette che si stagliano verso il cielo, sei spinto a guardare ancora piu' su. Ancora e senza paura. Ignaro di quel cuore in gola e del fiato corto. Piu' su.

Guardando su impari anche a non essere invischiato dalla miseria umana. Non quella economica ovviamente. Quelle di miserie umane di gente piccola e meschina, abituata a rasentare i muri con la sguardo basso, come don abbondio, come i topi. Almeno i topi, che mi fanno orrore, sono creati cosi' dalla natura, gli uomini/topi avrebbero tante scelte, potrebbero guardare al cielo e invece scelgono di sporcarsi lo sguardo con lo sporco della strada.

Mi sono svegliata stamattina con la certezza che avrei trovato la peggiore conferma alle mie preoccupazioni. Ho un sesto senso per quello.

Per assurdo mi sento quasi liberata. Odio essere nel limbo di chi non sa. E sapere, sebbene doloroso, ti permette di elaborare un lutto e ripartire da qualche altra parte. Ancora e sempre guardando il cielo.

Liberata dalla meschinita'. Ho vissuto una vita per essere libera dalla miseria umana. per non esserne toccata dopo che per anni mi ci ero dovuta sporcare le mani, con portaborse, leccaculo e pettorute bamboline di ogni genere.

Si sceglie sempre nella vita. Anche quando si sceglie di non scegliere. Di non diventare uomini con il rispetto che si deve a questa parola.

E se ho lacrime sono di rabbia e non di dolore. Una rabbia acuta.

Ma la rabbia, piu' del dolore vero che non passa mai, passa e si stempera e dilegua nel corso del tempo.

Ora vado al parco. Il cielo e' terso e il sole alto e fa freddo e mi piace. Dorothy al mio fianco come sempre, indifferente al fatto di cio' che io faccio per vivere. A lei basta che io sia viva.

A dire il vero, basta anche a me. Perche' io vado al parco e continuo a guardare il cielo, appena velato dalle lacrime che per ora (solo per ora) non riesco a fermare.

Qualcuno si svegliera' tronfio di orgoglio, nemmeno toccato dalla vergogna di essere costretto per tutta la vita a camminare rasente il muro, nelle ombre e senza mai guardare il cielo.

Monday, October 11, 2010

sono qui per l'amore

Seduta nel silenzio della mia mente, mentre i rumori d'intorno sfioriscono come una rosa appassita.
Poi quelle note... Imagine... John che canta la sua visione di un mondo di pace
Pace anche dentro di noi.

Guardo fuori dal vetro e vedo Harlem, il mio nuovo quartiere, cosi diverso eppure gia' cosi' caro e familiare alla mia pelle e al mio sguardo.

Ho un peso nel cuore. Qualcuno ha rubato un pezzo del mio sogno. No, anzi, qualcuno ci ha solo sputato sopra, senza riguardo.
Ma il sogno e' li'... intatto.

Sono a New York, dove volevo essere. E scrivo. Qui in questo spazio che nessuno mi puo' togliere o dare perche' e' mio e vostro che avete voglia e cuore di leggermi.

Quel coltello piantato nella schiena quasi non fa gia' piu' male. Dovrei imparare a guardarmi sempre le spalle. Ma che vita sarebbe, camminare con lo sguardo basso o rivolto indietro.

Chi mi ha ferito non mi ha mai guardato dritto in faccia. Negli occhi. Occhi che si affrontano come lame. Ci vuole coraggio. piu' facile affondare un coltello alle spalle mentre si e' distratti da una contingenza che si chiama vita.

Ma la lama, ben affondata, quasi non fa piu' male e non c'e' sangue. Camminero' cosi' per un po'. Con una lama nella schiena ma non meno viva. Non meno vitale.

Sguardo fiero. Occhi che si affrontano come lame: di quelle nobili in cui persino quella che cade a terra perdente, non e' mai veramente sconfitta.

Non capisco di coltelli che si affondano nella schiena. Non mi appartengono.

Friday, October 8, 2010

Lorenzo

Lorenzo mi ha scritto per chiedermi se le cose andavano proprio cosi' male. Un amico vero sa che quando io sto zitta e' perche' sto male di brutto.

Questa volta, con un sorriso, liberandomi un po' dall'alone pseudo tragico in cui mi piace a volte avvolgermi, non si tratta di quello. Di mezzo c'e' (solo) un trasloco, l'ennesimo e una disavventura con Internet che, nella citta' piu' cablata al mondo, non ho e non avro' per un'altra settimana. Di mezzo ci sono stati scatoli, confusione e assenza di un minimo di tranquillita' per digitare qualcosa. Anzi di forza.

Ma sono qui.

Vi ascolto ;)

Dalla mia finestra guardo Harlem e mi piace. E' un nuovo inizio.

Per le scale, trasportando scatoli, come sempre, ho perso cose e persone e ne ho trovate altre. Quelle perse non le cito, perche' sono gia' dimenticate. Ma ho trovato le borse di Ikea che non trovavo da mesi, il mio piccolo Ipod shuffle, rossetti e trucchi vari sepolti da qualche parte, i ferri per la maglia, Andrea, il capitanomiocapitano che si e' fatto un mazzo tanto ad aiutarmi nel trasloco, il barettos otto casa, dal quale scrivo, dove mi sento gia' come fossi qui da sempre e dove gia' mi salutano come se la mia vita non fosse stata altrove che qui.

la mia vita non e' nulla di piu' semplice o difficile ora. E' ancora un progetto di un sogno e duro lavoro per portarlo avanti. A volte con sudore e lacrime. Spesso con sorrisi.

Io ci sono. Lo dico a me. lo dico a Lorenzo e a voi se puo' interessare.

Ci sono, e non mi arrendo


E sono ad Harlem, la mia nuova New York, la mia nuova casa, il mio nuovo rifugio.