Monday, December 31, 2012

vi auguro sorrisi

Ieri sera, tornavo dalla spesa. Faceva molto freddo e il vento mi sbatteva forte sulla faccia. Nell'aggiustarmi il cappello ho guardato al cielo. E ho sorriso.

Ci sono momenti, inaspettatamente, in cui mi ricordo di essere a New York. Momenti in cui le rughe in piu', il dolore nelle braccia (i cani "pesano"), il cappotto troppo vecchio e la lontananza - la lontananza piu' di tutto - da chi amo, assumono un senso, diventano ragione, motivo e spiegazione. Io sono a New York e ce la sto facendo e non ho quasi piu' paura a dirlo.

Perche' non ho piu' paura a vivere. O ne ho. Ma la paura sta insieme alla gioia, alla curiosita', alla speranza, all'entusiasmo e allora diventa dolce e sopportabile.

Il 2012 e' stato duro per tanti. Lo so.

Eppure per me, nonostante non sia stata una passeggiata, e' stata vita. Intensa, importante, significativa. Vita. In cui ho riso, pianto, preso batoste, preso chili, perso chili, avuto l'ansia, l'insonnia e il mal di pancia, in cui ho comprato trucchi che non ho usato, libri che non ho letto e amato scarpe che ho misurato senza poi comprare. In cui ho imparato molto, dimenticato tanto, perdonato ancor di piu'. In cui ho odiato e amato. In cui mi sono commossa, seduta di fronte a Barack Obama o nella notte magica della sua rielezione. In cui mi sono incazzata di fronte ad ogni razzismo, ogni ingiustizia, ogni qualunquismo, ogni indifferenza. In cui mi sono intristita per un declino inarrestabile di un'Italia che non riusciamo ad amare piu'. In cui ho perso amici e ne ho ritrovati. Ho fatto sogni che non ho realizzato ma ne ho avuto immediatamente altri che hanno preso forma e sostanza. In cui ho visto il mare. Ho messo i piedi nella sabbia e mi sono accoccolata vicino a mio padre e mia madre. In cui ho guardato con orgoglio e nessuna obiettivita' i miei nipoti, trovandoli i piu' belli, i piu' bravi: la meraviglia. In cui ho alzato la voce fino a farmi uscire il cuore dal petto contro Equitalia e un paese che mi distrugge la vita: ci prova. In cui ho sussurrato "ti amo" a Dorothy, il piu' grande amore della mia vita, la mia compagna, la mia ombra, la mia anima bella. La mia forza. In cui ho cambiato ancora casa e fatto "casa" un appartamento qualsiasi. In cui ho comprato piante, raccolto quintali di cacche e coccolato cani per ore innumerevoli. In cui ho guardato le vetrine sognando. In cui sono andata da Bergdorf e Goodman a misurare cose che non posso comprare. In cui ho viaggiato in prima classe per la prima volta nella mia vita. In cui ho riscoperto le mie foto di bambina e ho scoperto che ero bella, bellissima e non come mi ricordavo, grassa. Mi sono ritrovata e mi sono amata. Finalmente.

Saluto cmq a malincuore il 2012 perche' e' un anno di vita che mi lascio alle spalle ma accolgo con ottimismo e coraggio il 2013. Perche' ho grandi progetti per me. Grandi speranze per me. Grandi sorrisi per me. E il piu' grande di tutti si chiama "onorare la vita"

Se voi state leggendo, sapete che siete parte del mio cuore. Come lo zucchero in una torta. Il lievito nel pane. La cioccolata nei Lindt. Siete parte integrante del mio esistere. Siete il mio sostegno, l'appoggio, il porto in cui riposare, il salvagente a cui aggrapparmi, la coperta con cui coprirmi. Siete i mie occhi, il mio cuore e il mio respiro tranquillo mentre dormo.
Siete parte della vita che tanto amo.

E allora. Vi auguro sorrisi. Incontabili.

Tuesday, November 27, 2012

Benjamin

Ieri sera ho comprato l'albero. Un metro e 70. Grasso ;) L'ho chiamato Benjamin. Do un nome a tutte le cose che mi circondano e che hanno vita. Ne volevo uno finto naturalmente ma costava troppo e gia' Benjamin mi e' costato quasi quanto il paio di stivali che ora non comprero'. Ma non importa. Intorno a me deve essere Natale, come lo e' dentro di me.

Questo periodo dell'anno e' stato per me il piu' difficile da affrontare appena trasferita. Ricordo il primo Natale, solo il primo, in cui mi ritrovai da sola, con Dorothy, un freddo che ti spezzava i denti e un tavolo a ristorante senza compagnia (di solito mi piace mangiare da sola). Giurai che non sarebbe successo piu'. E finora ho mantenuto la mia parola con me stessa e con Dorothy.

Ieri sera lei guardava me trafficare intorno a Beniamino, aggiustarlo, mettergli l'acqua e si e' messa vicina vicina per sentirne l'odore. Fino a febbraio tutto cio' che si sentira' in giro sara' odore di resina e boschi.

Quando ero piccola ho avuto dei Natali epocali. come quelli dei film. Ne ricordo i sorrisi, le lacrime, i tavoli affollati, le voci che si sovrapponevano, mia nonna a capotavola (alla faccia di tutti i beceri maschilismi) un po' silenziosa a guardarci rincorrendo chissa' quali pensieri, le cantate, le processioni di noi piccoli in giro per la casa con il bambinello fra le mani, tu scendi dalle stelle, castagne dimenticate nel forno, finocchi gia' finiti prima del pranzo, calzoncini di cioccolata e castagne e dormire con le mie cugine e pandoro nel latte al mattino e revisione di tutti i regali... sono stata buona pensavo.... sono stata buona e mi sembrava che non mi mancasse nient'altro che avere i capelli lunghi. Non desideravo altro. Forse nemmeno quello.

Se oggi sono forte nella mia debolezza e capace di un sorriso anche con il cuore pesante e' merito di quei Natali. Di quel "Lucarie' scetete" visto e rivisto mille volte, della stanza dei "maschi" che giocavano a poker, del cinema di tutti i cugini insieme il giorno di Natale, dei racconti di zia Elena, le mattine buie e fredde in cui andava a lavorare alle cotoniere mentre le sue amiche facevano le bamboline di porcellana, truccate e benvestite, di noi in piedi sulle sedie, anno dopo anno, a recitar poesie e poi in giro a baciare e raccogliere soldi e i vestiti nuovi e le scarpe belle e il cappottino ereditato dalla cugina piu' grande perche' tutto non si puo'. E papa' che aveva sempre il turno di notte e doveva mangiare presto e andarsene e a noi tutti dispiaceva tanto ma lui, comunista, non ha mai preso un solo giorno di ferie o di malattia durante le vacanze. Non potro' mai smettere di essere comunista perche' per me e' sinonimo di persona perbene. Come mio padre.

Amo Natale come avessi ancora sei anni e i capelli corti e gli occhi che vogliono conoscere risposte inaccessibili. Lo amo persino nella sua malinconia di non essere piu' lo stesso perche' cio' che amo e' che io l'ho avuto e ora sta a me perpetuarne la bellezza, l'incanto, la leggerezza momentanea dagli affanni del vivere.

Da dieci giorni non scrivo quasi piu'. Sapevo sarebbe accaduto. Chiuso il sipario sulle elezioni americane sarei tornata ad essere un pezzo di lacerto in macelleria. Mi manca da morire. Mi sveglio senza trovare quelle mail che mi hanno costretto a scrivere ovunque, persino seduta a terra davanti al bagno di Starbucks e ho le lacrime negli occhi. Certo perche' non sapro' poi come pagare i miei conti ma anche e soprattutto perche' mi manca il rumore di questa tastiera che sembra conoscermi piu' di quanto io conosca me stessa perche' mi racconta. Come ho gia' detto.

E, ieri, nella mia tristezza che ho provato a nascondere, ma poi e' emersa facendomi rinchiudere come se fossi una lumachina, nel mio guscio, il piu' affettuoso abbraccio mi e' arrivato da una mia amica che amo molto e che mi ha detto "supereremo insieme questi brutti momenti che stiamo affrontando". Lei ha 32 anni e il cancro. E l'amore con cui mi ha detto questa cosa non mi ha fatto vergognare di me stessa ma solo venir voglia di prenderle la mano e andare con lei in un bosco ad urlare. Ma poi mi ha detto, vedendo la foto di Beniamino, che quello era tutto cio' che il dottore aveva ordinato.

E' vero.

Nel silenzio di una mattina di fine novembre che attende la neve, io lascio queste lacrime scendere senza interrompere l'assenza di suoni. Quando usciro' da questa stanza, aprendo la porta, vedro' Beniamino, ne sentiro' il profumo e vedro' Dorothy stesa li' vicino. E sapro' che la mia vita, come avrebbe detto zia Elena, e' meravigliosa. Perche' sgualcita come un fazzoletto messo malamente in una tasca dopo esserti asciugata le gote da un pianto. E' sgualcita come tutto cio' che e' meraviglioso dovrebbe essere. Perche' in una piega, poi, ritrovi sempre un pezzo di vita attaccato.


Thursday, November 22, 2012

Thank you

Grazie
  • per la vita che e' tornata a pulsare nelle tue vene, proprio quando sembrava essere fuggita via per sempre. Grazie per la vita che abbiamo e, spesso, diamo per scontata.
  • per questa citta' che mi emoziona, mi commuove, mi da energia, mi fa innamorare, mi fa incazzare, mi fa stancare, mi fa spaventare, mi fa sentire viva. Grazie perche' sono a casa
  • per gli amici che mi hanno abbracciata, offerto uno spalla per piangere, stretto una mano, regalato un sorriso, scritto una parola e regalato un po' del loro vivere. Grazie per essere come caldarroste su un camino, nel giorno di Natale, in una casa di campagna.
  • per la famiglia che e' roccia, guanciale, coperta, ventilatore, latte e pandoro, regali nascosti, abbracci non dovuti, patate a fette sulla fronte che scotta, bagno caldo per ossa dolenti, carezza sul viso mentre dormi in silenzio. Grazie.
  • per quelli che mi dicono "sei un'illusa" "sei una sognatrice" "sei..." come se mi conoscessero fin dentro le pieghe della mia anima plissettata. Invece conoscono solo il loro disincanto, la loro amara apatia, le loro inconfessate paure. Grazie perche' mi fate ricordare davvero quanto io sia fortunata ad avere capacita' di restare incantata di fronte ad una luce natalizia, sempre e comunque.
  • per Dorothy, mia compagna, mia amica, mio sostegno, mio sguardo verso il mondo. Quando non sarai piu' con me io non saro' piu' cio' che sono. Ma, oggi, insieme, noi siamo una meraviglia. Grazie per avermi riportato alla vita, dieci anni fa, quando, pur avendo visto l'abisso, ci sono saltata dentro.
  • per te, che mi ami da lontano e a modo tuo. Ti amo anche io. Grazie per non essertene mai andato del tutto.
  • per l'umilta' che ho imparato. Che non e' quella che ti fa comportare come se fossi l'ultimo degli ultimi. Quello e' servilismo. Ma per quella che ti fa conoscere bene dove sei, dove puoi andare e, nonostante tutto, sentirti bene. Grazie perche' altrimenti non sarebbe stato possibile per me sopravvivere
  • per i chili persi, che poi riprendero' ma che oggi mi fanno sentire ballerina. Grazie per il sorriso dell'auto ironia.
  • per quell'aereo, quel giorno, che mi ha portato qui senza cadere sotto il peso della mia angoscia. Grazie per avermi accompagnato verso la vita, ancora.
  • per chi, in questi anni, e' andato via ma e' li a proteggermi. Grazie per avermi lasciato parte di voi dentro di me.
  • per le mie dita che sanno scrivere parole. Le vedo partire all'improvviso, muovendosi leggere su questa tastiera e nemmeno sembrano appartenermi. Non le controllo, non le dirigo, non le indirizzo. Loro sanno. Loro vanno. Loro creano. E creano cio' che io sono ma che non saprei cosi bene se loro, le mie dita, non sapessero descrivermi. Grazie per le parole che mi riflettono e mi fanno sentire piu' bella di quanto io sia
  • per me che a fatica, con sacrificio e paura, un giorno, finalmente, ho deciso che era tempo di volermi bene. Ho appena iniziato. Il meglio deve ancora venire, come direbbe il mio presidente. Grazie.

Sunday, November 4, 2012

di uragani e altre tempeste

Oggi il cielo di New York e' di un azzurro che ti sembra non dover finire mai. Ti sembra quasi impossibile pensare che solo una settimana fa a quest'ora, nubi dense e vento in crescendo annunciavano l'arrivo di Sandy, un nome bello per una tragedia che di bello ha avuto ben poco.

Sandy non mi ha toccato personalmente, nel senso che non ho perso nulla, nemmeno la luce, nemmeno per un minuto. Ma mi ha attraversato con tutta la sua potenza mettendomi in disordine gli equilibri, spazzando via solidita', scoprendo il fianco alla debolezza. E ha toccato tanti amici. E tanti che non conosco ma che, come me, sono newyorchesi. Vicini di casa. Questa casa. Casa mia.

Sandy mi ha fatto vedere sotto una luce illuminata gli amici veri, quelli su cui puoi contare. E l'affetto di tanti. Il calore enorme che mi ha avvolto arrivando da dovunque. Forte.

E mi ha ricordato le solitudini. Quelle che  trovi anche dietro l'angolo. Spesso in un angolo del tuo cuore.

Mi ha fatto apprezzare chi sa donare un abbraccio, un sorriso, una spalla su cui piangere, senza ragione. Chi sa dirti che c'e' anche per te, anche senza dire nulla. Con uno sguardo.

So di me di essere ottimista fino all'estremo. Tanto che questo a volte diventa un difetto oltre che un pregio. E ho sempre pensato che l'ottimismo sia contagioso. Sandy, pero', mi ha ricordato che l'ottimismo non e' contagioso ma CORAGGIOSO e, dunque, non per tutti.

Sono stanca ma ottimista. Dunque, coraggiosa. Non di un coraggio eroico. Ma di un coraggio umano, debole, fatto di ombre e di difficolta' un po' ispide. Un coraggio che attira coraggiosi e respinge chi e' incazzato con il mondo sempre e comunque. Il coraggio di chi sa che anche chi come me - e sorrido - sa ben essere commander in chief quasi sempre, a volte, ha solo bisogno di un abbraccio silenzioso

Monday, September 10, 2012

I am back

Sono stata assente "giustificata". Completamente avvolta e immobilizzata dagli affetti che ho respirato, bevuto, accumulato, masticato, inscatolato, vissuto in ogni secondo e attimo e riflesso e gradazione.
Sono stata assente giustificata perche' presa nell'impresa di trattenere le lacrime degli addii, lo strazio delle separazioni, i momenti degli arrivederci, i conti alla rovescia, gli abbracci silenziosi.

Sono stata assente perche' troppo presente alla vita e quindi incapace di raccontarla.
Quando provi a raccontarla, la vita, te ne scosti un attimo dal fianco, giusto quel po' che basta per guardarla in maniera piu' definita, mai definitiva, sempre in trasformazione.

Sono stata assente e presente al tempo stesso. Come in fondo sempre. Ero solo silenziosa qui.

Ora sono tornata a casa. La mia casa. Quella a forma di rettangolo con i grattacieli e i parchi e i topi e gli scarafaggi e la settimana della moda e l'iced coffe e i tornado e la maglia di lana all'improvviso e i cieli grandi e i tramonti rossi e il silenzio imprevisto e i sorrisi per strada. La mia citta'. Quella che mi ha accolto, dato un nuovo nome una nuova vita una nuova me - quella che esisteva da tempo ma non aveva nemmeno coraggio a respirare per paura che tutti si girassero a dire "smettila, tanto non serve a nulla".

Casa mia. A volte solitaria senza i miei affetti antichi. Quelli che sono come carezze di mamme e papa' mentre dormi in un letto di bimbo, ignaro che li' fuori, oltre quella stanza e quelle carezze, ci sia la difficolta' acre del vivere e la sua incomparabile bellezza.

Casa mia. Quando sono arrivata ho pensato di odiarla perche' mi faceva paura. Tanta paura. Ma mi diceva anche, cosi in faccia, senza riguardo, come un urlo che ti annienta l'udito, "e vivi per dio".

Ieri una mia amica mi ha detto che io "avevo bisogno delle persone". Tanto. Avevo bisogno che ciascuno di loro, con delicatezza, raccogliesse un pezzetto di me e lo curasse, lo aiutasse a guarire e poi, me lo restituisse per ricompormi. Per tornare ad essere persona.

Nei posti ci si puo' arrivare senza voler declinare nulla di se' stessi; senza voler chiedere aiuto, accettare la diversita', comprendere l'altro, tendere una mano ad afferrare quella che ti viene tesa. Nei posti si puo' arrivare e continuare a pensare a cosa ci manca. O arrivare e prendere cio' di cui abbiamo bisogno.

Io avevo bisogno di me stessa. E per questo, nella disperazione di una sfida terribile, ho chiesto aiuto e ho dato pezzi di me a chi li ha curati e protetti e poi me li ha restituiti.

Questa e' casa perche' qui sono nata ancora dopo essere quasi morta. E c'erano persone felici a sorridermi e a darmi il benvenuto. Dopo i mesi di buio e di solitudine, prigioniera di una pancia che non era piu' conforto ma trappola.

Nessun italiano ha raccolto uno solo di quei pezzi. Se ne capita l'occasione ancora mi ridono in faccia di fronte all'offerta di camminare insieme per qualche passo. Se non sei capace di stare due passi dietro, allora non vai bene.

Impossibile. Io sto correndo. Sempre, incessantemente, a bermi la felicita'.

Friday, August 3, 2012

Leaving NY is never easy

Le so tutte. Le so tutte le sensazioni che ti avvolgono lo stomaco e il cuore mentre si avvicina la data della partenza. Sono sempre le stesse, da cinque anni e non ti ci abitui. Ti sparpagliano il focus. Ti mettono in disordine l'ordine e fanno delle tue sicurezze uno spettacolo da circo.

Sono felice di andare in Italia, sia chiaro. Non per il paese. Sia chiaro. Che temo di vedere ancora piu' piegato su se' stesso.
La mia voglia di scappare di nuovo ricompare appena metto piede in aeroporto e mi trovo di fronte alla disorganizzazione, alla flemma, ai mezzi di trasporto che non funzionano a quelli che si accendono sigarette dove e' vietato e a quel fare spallucce e dire, se osi dire qualcosa, "tanto non si puo' cambiare".
La mia voglia di essere in Italia scompare appena devo coprire in treno il tratto Roma-Cava dei Tirreni: farei prima a tornare a New York e mandare una cartolina.

Resta pero' la voglia non quantificabile di vedere i miei genitori, riabbracciarli, baciarli, litigare, ridere, discutere e coccolarmeli come cio' che ho di piu' prezioso. Cio' che loro sono. Le mie radici, il mio essere e l'essenza migliore di me.

E amo il mare. Che mi placa. Mi riposa. Mi distende. Mi ricarica. Mi fa danzare pensieri belli al ritmo del suo sospiro. Mi conforta, mi cura, mi difende e mi protegge. Il mare e' la mia medicina e i piedi affondati nella sabbia sono il mio modo di ritornare, ogni volta, a sentire il contatto con il centro dell'universo. Con il centro di me stessa. Con il centro dell'equilibrio e della pazzia che da sempre accompagnano la mia vita.

Pure, pero', sento una mancanza struggente di New York e di Dorothy prima di tutto. Lei e' tutto. E' la mia compagna da 9 anni. La zingara forzata che mi guarda e si fida di me. Che non si e' mai lamentata di case piccole, senza luce, senza aria e con scale da salire. Non si e' mai lamentata di nulla. Mi guarda e si fida di me. E starle lontana per tre settimane mi fa male. Un male tangibile che mi incrina lo sguardo di tanto in tanto.

E mi manca New York e il suo cielo. Quel cielo ancora non conquistato del tutto ma di cui ora sento davvero di far parte. Come un respiro.

Mi manca il cielo di New York. Perche' il cielo di New York mi ha ridato il coraggio di sognare sogni possibili.

Il cielo di New York. Un giorno ci siamo guardati e io ho saputo che ero a casa.

Il cielo di New York. Quello che e' sulla testa di tutti coloro che stanno qui ma che molti non vedono o confondono per un cielo qualsiasi. 

Tuesday, July 17, 2012

lean on me - appoggiati

C'e' sempre un momento, almeno per me, in cui sembra che quell'ossicino gia' fragile, si spezzi definitivamente. Un dolore sordo, impercettibile quasi, di cui apparentemente nemmeno ti accorgi.
Alcuni dicono "la goccia che...". Ma una goccia la vedi, ti arriva sul viso e ti scivola lungo le guance percorrendo un percorso lunghissimo fino all'angolo della tua bocca. La senti. E sai. 
Io queste non le chiamo gocce. Non le vedo. Ma so che arrivano. Sempre.
Anzi, diciamolo, sono dentro di me che, come una spugna, le ho assorbite per tanto tempo. Con pazienza, silenziosamente, senza ribellarmi. Una spugna perfetta che passa e assorbe l'acqua.
Acqua di malattie
Acqua di incertezze
Acqua di paura
Acqua di delusioni
Acqua di cose inevitabili

Acqua a gocce sottili che cadono da tutte le parti e assorbi. Perche' tu sei forte. Come una spugna, assorbi tutto e trattieni e ti gonfi. E gonfi.

E poi fermi l'ascensore per aspettare la tua vicina. Non ne conosci nemmeno il nome ma il suo viso ti piace. A volte cammina con un bastone ma non e' anziana. E sorride sempre. E ha bei capelli lunghi e di un bellissimo grigio. E a volte un rossetto che mette ancora piu' in evidenza il suo sorriso bello, largo ma non sguaiato, allegro ma silenzioso. 

Mi chiede se mi sono trasferita. Le dico di si e mi chiede se mi piace il mio nuovo appartamento. Il piede brucia, il graffio e' profondo. Provo un sorriso che non riesce e le dico "si certo ma non potro' godermelo visto che hanno messo le impalcature". Lei mi dice che e' vero ma mi guarda. Sa gia' che la spugna e' satura. Siamo gia' al suo piano e lei mantiene la porta e mi dice "mi spiace". Le dico "moriro', senza aria moriro' e io non uso l'aria condizionata". "Dovresti dirlo al management mi dice affettuosamente". Ed io "no, non voglio sentirmi dire che sono la solita italiana che non usa l'aria condizionata". Non mi sembra che il tono di voce sia diverso dal solito a parte che non "difendo" mai il mio essere italiana. Ma lei nota qualcosa e mi dice "don't do this to you" - "non farti questo". 
Apro la bocca ma non esce nemmeno un suono. La guardo e so che se quella porta non si chiude qualcosa succedera' ma lei non lascia la mano che blocca la chiusura. Mi guarda e io sto piangendo. Non so come ne' perche'. "Mi spiace" farfuglio mentre tutte le gocce accumulate escono a fiotti. 
Allora lei fa un passo e mi abbraccia stretta. E io singhiozzo per un minuto senza dire niente. Solo "mi spiace". Quando mi stacco lei ha gli occhi pieni di lacrime e mi dice "cosa posso fare per te?" E io le dico ancora "mi spiace". Lei mi dice, come se non mi sentisse "vuoi parlare o andare a casa" e io "andare a casa". Mi dice "va bene, ti pensero' ". 

Ha lasciato che la porta si chiudesse su quel nostro momento di pura umanita'. Di assoluta e miracolosa umanita'. Ho messo gli occhiali da sole e sono arrivata a casa e mi sono sentita meglio.

Ho imparato, cinque anni fa, a chiedere aiuto. In quell'ascensore non ho dovuto nemmeno parlare.
E in questa citta', tranne che dai miei connazionali, lo trovo sempre. In un modo o nell'altro.

Stavo per cadere in tanti momenti. In cinque anni, in tanti momenti e ogni volta qualcuno ha detto "lean on me - appoggiati o, se preferite, conta su di me". Ci ho messo una vita per imparare a "lean on someone" ma fa bene al cuore saperlo fare.

Tuesday, July 10, 2012

Panchine

Oggi andro' e mi siedero' su una panchina, a guardare il fiume pensando sia mare. Il mio mare
Con quell'orizzonte che cancella ogni senso del limite. Ogni ricordo della fine

Oggi andro' e faro' un progetto di vita come se dovessi vivere per sempre.
Perche' odio la morte
E odio gli abiti fuori moda con i quali si presenta, appiccicandosi addosso come quello strato di adipe che ti fa schifo.
La morte fa piu' schifo ancora
Soprattutto quando ha mandato una nota a qualcuno che e' parte di te
con su scritto che sta per arrivare
che sara' sua ospite anche se non voluta
anche se mai l'hai invitata

Fa schifo quando ti toglie la vita mentre sei ancora vivo, con il ricordo delle cose che vorresti fare e l'impossibilita' di farle, con quell'ago che ti trafora il braccio e ti tiene legato all'esistere che pero' e' solo un letto.

Oggi andro' a sedermi su una panchina. Ricacciando le lacrime che non mi vinceranno
Perche' non piango in anticipo io

Oggi andro' a sedermi su una panchina, con il sole sul viso e il vento a scombinarmi i pensieri
e faro' un progetto di vita.
Di essere felice
Di respirare ogni respiro
Di concedermi ogni bacio
Di sciogliermi in ogni abbraccio
Di urlare ogni rabbia
Di sorridere con guance rosate
Di cantare con note stonate
Di amarmi e proteggermi
Di non lasciarti andare

Thursday, June 14, 2012

e dell'amore

Ho imparato che l'amore non e' come te lo aspetti
non lo incontri dove ti avevano detto
non arriva all'orario stabilito
non ha il vestito di un appuntamento
ne' una rosa fra le dita per farsi riconoscere

L'amore ti arriva addosso inaspettato e non te ne accorgi
in una fila all'aeroporto
mentre aspetti di partire
e lui e' la'

E passano anni
dalle lettere a internet
cadono le torri
scoppiano le guerre
ci si innamora di altri
si mangiano frittate di maccheroni
si passano notti a chiacchierare
si guarda una zia tornata bambina
si litiga

Non sai che e' amore nemmeno quando ti aspetta all'aeroporto
nel momento piu' difficile della tua vita
e ti prepara l'oatmeal
mentre la gola e chiusa e tu non senti piu' nulla

Non sai che e' amore
non lo sai

e poi lo sai
nella sua interezza
nella sua profondita'
nella sua drammaticita'
nella sua immutabilita'
nella sua meraviglia
nella sua malinconia
nel suo dolore
nella sua disperazione
e nella sua speranza

Lo sai.
E la morte
E la vita
E il cielo che sembra finire
sono solo dettagli collaterali

perche' sai di essere fottutamente fortunata
perche' in qualche modo
senza nemmeno sapere come
senza nemmeno rendertene conto
hai incontrato l'amore
lo hai tenuto stretto
ti sei fatta tenere stretta
e sai
per quanto bastarda ti possa apparire la vita
che non ti lascera' mai
non ti lascera' piu'

mai piu'

Monday, June 4, 2012

Fragole infinite

Fragole, zucchero e limone. Una coppetta di delizia per stabilire che l'estate era iniziata e che bisognava tirare fuori i pantaloni bianchi e le Superga, e il telo da mare e i sogni. Quelli salati e caldi, fatti di sorrisi, uscite serali a cercare refrigerio e i piedi scalzi sul pavimento fresco.
Fragole, zucchero e limone. Cosi' mia madre annunciava l'arrivo dell'estate e la spiaggia diventava la mia vera e unica casa. Il mio nido. Il mio rifugio. Il mio paradiso in terra.

Da piccola non potevo mangiare le fragole. Mi davano allergia. O, perlomeno, potevano peggiorarne una. Come la cioccolata. In definitiva non mi davano allergia ma essendo un soggetto allergico (ancora oggi qualsiasi cosa, dopo anni di utilizzo senza problemi, mi puo' trasformare in Hulk e mandarmi stesa al pronto soccorso) era consigliato evitarle. Crescevo senza le fragole e le desideravo tanto. Come tutto cio' che non si puo' avere ma che ti dici "un giorno". Per questo amavo quelle coppette che mia madre preparava quando la mia quarantena fini' e fui finalmente ammessa al mondo dei mangiatori del frutto della primavera.

Forse per questo. Forse o forse no. Forse per questo, mi dico, questa storia di me e le fragole e New York ricorre sempre nei miei racconti. Era la mia prima primavera/estate qui e io ero a pezzi. Ero frammentata in talmente tanti pezzi che non mi sentivo nemmeno piu'. Avevo un solo amico (Michael), vivevo lontano da tutto (nel Queens) e soprattutto non avevo soldi ne' lavoro. E non avevo un'idea, una sola idea da dove ricominciare la mia vita. Cosi, quando quel giorno andai dal fruttivendolo all'angolo per consolarmi con le fragole e mi resi conto che costavano troppo per le mie finanze, mi senti' davvero con la vita scappata via. O che voleva scappare via. Andarsene. Lontano. In un posto lontanissimo dove non servono i soldi e non ti fa male il cuore perche' tu ti sei fatta un mazzo ma il tuo paese ti ha massacrato ogni speranza trasformandola in una patetica illusione. Giravo in metropolitana per andare a Central Park a mettere i piedi sull'erba bagnata e mi stendevo a guardare il cielo. A cercare risposte. Mia zia Elena, intanto, mi sussurrava "piccolina, mannaggia al demonio". Me lo disse talmente tante volte senza farmi credere pazza che mi arrivo' fin dentro al ventre. Li' da dove si partorisce la vita.

E mi rimboccai le maniche. Dimenticai cio' che NON avevo e cominciai le mie piccole liste delle cose che  VOLEVO. Cominciai, piano piano, a smettere di sentire in italiano e a sentire in newyorchese. Cominciai a pensare che se ti rimbocchi le maniche e ci metti il cuore e il sudore, i sogni non diventano illusioni ma si possono trasformare in realta'.

Non e' facile. Non e' semplice e bisogna essere umili. Tanto umili. E chiedere aiuto. Ma alle persone giuste. A quelli che ti guardano e vedono in te cio' che sei e non i tuoi titoli o il tuo conto in banca o la lista dei tuoi amici famosi. Le "mie" persone hanno avuto tutte un passaporto a stelle e strisce e mi hanno aiutato ad arrivare alle fragole. Quelle fragole infinite che ieri ho finalmente, dopo cinque anni, preparato come le fa la mia mamma e mi sono sentita felice e un po' piu' al sicuro.

Molti mi scrivono in privato. Mi dicono che gli fa bene leggermi perche' la vita e' dura e ingiusta con loro in questo periodo. Ho scritto questa nota per loro. Perche' si sappia che non racconto palle romanzesche per farmi figa. E che questo significa che i sogni non sono illusioni.
Mi porto dentro, a parte la voce di mia zia che mi dice "piccolina, mannaggia al demonio", due tesori di saggezza: "non condividere il tuo dolore con chi non lo puo' capire" (Peppe Lanzetta) e "vai avanti per la tua strada e non ti curare di "loro" (Lino Puccio).

Le fragole sono li'. Per chiunque le voglia davvero.

Saturday, April 14, 2012

Percio' amo New York

Ieri una mia amica americana, una di quelle conosciute per caso, americana doc (nemmeno una goccia di sangue italiano nelle vene) ed ebrea, una di quelle, per intenderci, che mi hanno "adottata" aiutandomi ad arrivare fin qui, sopravvivendo nelle mie quotidiane battaglie per la sopravvivenza, mi ha detto "tutto cio' che ti arriva adesso e' meritatao. Meriti tutto perche' hai combattuto come una leonessa e ancora lo fai. Non ho mai conosciuto nessuno usare gli artigli come te. Sempre. Una battaglia feroce piena di umiliazioni che tu hai sopportato senza farti sconfiggere. Me le ricordo io e fanno male a me. Meriti tutto. Meriti di stare qui e di essere felice".

So da tempo che mi vuole bene. Sicuramente da quella volta che, dovendo lasciare una casa in tutta fretta (inclusi i miei mobili) per ragioni troppo lunghe da spiegare, mi arrivo' trafelata sotto casa, alle 7.30 del mattino, con una bustina piccina nella mano stretta a pugno che fece scivolare nella mia tasca, dandomi un bacio sulla guancia arrossata dalle lacrime, "buon Natale" (ma eravamo appena a Novembre). Dentro, piegati in otto, c'erano cento dollari. Conosco da tempo il suo affetto, dunque, ma ieri era quasi ammirazione e mi ha commosso.

In cinque anni, ho incontrato amici "indispensabili" che hanno reso il mio viaggio possibile, il mio stomaco meno vuoto e le mie malinconie meno acerbe. Ho incontrato amici che mi hanno donato amicizia senza limiti. Nessun italiano. Quelli che, di tanto in tanto, mi si sono avvicinati mi hanno sempre delusa, tradita, criticata e giudicata. Ho pochissimi amici italiani qui. Li conto sulle dita di una sola mano.

Molti italiani non amano New York e gli americani. Sono stata in molti posti nella mia vita, in Italia e all'estero. Ho amato ogni citta' e ogni paese e so che avrei potuto vivere ovunque. Per questo non capisco. Non riesco a dire "non mi piace". Persino Vienna, citta' cosi' lontana dalle mie "corde", l'ho amata molto. Avrei poi voluto vivere all'Avana. Ho adorato la Spagna, divorato con gli occhi Londra e travato il mio angolo vitale su una spiaggia messicana dove non mi sarebbe stato difficile invecchiare.

New York pero' e' la mia casa. E come tutte le case non e' perfetta. C'e' sempre una cassettiera di Ikea montata male in cui il cassetto non si apre piu' della meta' o il pomello dell'armadio che continua a staccarsi. A volte c'e' troppo caldo o troppo freddo e la pioggia e' bagnata e la neve gelata. Ma e' la mia casa.
Avete mai visto quel film vecchissimo con Cary Grant "La casa dei nostri sogni?" - In quel film la coppia compra una casa e poi passa un tempo imprevedibilmente lungo, intervallato dalla piu' lunga serie di contrattempi, difficolta', contrarieta', ostacoli che mente umana avrebbe potuto prevedere. Nell'ultima scena, pero', lui e' sulla sua sedia, nel giardino, a leggere il giornale e fumare la pipa. A casa.

Nella mia casa ci sono ancora i "lavori in corso" e a volte sono stanca. A volte sono molto stanca e vorrei mandare tutto a puttane e prendermi un residence. Ma poi esco, mi siedo su una panchina e ancora, come il primo giorno, mi ritrovo a guardare senza stancarmi, ogni singola increspatura che nasce dall'amoreggiare del vento con l'Hudson. E mi sento felice. Sento che questo e' il mio posto, il mio giardino dove sedermi a fumare una pipa leggendo un giornale. Forse perche' ho dovuto, e devo, ogni giorno, cacciare gli artigli e combattere. Di piu' credo, pero', perche' per sopravvivere ho dovuto imparare a chiedere aiuto. E l'ho trovato. Meraviogliosamente. Ho trovato braccia che mi hanno accolto e spalle che hanno sorretto la mia testa pesante e anime belle "americane" che non hanno una bandiera a stelle e strisce tatuata sulla pelle: hanno il gene dell'umanita'. Come me e come tanti. Quelli che sanno amare l'umano e non la razza, non il popolo, non le bandiere.

New York, sei la mia Napoli dell'eta' adulta. La passione del vivere. E t'amo.

Monday, April 9, 2012

Pasqua

Pasqua non mi piaceva perche' non mi piacevano le cose che si mangiavano, non c'erano regali (mio padre non ci comprava le uova per non farci mangiare troppa cioccolata) e poi si andava a Cava e io lo detestavo.

Pero' mamma mi comprava sempre un vestitino nuovo. Non ne ricordo nessuno tranne uno che mi fece finalmente passare il mio perenne broncio di "contestatrice" che mi portavo appresso come la coperta di Linus. Lo trovai disteso su letto, pronto ad essere indossato. Aveva una gonna a pieghe marroncino chiaro chiaro con dei fiorellini rossi e un giubetto marrone scure con le tasche sul davanti e il collo a camicia. Mi ricordo che amai persino le mie scarpe ortopediche quel giorno e i calzettoni "eleganti" che pero' mi segnavano le gambe cicciotte.

Ero bella senza sapere di esserlo. Non mi sono guardata allo specchio fino a pochi anni fa. Incapace di guardare cio' che vedevo e non mi piaceva. Ma quel vestito mi fece bella e quando giravo forte le pieghe della gonna si aprivano e facevano la ruota.

Forse sono andata anche a Messa contenta quel giorno pensando che appena uscita avrei fatto un sacco di giravolte con la mia gonna bella come fossi una ballerina.

Con gli anni ho pensato spesso ai sacrifici infiniti che hanno fatto i miei genitori per non farci mancare nulla ed essere felici. E so che non posso fare null'altro che amarli come li amo. Con indicibile riconoscenza.

Sono arrivata a NY che era quasi Pasqua. Per puro caso ovviamente. Ma oggi penso che non era poi un caso. Era il momento giusto per la mia "resurrezione" dalla palude della disperazione alla riva di un fiume di speranza. Se avessi avuto ancora quella gonna con le pieghe l'avrei indossata e avrei fatto la ruota tutt'intorno.

Ma non ce l'avevo piu' e per tanti mesi non ho avuto voglia di ruote o giravolte. Avevo solo tanta paura e malinconia e rabbia.

Quest'anno ho preparato il le pizze rustiche come le fa mia madre. E ho fatto tante giravolte per casa.

Monday, April 2, 2012

Running

Love was waiting for me just around the corner
but I was running
I didin't turn back
I didn't linger
I didn't hesitate


So, one day, Love
stood before me
stopping my run
with a charming smile


"May I run with you"?
it did ask
"Sure" I did reply
and I took its hand


When Love loves you, 
if you don't see it
if you don't turn back,
if you don't linger
it stops your run
it smiles 
and runs with you


Because Love
loves you



Sunday, April 1, 2012

Correndo

L'amore mi aspettava dietro l'angolo
ma io correvo
non mi voltavo
non indugiavo
non esitavo

Allora un giorno l'amore
mi si e' posto dinanzi
bloccandomi il passo
con un sorriso accattivante

"Posso correre con te?"
mi ha chiesto
"Certo, ho risposto
e gli ho preso la mano

L'amore quando t' ama,
se non lo vedi,
se non ti volti,
se non indugi,
se non esiti,
ti blocca il passo
ti sorride
e corre con te

Perche' l'amore
t'ama

Wednesday, March 28, 2012

A casa

Ieri, per la prima volta in cinque anni, non mi sono ricordata che era "il giorno", quello del mio arrivo qui.

Ne sono felice. Significa che sono a casa adesso.

Saturday, March 17, 2012

Cara Napoli, cara Italia

Carissime
vi scrivo stamane, mentre sorseggio il mio amato espresso, perche' sento di dovervi delle spiegazioni. A voi che so capirete, finalmente, cio' che mi agita spesso l'anima e mi fa perdere la pazienza.

Io vi amo. Di un amore assoluto e insostituibile. Ero piccina quando i miei genitori mi portarono per la prima volta a Firenze per trovarmi di fronte alla perfezione dell'arte e della bellezza. E Genova, la citta' del cuore; Bologna, la citta' dei sensi; Torino, la citta' della raffinatezza; Milano, la citta' della modernita', Venezia, la citta' del languore; Palermo, la citta' della luce; Perugia, la citta' dolce; Siena, la citta' rotonda e via via, lungo una  lista infinita che non troverebbe spazio qui. Fatta di piccoli paesini, quartieri, frazioni distanti, remoti anfratti. L'Italia della pura meraviglia. Quando e' stato creato l'Universo, l'Italia deve essere stata creata per ultima perche' si riconosce la maestria del tocco, la bravura dell'esperienza, la perfezione dello stile.

Penso a te, Napoli. Quando parlo di te e come se parlassi dell'amore della mia vita. Io risento il vento sul viso. Rivedo ogni angolo di mare che piano piano si rivela agli occhi mentre si scende a piedi da Posillipo. La piu' bella passeggiata dell'universo. Riprovo il senso di forza ed energia che mi prendeva quando da San Martino, ti guardavo dolente, adagiata serena, come una lucertola a farsi sanare le ferite dal sole. Ricordo gli odori dei vicoli, il vociare e l'ammasso di corpi umani che si toccano mentre scivolano lungo i Decumani, invasi di aromi di pizze fritte e taralli. E Palazzo Giusso, la mia gloriosa Universita'. Le discese di Sant'Antonio che facevo con la Vespa quando volevo smettere di aver paura dei piani inclinati (che ancora mi spaventano). Il riflesso del mare che ti accecava quando dall'alto di via Tasso ti ci immergevi con gli occhi socchiusi come una ferita sul volto di una drammatica Butterfly.
Quanto io t'ami non si puo' capire. Lo sanno (senza necessita' di capirlo) solo coloro che da questa passione si sono lasciati possedere senza ribellarsi, senza cura per i pericoli, senza timore per le ombre.

Napoli, sei dentro di me come la mia famiglia, i miei amici e gli intestini, le ossa e il sangue che scorre. E tu, Italia, sei la mia lingua magistrale, ricca, stupenda, musicale, fatta di congiuntivi sempre piu' appannaggio di un' elite privilegiata. L'Italiano e' la lingua della vita. Nessun "I love you" puo' nemmeno entrare in partita con un "Ti amo".

A bilanciare tanta oscena bellezza, pero', mie carissime, ci sono gli italiani. Spocchiosi, arroganti, disonesti, presuntuosi, egoisti, ignavi, disonesti, invidiosi, accattoni, lazzari, superficiali, indifferenti, ignoranti, usurpatori e privi di memoria. E lo so, lo so che non sono tutti cosi'. Ci mancherebbe. E forse sono addirittura una minoranza, ma una minoranza che governa, impone, agisce, si fa conoscere, detiene il potere, sporca, infanga e parla male di tutti gli altri.

Questi italiani, che non sono solo quelli che ci governano, hanno fatto di te, Italia, un paese dove non esiste rispetto del merito, del diritto, della legge. Non esiste cura di quelle bellezze di cui sopra. Non esiste speranza. Non esiste orgoglio (la presunzione non e' orgoglio). Non esiste italianita'.

Ieri sera un collega al quale raccontavo che mi avevano copiato di sana pianta un articolo pubblicandolo altrove mi ha detto, con tono allarmato, "non lo dire, queste cose non si dicono". Italiani. Gentaglia mafiosa.

Cara Italia, cara Napoli. Volevo che sapeste che io sono vostra e lo saro' per sempre ma non sono "loro" e non lo saro' mai piu' perche' loro vi offendono e vi sputano in faccia ogni giorno. Con un sorrisetto scemo sulla faccia. Quello dei perdenti che si credono di governare il mondo.

Monday, March 12, 2012

Peter Pan

Mi portarono a vedere il film di Peter Pan al cinema. Ero piccola ma riesco a ricordare i miei occhi spalancati nel buio della sala, assolutamente rapita da quella storia.

Per anni ho sognato di essere Wendi, ovviamente. E la mia bambola preferita, che ancora ho, si chiamava Michael come il fratellino piu' piccolo.

Poi, crescendo un po', Wendi mi e' diventata antipatica assai perche' faceva soffrire Campanellino e, soprattutto, perche' mollava Peter da solo dopo tutto cio' che lui aveva fatto per loro. E' stata la prima volta che ho capito che le donne potevano essere proprio stronze con un uomo e che io non volevo essere cosi. Capii anche che gli uomini sono sempre un po' Peter ma a dire il vero la cosa non mi e' mai dispiaciuta piu' di tanto.

Forse perche' anche io sono un po' Peter. Potendo avrei scelto di non invecchiare, di restare bambina e di volare e volare e volare. 

Si accetta di invecchiare perche' e' inevitabile ma a me mi sta sulle palle sta' cosa perche' sento di aver bisogno di ancora un sacco di tempo per divertirmi e fare le cose che vorrei. Forse e' per questo che spesso mi capita di pensare alla morte perche' mi sta proprio antipatica e, quando moriro', so che saro' contrariata. Ed e' poco elegante arrivare ad un appuntamento con la faccia contrariata. 

Comunque. Quando mi sono trasferita, fra le poche cose che mi sono portata dietro, tipo coperta di Linus, c'e' il libro di Peter Pan. Me lo regalarano i miei genitori dopo aver visto il film. Non so quante volte l'ho letto. Ancora lo rileggo. E continuo a non sopportare Wendi e le femmine con le camicie da notte.

Thursday, March 8, 2012

Marzo

Il 1 marzo di tanti anni fa, anche se lo ricordo come fosse oggi, nemmeno ancora ieri, mi laureai all'Istituto Universitario Orientale. Centodieci e lode e nodo alla gola d'ordinanza e lacrime ricacciate indietro mentre mi voltavo a guardare la mia famiglia. Erano tutti li'. TUTTI. Troppi non ci sono piu' ma quel giorno erano li' con me. Tranne mio padre, ovviamente, che dopo aver fumato una sigaretta dopo l'altra, era scappato in bagno per non farsi vedere piangere. Mio padre ci ha insegnato la bellezza del pianto di commozione. Quando si e' sposato mio fratello era l'unico che singhiozzava. (ma anche quando e' morto Berlinguer e quando i "progressisti" vinsero per la prima volta le elezioni o quando parto per tornare a New York).

L'8 marzo non mi e' mai piaciuto. Inutile spiegare perche'. E' sotto gli occhi di tutte le persone di buon senso il perche'. Anche se amo le mimose il cui profumo, qui, e' una delle poche cose che mi manca dell'Italia. Amo soprattutto quelle di febbraio che ti dicono "su dai, che fra un po' e' primavera". Un otto marzo, uno dei tanti, Luigi lascio' questa terra. Sebbene fosse troppo presto. Sebbene non fossimo preparati. La sera prima, in ospedale, lo avevo salutato ma lui si era voltato dall'altra parte per nascondere una lacrima. Sapeva che la vita era' gia' via e a tenerlo li, in quel letto, era ancora e solo il nostro infinito dolore. La nostra paura di sapere all'improvviso, con certezza che si muore. Il disgusto che provai, a bordo della mia Vespa, mentre come una povera disperata vagavo per la citta' in cerca di un riparo a quel dolore tagliente, nel vedere quelle "femmine" in calore che sguaiatamente si raggruppavano per andare a festeggiare il loro essere grette e squallide non lo dimentichero' mai. Ieri sera, sono stata ad una cena di un'associazione di donne nelle scienze, qui a NY. Non c'era volgarita'. C'erano donne meravigliose. Belle. Persone belle. Donne che vivono senza lo strazio volgare delle pari opportunita' e che, pure, vanno avanti, migliorano, progrediscono. Nel raccontarci, io e una ricercatrice parigina, ci siamo scoperte a raccontare due societa' (la francese e l'italiana) maschiliste e grette (Dominique Strauss-Kahn insegna). Le altre ci guardavano con stupore. Essere donna e' difficile. In Italia e' uno strazio soprattutto per colpa delle donne.

Il 13 marzo e' il compleanno di mio papa'. Vorrei essere con lui. Mio padre e' un uomo speciale. Tutti dovrebbero conoscerlo e parlare con lui. Perche' ti insegna la vita senza mai voler insegnare niente. Perche' tutti dovrebbero parlare con un comunista come lui per capire cos'e' il comunismo che ci piace. E la giustizia e la cura del prossimo e la capacita' di vedere tutti davvero uguali. Mio padre mi ha regalato la vita, la capacita' di sognare, il senso del dovere, l'ossessione dell'onesta' e la passione per l'opera. Oltre a tutto il resto.

Il 27 marzo di cinque anni fa salivo su un aereo. Andavo a New York. Tutti pensarono che sarei tornata indietro. Quanti pensieri. Quanto dolore in quell'andare via. Quanta paura nella mia assoluta solitudine. Quanto odio verso gli Italiani. Non l'Italia, paese meraviglioso. Ma verso i miei connazionali. Cinque anni fa. Non avevo piu' sogni, ne' aspirazioni ne' speranze. Ma tanta rabbia. E una convinzione. Unica. Che avessi diritto ad essere felice. E non e' mai troppo tardi per esserlo. In cinque anni ho curato la rabbia e trovato un mio equilibrio e me stessa. New York e' stata medico, amica, insegnante, fustigatrice. Sempre severa. Mai indulgente. Eppure accogliente e avvolgente. New York ed io, un amore di quelli che nascono a marzo e non smettono mai.

Amo marzo. La vita in questo mese, a volte, sembra abbandonarti, ma sta solo ricominciando altrove. E gli occhi di Luigi, quei suoi begli occhi azzurri, mi aiutano a vedere quando e' troppo buio.

Tuesday, March 6, 2012

love is a many splendor thing

E' la canzone di mia mamma e di mio papa', Gliel'ho vista ballare tante volte, guancia a guancia, con quella melodia che sembra diventare aria che sotto i piedi ti fa leggero.

Ho imparato a ballare fra le braccia di mio padre. E' ancora il mio ballerino preferito. Non manca volta che non vada a casa e che non ci ritroviamo a ballare nel ristretto spazio del soggiorno, scansando una sedia e evitando una poltrona.

Ho imparato a ballare prima ancora di imparare a capire come cadere e rialzarmi. Perche' ballare mi rende leggera, dal mio peso corporeo che vorrei meno significativo, dai miei pensieri, dalle mie tristezze e, a volte, persino da quelle felicita' che se diventano troppo pesanti rischiano di farti precipitare dal cielo.

Ballo spesso. Incurante dei vicini che potrebbero guardarmi dalle loro finestre, con occhi che potrebbero vedere solo un corpo cicciotto che si agita nello spazio. Ma ballo. E in quei momenti Dorothy mi guarda felice. Lei sa.

E ballo quando, come ora, i piedi mi fanno terribilmente male e le gambe sono pesanti e la musica mi sembra stonata. Comunque ballo. Perche' in momenti cosi' non so dove andare ma devo sentire che, quando lo capiro', potro' ancora muovermi. Perche' non  mi saro' mai fermata.


Thursday, March 1, 2012

La notte dei miracoli

Me lo ha ricordato mia mamma quando ci siamo sentite. Mi ha detto che ha pianto. Alcune persone, anche se non le incontri mai, ti diventano come "uno di famiglia" come un cugino emigrato in America che pero'  ti aspetti sempre di veder arrivare ad un matrimonio.

Una sera, anni fa, con il mio amico Peppe Lanzetta andammo a Bologna. Lucio Dalla aveva scritto la prefazione di un suo libro e aveva organizzato una cenetta "intima" per un po' di amici.

La trattoria era famosissima ma ora, naturalmente, non ricordo il nome. Ricordo che arrivammo dentro a questa sala con un tavolo pronto e io trovai posto di fronte al mio "amico" Bergonzoni che conoscevo da un po'. Gli altri posti li evitai per paura di quella mia timidezza che e' difficile percepire ma sa bloccarmi e congelarmi nei momenti meno opportuni.

Lucio era seduto e ascoltava, con il suo ineffabile sorriso sulle labbra, un ragazzo che suonava il violino, intanto che noi, soliti napoletani ritardatari ;) arrivassimo a completare la tavolata.

Seduto di fronte a Lucio, Francesco Guccini e la sua allora fidanzata, ora moglie. In quella serata avrei scoperto che Guccini e' un uomo di spettacolare simpatia. Non ricordo nulla dei piatti che mangiammo o del vino che bevemmo, ma ricordo dei duetti Guccini/Bergonzoni che ci fecero ridere in maniera smodata.

Ho sempre amato Bologna. Per un pensiero che nella mia testa ha un senso, quando mi sono trasferita a New York, la mia alternativa era Bologna. Ho amato e amo quella citta' come Napoli e ho relazioni fraterne e sorelle con molti di loro. Gran popolo di gaudenti, colti e sfrontati.

Quella sera fu una piccola notte dei miracoli per me. Me lo ha ricordato mia madre. Perche' il mio pensiero stamattina era andato ad un amico fraterno di Lucio che mi sta molto a cuore e che vorrei abbracciare.

Quella sera gli dissi che il mio primo amore si chiamava Marco e che la sua canzone era la mia. Lui sorrise e canto' qualcosa in napoletano.


Wednesday, February 29, 2012

Love - L'amore

We used to fight. Often


Because we adored each other.


This is why I screamed: "well, then don't say anymore that I am the love of your life"


He said promptly: "I never said that you are the love of my life"


Lump in my throat, sharp tears, dark please.


And then his voice again, like tamed "I said and I repeat that you are "the Love"


May be it is because it is gonna snow. May be it is because nobody loved me again so much. But I heard his voice repeating me that and I smiled.


You are "the Love" as well. Forever.


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Litigavamo. Lo facevamo spesso.

Perche' ci adoravamo.

Percio' urlai: "allora non dirmi mai piu' che sono l'amore della tua vita"

Lui disse pronto: "Non ho mai detto che sei l'amore della mia vita"

Groppo alla gola, lacrime a taglio, buio please

Poi la sua voce, come domata "ho detto e ti ripeto che tu sei "l'Amore"

Sara' la neve che si appresta. Sara' che nessuno mi ha amato piu' cosi' abbondantemente. Ma ho sentito la sua voce ripetermelo e ho sorriso.

Anche tu sei l'amore. Per sempre.

Sunday, February 26, 2012

D e le altre

Ieri sera, D ed io continuavamo ad abbracciarci fino a quando, inevitabili, le lacrime hanno fatto la loro comparsa. Siamo donne, in fondo, e ci commuoviamo senza tanta vergogna. E fa bene. Sono abbracci e lacrime che dicono cio' che le parole, appesantite da lingue diverse, dal frastuono della musica, dalla vicinanza di troppe persone, non avrebbero potuto dire. "Sii felice" ho detto a D. e lei mi ha detto "Tu hai lasciato la tua patria e i tuoi amici e ce l'hai fatta. Io vado solo sull'altra costa". Tu ce l'hai fatta. Non me lo dico mai. Sono sempre cosi' in ansia per la mia precarieta' che sentirmelo dire cosi, all'improvviso, e' come se mi scoprissi di nuovo ventenne e con un passaporto diverso. Fa bene al cuore. D mi ha detto che sono stata "un'ispirazione". E, nonostante il senso di profonda responsabilita' che da qcio' e' derivato, mi sono sentita lusingata e fiera di me. Come ciascuno di noi dovrebbe essere di se' stesso ma spesso ce lo dimentichiamo presi dal misurarci con canoni che non ci appartengono e ci fanno risultare anche dei perdenti o dei fallimenti. Per i canoni del mondo dal quale arrivo io sono una perdente. Per D sono un'ispirazione. Per me stessa sono finalmente una donna che crede in se' stessa. Ho detto a D che le devo tanto perche' anche grazie a lei sono ancora qui. Lei e' stata fra le prime ad adottarmi, affascinanta da quel mio essere un gatto randagio, arruffato, arrabbiato con il mondo e pieno di un indicibile dolore. E affamato (spesso) spaventato (sempre) e pronto a cacciare le unghie. Di me le piacque subito la liberta' e la ribellione e per quello mi offri' la sua famiglia a farmi da famiglia e un po' della sua vita a farmi da cuscino per tutte le cadute che mi attendevano dietro l'angolo. D e' mia sorella. E le sorelle, anche se si perdono per un po', poi si ritrovano perche' hanno bisogno delle loro inossidabili fragilita', quelle dalle quali traggono la loro stessa forza. D. mi ha detto "no, no tu ce l'hai fatta da sola". Me lo dice spesso anche la mia psicologa, un'altra donna alla quale devo la vita. Tutte mamme, dopo la mia, che mi hanno ri-partorito in questo mondo, con dolore e incantata attesa. Le donne. Mia dannazione e mia salvezza. Per questo poi amo gli uomini, perche' mi fanno riposare con la loro semplicita' ;) Quando sono andata via l'ho fatto in silenzio. Non ci sono state feste di saluto. Pochi abbracci. Solo quelli della carne. E di qualche Giuda sempre pronto a guadagnare trenta denari da una personalissima tragedia umana. O che perlomeno mi appariva tale. Non ho fatto saluti. Ne' brindisi. Solo le mie amiche di sempre, Lina, Rosanna, Antonella e quel portafortuna messomi fra le mani che mi tremavano invisibilmente. E le mie zie e i mie zii. Pochi pilastri della mia vita che mi hanno tenuta in piedi dopo ogni scossa di terremoto. Se partissi oggi, farei una festa con tantissime persone. Quanti amori ho riscoperto, quanti amori ho trovato lungo la strada. Tanti da curarmi la rabbia fino a farla scomparire. Lasciandomi solo la paura, ma come atto di quotidiano coraggio. Forse faro' una festa uno di questi giorni, per la mia partenza, perche' ora sono davvero pronta a partire. Ora partirei non fuggirei, perche' ora so che sono degna e meritevole di felicita'. A mezzanotte e mezzo la metropolitana era affollata e io infastidita perche' ho dovuto aspettare BEN 5 minuti e stare in piedi. E poi ho sorriso di me stessa e di quanto sia facile abituarsi alla liberta'. Anche quella di andarsene in giro da sola di notte in metro sentendosi infastiditi perche' non c'e' un posto a sedere. Non rimpiango Napoli. Non mi manca l'Italia. Mi piace uscire e non aver paura. E mi piace sapere che 20 anni fa non era cosi'. La notte a NY era terrore. Ma ci sono luoghi nel mondo dove si crede che sia possibile cambiare e semplicemente lo si fa. Questo mi insegna New York, con la sua metropolitana affollata, ogni giorno. D. ed io abbiamo pianto perche' ci siamo trovate. Due sorelle. E insieme abbiamo fondato un gruppo di donne per le donne. D. e le altre mi hanno aiutata a guarire. Ed e' bello piangere allora. E' proprio bello.

Thursday, February 23, 2012

Donne

Ieri sera sono stata ad un incontro delle "Donne per Obama". Bello, emozionante e che mi ha ricordato ancora una volta la mia passione profonda per la politica.
Ma mi ha ricordato anche altre cose che provo, cosi', grossolanamente, nella fretta della mattina di una giornata troppo faticosa, da vivere per sopravvivere, ad elencare:

- mi ha ricordato che i democratici (a parte il PD ahahaha) hanno un carattere di globalita' che li contraddistingue: sono quelli che difendono, o dovrebbero, le istanze dei piu' deboli, dei piu' bisognosi e che lottano per garantire un mondo piu' dignitoso. Che poi, Obama, per farlo debba anche stringere la viscida mano di Wall Street fa parte dell'ineluttabilita' della politica in un sistema capitalista di cui gli Stati Uniti sono massima e piu' antica espressione (dove pero', in assoluto rispetto dei principi capitalisti, si riconoscono i meriti come base essenziale per lo sviluppo e la costruzione di maggiori ricchezze - in Italia si riconoscono le "connivenze" da perfetto paese mafioso quale, troppo spesso siamo)

- mi ha ricordato che le donne sono esseri umani splendidi e passionali. Perche' parlano del sale della vita e di quanto costi metterlo in tavola. Non fanno filosofia, comprano il latte. In Italia ho lavorato tanto con le donne fino a detestarle. Perche' non sono, troppo spesso, migliori degli uomini che, pero', io assolvo in quanto tali. Se li critico o cerco di reclamare il mio sacrosanto spazio in un mondo che loro hanno a lungo gestito ma che non puo' e non deve essere piu' esclusivamente loro, non posso imitarne, scimmiottarne anzi gli aspetti peggiori e piu' degradanti. Le donne con le quali ho lavorato e lottato, gomito a gomito, sono state le prime a voltarmi le spalle senza nemmeno chiedermi scusa. Senza nemmeno un gesto di dolore. Con disprezzo. Ricordo che il mio culmine lo raggiunsi quando una donna, che passa la sua vita a "difendere le donne" mi "redargui' " con una tiratina d'orecchie dicendomi che dovevo imparare "che tu non sei parte delle istituzioni ne' una persona di rilievo e per questo non puoi illuderti che un personaggio VIP, milionario, possa preferire parlare con te piuttosto con chi le istituzioni le rappresenta". Il personaggio vip era un calciatore e mi chiamava e mi chiama "caparossa". E siamo ancora amici. Un giorno il calciatore Vip, che quando sono partita per venire qui ha provato a distogliermi dalla mia decisione con piu' affetto di quanto ne abbiano mostrato tutte le donne delle istituzioni insieme, mi ha incontrato in aereo e mi ha detto "devi essere fiera di te stessa caparossa". Lo sono capitano. Lo sono.

- mi ha ricordato che sono in difficolta', acora una volta, perche' e' dura farcela quando i pagamenti non arrivano, il lavoro diminuisce (eppure lo faccio bene, lo so) e nessuno ti spiega nemmeno perche'. Ma ancora una volta trovero' dentro di me le risorse per saltare questo fosso. Ancora una volta. E la verita' e' che non sono nemmeno sola. C'e' New York a farmi da rete e tanti amici che non mi abbandonano mai. E amiche. Molte anche in Italia. Nessuna che abbia un ruolo istituzionale, se non nel mio cuore.

Monday, February 13, 2012

Snow

I get out from my building and there is snow. Nobody had forecast this nor announced. Odd in a country where they tell you even at what time it is gonna start and finish, and they are never wrong. They tell your everything. So you can be prepared.
But then, it happens, all the sudden, and it feels like you are under a rain of happiness, even if you are tired because you had an heavy week on the top of other heavier weeks.

The "unexpected snow" is like happiness that, sometimes, is not warm like the sun or cool like the spring breeze or the hot wind that messes up your memories while you drive your Vespa, coming down from Posillipo*, in a summer "controra"*. The happiness of the snow is cold and if it slips along your neck, you get cold and if you don't pay attention you can slip and fall hitting your butt. Because the happiness of the snow is the most sincere and it is not for free; it is not only beautiful and warm but it hits you lightly and silently and reminds you, with every flake, its other side, the toughest: the unhappiness. Because in each happiness there is an inescapable unhappiness and you have to face that.

When people ask me if I am happy now, I say "yes" by instinct. But then I feel my feet wet and the flake that slipped in my neck is melting and I am cold. But still, it is true, I am happy. And may be that is the "secret. That is the only reason why I keep loving the snow and I keep looking for happiness, in a such intense way that can make me unhappy, sometimes.

And the happiness, at times, means loneliness. A loneliness that comes from the fact that I decided to walk on a winding path, solitary, where it is very easy to stumble, especially when you are in a rush because you feel that your time is no more enough as if you were twenty years old.

Two nights ago, after the press conference of the Italian Prime Minister, in the elevator, I was with few important journalists and few very young colleagues. One of these, ignoring all the others, introduced himself to me. I started to talk with him and when I told him the name of my publication he smiled and said "I already knew". Everybody looked at me wandering if I was someone famous. Someone powerful.

In that precise moment, I thought about my mom and dad and the fact that, even if with the pain of the distance, I always made them proud. And it was like it was snowing. And I forgot, in an instant, that I arrived there after a long day of running around trying to get what I need to survive, with my "nice shoes" that were killing my feet and a tote like the Mary Poppin's one, with inside everything you can need to face an emergency and arrive "decent" at the meeting with the Prime Minister of your country. And I forgot the arrogant disregard of my "colleagues" (most part of them). I forgot the payments for my job that didn't come through; the Sunday that I was going to spend working because those payments didn't come through. And I forgot the tiredness, the uncertainty, the difficulties.

There was a young colleague that wished to shake my hand. And then, may be, that meant that no matter when or how, I should have written something good, something that someone has liked. And writing is all my life. Here is my passion and my love. Here am I.

Five years ago, back in Italy, I was in hell. Because I was alone with my fears and I didn't have any forecast about a coming snow storm. And therefore, I was getting ready to go to look for it. Faraway. Really faraway. In a place where the snow arrives all the sudden, while you are going out with Dorothy and it feels like happiness.

*Posillipo, a neighborhood in Naples, located on the hill, where I used to live
*"controra" is a typical neapolitan word that indicates the hours of the early afternoon that especially during the summer are too hot to indulge in any activities.

Sunday, February 12, 2012

La neve

Esco dal portone e c'e' la neve. Nessuno lo aveva previsto e neppure annunciato. Strano, in un paese dove ti dicono pure a che ora inizia e a che ora finisce e senza mai sbagliare. Ti dicono tutto. Cosi' si e' sempre pronti.
Pero' poi accade cosi' all'improvviso e ti sembra che ti piova in testa la felicita' anche se sei stanca perche' e' stata una settimana dura, a cavallo di settimane durissime.

La neve all'improvviso e' come la felicita' che, a volte, non e' calda come il sole o fresca come il vento di primavera o quello che ti scompiglia i ricordi mentre guidi una Vespa scendendo da Posillipo in una controra d'estate. La felicita' della neve e' fredda e se ti entra nel collo ti viene freddo addosso e ti si bagnano i piedi e se non stai attento scivoli e cadi con il culo per terra. Perche' la felicita' della neve e' quella piu' vera, che non e' gratuita, non e' solo bella e non e' solo calda ma ti arriva addosso leggera e silenziosa e ti ricorda, in ogni fiocco, l'altro aspetto, quello piu' difficile, quello dell'infelicita'. Perche' in ogni felicita' c'e' un'infelicita' imprescindibile e con la quale bisogna fare i conti.

Quando mi chiedono se ora sono felice, istintivamente rispondo di si'. Ma poi sento che i piedi sono bagnati e il fiocco di neve entrato nel collo si sta sciogliendo e ho freddo. Eppure e' vero, sono felice. E forse e' solo quello il segreto. Solo per quello continua a piacermi la neve e continuo a cercare la felicita', cosi' intensamente da essere disposta a soffrirne.

E la felicita, a volte, significa solitudine. Una solitudine che arriva dall'essersi incamminati per un sentiero tortuoso, poco battuto e dove e' facile inciampare, soprattutto quando vai di fretta perche' senti che il tuo tempo non e' piu' abbastanza come se avessi vent'anni.

Due sere fa, dopo la conferenza stampa di Monti, in ascensore ero con un paio di giornalisti importanti e con qualche giovanissimo collega. Uno di questi, ignorando gli altri, mi e' venuto incontro e si e' presentato. Ho iniziato a parlare con lui e quando gli ho detto che scrivevo per il Fatto lui mi ha detto "lo so". E mi hanno guardata tutti. Come fossi una famosa. Una che conta.

Ho pensato in quell'esatto istante a mia madre e mio padre e al fatto che, sebbene con dolore, li ho resi sempre fieri di me. Ed e' stato come se nevicasse. E ho dimenticato che ero arrivata li' dopo una giornata di corse in giro a guadagnarmi la sopravvivenza, con le "scarpe buone" che mi uccidevano i piedi e una borsa che sembrava quella di Mary Poppins perche' dentro c'era tutto il necessario per far fronte a tutte le esigenze e arrivare "decente" di fronte al Presidente del Consiglio. Ho dimenticato l'arrogante indifferenza dei "colleghi" nei miei confronti (la maggior parte). Ho dimenticato i pagamenti che non erano arrivati, la domenica che avrei passato a lavorare perche' i pagamenti non erano arrivati e la stanchezza, le incertezze, le difficolta'.

C'era un giovane collega che mi aveva voluto stringere la mano. E allora forse chissa' quando, chissa' come, avevo scritto qualcosa di buono che era entrato nella testa di qualcuno. E scrivere e' tutta la mia vita. E' qui la mia passione e il mio amore. Qui sono io.

Cinque anni fa, in questi giorni, ero all'inferno. Perche' ero da sola con le mie paure e non avevo bollettini che annunciassero la neve. E per questo mi stavo preparando ad andarmela a cercare. Lontano. Molto lontano. Dove la neve arriva all'improvviso, mentre esci di casa con Dorothy e ti sembra felicita'.

E’ nata una stella: addio Whitney Houston | Angela Vitaliano | Il Fatto Quotidiano

E’ nata una stella: addio Whitney Houston | Angela Vitaliano | Il Fatto Quotidiano

Monday, January 30, 2012

lettere d'amore

Detesto San Valentino ma detesto anche detestarlo perche' mi sa tanto di vecchia zitella inacidita. Che ovviamente non sono. Ovviamente. E chi lo afferma mente spudoratamente.

Stasera pero', chissa' perche', mi sono ricordata di quel San Valentino di tanti anni fa, quando vivevo a Napoli con un bel numero di coinquiline, tutte fidanzate. In quel particolare giorni scrissi, per ciascuna di loro, un biglietto pieno d'amore per le loro "anime gemelle". Ebbero tutti grande successo, o almeno a loro cosi' sembro'.

Scrivere d'amore e' cosi' facile quando non si tratta del tuo. Quando scrivi d'amore come se scrivessi dell'affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina: se ne sei incantata non possono che uscirti le parole giuste senza nemmeno pensarci.

Se devi scrivere del tuo di amore, invece, allora e' come doversi togliere la pelle di dosso, come dover fare la pipi' in pubblico, come risolvere un teorema matematico, come nuotare sott'acqua senza respiratore: doloroso, imbarazzante, complicato e, dopo un po', ti manca l'aria.

Forse perche' si parla d'amore quando fa male. Quando e' finito. O ci si accorge che non era neppure nato. Quando e' tradito. Quando e' fatto a pezzi.

Per questo non amo scrivere d'amore: perche' e' esercizio di bravura, se non e' il mio, oppure fa male tanto da farti dolere le ossa. Eppure lo appena fatto e non so neppure io perche'.

Forse solo perche' pensavo al rumorio perenne della mia casa da studentessa e per un momento, un solo momento, stasera mi e' mancato e mi sono mancate quelle lettere d'amore.

Durwood Douche - Everybody's F**king But Me

Friday, January 27, 2012

Anglish 2

When you move in a new country, the amount of things you have to learn is scary. But the scariest part is that you have to learn, often, those in another languages
And even if you think to know that language pretty well, it will take between 5 minutes to 2 days to get frustrated and willing to scream.

Being Italian, I am enough lucky to be able to talk with hands that can help even if it is not so fancy and sometimes undermine the quality of the words producing a comic effect like you use to see in the movies.

You try to get comfort imagining yourself like a Sophia Loren screaming "Roberto, Roberto" when Benigni won the Oscar and sounding beautiful, or closer in time, like a Sofia Vergara (is Sofia the "foreign most popular name" btw????) in Modern Family, that I find absolutely lovely and irresistible. I could watch the show just to hear her screaming with her thick accent. Lovely.

But there are many moments when the frustration doesn't go away and you would just shut up and put some music and let everybody understand through that.

When my aunt passed away, for example, I was so "new" to this country that I didn't even try to "tell my pain". I spent hours crying and making pizza that I gave to my neighbors. Cooking is one of the thing that helps me to survive storms and hurricanes.
But when my cousin left this world breaking my heart, I needed to scream and vomit my pain and rage and unhappiness. And I did. I suffered in English. I cried in English forgetting my frustration and my insecurity, pushed by my desperate need to survive.

Of course you need to express yourself in the new language also for nicer things. Like for sex. You cannot really be in bed with a lover and moan in Italian. If he is not an huge passionate of the language, the only result you will get would be to distract him. And after all the effort to keep his attention would be really a waste of time. So you have to start to "express" your pleasure in English. Some porn is suggested. It is fast and provide an immediate vocabulary that otherwise you would take too long to put together.

But there is a language you should really learn because you will find out, in the moment when you really need it, that you don't know it at all, and it is the "love language". No sex language, but love. The human feeling that you keep screwing up all the time. You can avoid that for long. Talking about silliness and other light things. But a moment will come that you will need to "explain", to apologize or to let someone understand and you will miss all the words you need. And you will be again, very frustrated knowing that you are very possibly ruining something you really care for.

So my choice is to play a song, Roberto Benigni's song that says "In love, words are not important. Music counts". And music doesn't need translation.

Sunday, January 15, 2012

e dell'amore/ about love

About love
About spoken love
discussed
analyzed
interpreted
and put in verses

About imagined love
dreamt
longed for
and yearned

About massacred love
thrown up
made in pieces
and left

About trusted love
refused
neglected
and forgotten

About pronounced love
whispered
murmured
and heaved

About run after love
stalked
followed
and never found

About cried love
missed
lost
and misplaced

About love that scares us
and that we ignore
not to die

And to never feel us alive--


Dell'amore parlato
discusso
analizzato
interpretato
e messo in versi

Dell'amore immaginato
sognato
vagheggiato
e agognato

Dell'amore massacrato
vomitato
fatto a pezzi
e abbandonato

Dell'amore confidato
negato
rifiutato
e dimenticato

Dell'amore pronunciato
sussurrato
mormorato
e sospirato

Dell'amore rincorso
braccato
inseguito
e mai trovato

Dell'amore che piangi
che manchi
che perdi
e che smarrisci

Dell'amore che ci spaventa
e che ignoriamo
per non morire

E mai sentirci vivi

Monday, January 9, 2012

Questioni di stile

Secondo la nuova legge, probabilmente, fra qualche mese non saro' piu' una giornalista e rischiero' una denuncia se continuero' a "comportarmi da tale". Mi sembra giusto. Se delle menti eccelse partoriscono decisioni di tale tipo, e' giusto che ci si adegui nonostante 20 anni di tasse pagate all'Ordine e varie ed eventuali. Soprattutto, e' giusto che ci si adegui nonostante poi io faccia questo per vivere: scrivo.

Sono sicura, pero', che la collega di Repubblica che si e' ispirata ad un mio articolo cosi' tanto da scriverne uno uguale come un gemello eterozigoto, abbia un tesserino amaranto (quello dei giornalisti di serie A) e che quindi, sia intoccabile.

Chiariamolo, nessuno di noi (o molto pochi) scrivono articoli "esclusivi". Per la maggior parte ci "rifacciamo" a notizie lette qua e la' o riportate dalle agenzie. Ma, perlomeno, lo svolgimento dovrebbe essere originale. come a scuola, ti danno una traccia e quindi un'intera classe scrive sullo stesso argomento, ma alcuni scrivono meglio di altri e quelli che copiano si beccano, o si dovrebbero beccare, un bel 2 meno meno.

Il capo della collega mi ha scritto che mi avrebbe fatto sapere perche' era stupito. Ovviamente ha aggiunto che LORO il pezzo ce l'avevano nel cassetto da MOLTO tempo. Quindi, chiaramente ho copiato io perche' non si vede mai una Giornalista (di serie A)che scrive per uno dei gruppi editoriali piu' importanti del paese copiare da una NON giornalista che collabora, fra gli altri, con un quotidiano online.

Inutile dire che so che questa cosa passera' sotto silenzio. E che scuse non ne arriveranno. Anzi, quasi quasi, preventivamente le faccio io alla collega per l'eventuale fastidio che abbia potuto creare con il mio non starmi zitta.

E non e' che avrei vinto il Pulitzer con il mio pezzo. Ma e' una questione di stile, o ce l'hai o non ce l'hai.

Io non saro' una giornalista, ma di stile ne ho da vendere. Credetemi.

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/01/06/news/berlusconi_strauss-khan-27325629/

http://www.linkiesta.it/strauss-kahn-gerard-depardieu