Tuesday, November 27, 2012

Benjamin

Ieri sera ho comprato l'albero. Un metro e 70. Grasso ;) L'ho chiamato Benjamin. Do un nome a tutte le cose che mi circondano e che hanno vita. Ne volevo uno finto naturalmente ma costava troppo e gia' Benjamin mi e' costato quasi quanto il paio di stivali che ora non comprero'. Ma non importa. Intorno a me deve essere Natale, come lo e' dentro di me.

Questo periodo dell'anno e' stato per me il piu' difficile da affrontare appena trasferita. Ricordo il primo Natale, solo il primo, in cui mi ritrovai da sola, con Dorothy, un freddo che ti spezzava i denti e un tavolo a ristorante senza compagnia (di solito mi piace mangiare da sola). Giurai che non sarebbe successo piu'. E finora ho mantenuto la mia parola con me stessa e con Dorothy.

Ieri sera lei guardava me trafficare intorno a Beniamino, aggiustarlo, mettergli l'acqua e si e' messa vicina vicina per sentirne l'odore. Fino a febbraio tutto cio' che si sentira' in giro sara' odore di resina e boschi.

Quando ero piccola ho avuto dei Natali epocali. come quelli dei film. Ne ricordo i sorrisi, le lacrime, i tavoli affollati, le voci che si sovrapponevano, mia nonna a capotavola (alla faccia di tutti i beceri maschilismi) un po' silenziosa a guardarci rincorrendo chissa' quali pensieri, le cantate, le processioni di noi piccoli in giro per la casa con il bambinello fra le mani, tu scendi dalle stelle, castagne dimenticate nel forno, finocchi gia' finiti prima del pranzo, calzoncini di cioccolata e castagne e dormire con le mie cugine e pandoro nel latte al mattino e revisione di tutti i regali... sono stata buona pensavo.... sono stata buona e mi sembrava che non mi mancasse nient'altro che avere i capelli lunghi. Non desideravo altro. Forse nemmeno quello.

Se oggi sono forte nella mia debolezza e capace di un sorriso anche con il cuore pesante e' merito di quei Natali. Di quel "Lucarie' scetete" visto e rivisto mille volte, della stanza dei "maschi" che giocavano a poker, del cinema di tutti i cugini insieme il giorno di Natale, dei racconti di zia Elena, le mattine buie e fredde in cui andava a lavorare alle cotoniere mentre le sue amiche facevano le bamboline di porcellana, truccate e benvestite, di noi in piedi sulle sedie, anno dopo anno, a recitar poesie e poi in giro a baciare e raccogliere soldi e i vestiti nuovi e le scarpe belle e il cappottino ereditato dalla cugina piu' grande perche' tutto non si puo'. E papa' che aveva sempre il turno di notte e doveva mangiare presto e andarsene e a noi tutti dispiaceva tanto ma lui, comunista, non ha mai preso un solo giorno di ferie o di malattia durante le vacanze. Non potro' mai smettere di essere comunista perche' per me e' sinonimo di persona perbene. Come mio padre.

Amo Natale come avessi ancora sei anni e i capelli corti e gli occhi che vogliono conoscere risposte inaccessibili. Lo amo persino nella sua malinconia di non essere piu' lo stesso perche' cio' che amo e' che io l'ho avuto e ora sta a me perpetuarne la bellezza, l'incanto, la leggerezza momentanea dagli affanni del vivere.

Da dieci giorni non scrivo quasi piu'. Sapevo sarebbe accaduto. Chiuso il sipario sulle elezioni americane sarei tornata ad essere un pezzo di lacerto in macelleria. Mi manca da morire. Mi sveglio senza trovare quelle mail che mi hanno costretto a scrivere ovunque, persino seduta a terra davanti al bagno di Starbucks e ho le lacrime negli occhi. Certo perche' non sapro' poi come pagare i miei conti ma anche e soprattutto perche' mi manca il rumore di questa tastiera che sembra conoscermi piu' di quanto io conosca me stessa perche' mi racconta. Come ho gia' detto.

E, ieri, nella mia tristezza che ho provato a nascondere, ma poi e' emersa facendomi rinchiudere come se fossi una lumachina, nel mio guscio, il piu' affettuoso abbraccio mi e' arrivato da una mia amica che amo molto e che mi ha detto "supereremo insieme questi brutti momenti che stiamo affrontando". Lei ha 32 anni e il cancro. E l'amore con cui mi ha detto questa cosa non mi ha fatto vergognare di me stessa ma solo venir voglia di prenderle la mano e andare con lei in un bosco ad urlare. Ma poi mi ha detto, vedendo la foto di Beniamino, che quello era tutto cio' che il dottore aveva ordinato.

E' vero.

Nel silenzio di una mattina di fine novembre che attende la neve, io lascio queste lacrime scendere senza interrompere l'assenza di suoni. Quando usciro' da questa stanza, aprendo la porta, vedro' Beniamino, ne sentiro' il profumo e vedro' Dorothy stesa li' vicino. E sapro' che la mia vita, come avrebbe detto zia Elena, e' meravigliosa. Perche' sgualcita come un fazzoletto messo malamente in una tasca dopo esserti asciugata le gote da un pianto. E' sgualcita come tutto cio' che e' meraviglioso dovrebbe essere. Perche' in una piega, poi, ritrovi sempre un pezzo di vita attaccato.


Thursday, November 22, 2012

Thank you

Grazie
  • per la vita che e' tornata a pulsare nelle tue vene, proprio quando sembrava essere fuggita via per sempre. Grazie per la vita che abbiamo e, spesso, diamo per scontata.
  • per questa citta' che mi emoziona, mi commuove, mi da energia, mi fa innamorare, mi fa incazzare, mi fa stancare, mi fa spaventare, mi fa sentire viva. Grazie perche' sono a casa
  • per gli amici che mi hanno abbracciata, offerto uno spalla per piangere, stretto una mano, regalato un sorriso, scritto una parola e regalato un po' del loro vivere. Grazie per essere come caldarroste su un camino, nel giorno di Natale, in una casa di campagna.
  • per la famiglia che e' roccia, guanciale, coperta, ventilatore, latte e pandoro, regali nascosti, abbracci non dovuti, patate a fette sulla fronte che scotta, bagno caldo per ossa dolenti, carezza sul viso mentre dormi in silenzio. Grazie.
  • per quelli che mi dicono "sei un'illusa" "sei una sognatrice" "sei..." come se mi conoscessero fin dentro le pieghe della mia anima plissettata. Invece conoscono solo il loro disincanto, la loro amara apatia, le loro inconfessate paure. Grazie perche' mi fate ricordare davvero quanto io sia fortunata ad avere capacita' di restare incantata di fronte ad una luce natalizia, sempre e comunque.
  • per Dorothy, mia compagna, mia amica, mio sostegno, mio sguardo verso il mondo. Quando non sarai piu' con me io non saro' piu' cio' che sono. Ma, oggi, insieme, noi siamo una meraviglia. Grazie per avermi riportato alla vita, dieci anni fa, quando, pur avendo visto l'abisso, ci sono saltata dentro.
  • per te, che mi ami da lontano e a modo tuo. Ti amo anche io. Grazie per non essertene mai andato del tutto.
  • per l'umilta' che ho imparato. Che non e' quella che ti fa comportare come se fossi l'ultimo degli ultimi. Quello e' servilismo. Ma per quella che ti fa conoscere bene dove sei, dove puoi andare e, nonostante tutto, sentirti bene. Grazie perche' altrimenti non sarebbe stato possibile per me sopravvivere
  • per i chili persi, che poi riprendero' ma che oggi mi fanno sentire ballerina. Grazie per il sorriso dell'auto ironia.
  • per quell'aereo, quel giorno, che mi ha portato qui senza cadere sotto il peso della mia angoscia. Grazie per avermi accompagnato verso la vita, ancora.
  • per chi, in questi anni, e' andato via ma e' li a proteggermi. Grazie per avermi lasciato parte di voi dentro di me.
  • per le mie dita che sanno scrivere parole. Le vedo partire all'improvviso, muovendosi leggere su questa tastiera e nemmeno sembrano appartenermi. Non le controllo, non le dirigo, non le indirizzo. Loro sanno. Loro vanno. Loro creano. E creano cio' che io sono ma che non saprei cosi bene se loro, le mie dita, non sapessero descrivermi. Grazie per le parole che mi riflettono e mi fanno sentire piu' bella di quanto io sia
  • per me che a fatica, con sacrificio e paura, un giorno, finalmente, ho deciso che era tempo di volermi bene. Ho appena iniziato. Il meglio deve ancora venire, come direbbe il mio presidente. Grazie.

Sunday, November 4, 2012

di uragani e altre tempeste

Oggi il cielo di New York e' di un azzurro che ti sembra non dover finire mai. Ti sembra quasi impossibile pensare che solo una settimana fa a quest'ora, nubi dense e vento in crescendo annunciavano l'arrivo di Sandy, un nome bello per una tragedia che di bello ha avuto ben poco.

Sandy non mi ha toccato personalmente, nel senso che non ho perso nulla, nemmeno la luce, nemmeno per un minuto. Ma mi ha attraversato con tutta la sua potenza mettendomi in disordine gli equilibri, spazzando via solidita', scoprendo il fianco alla debolezza. E ha toccato tanti amici. E tanti che non conosco ma che, come me, sono newyorchesi. Vicini di casa. Questa casa. Casa mia.

Sandy mi ha fatto vedere sotto una luce illuminata gli amici veri, quelli su cui puoi contare. E l'affetto di tanti. Il calore enorme che mi ha avvolto arrivando da dovunque. Forte.

E mi ha ricordato le solitudini. Quelle che  trovi anche dietro l'angolo. Spesso in un angolo del tuo cuore.

Mi ha fatto apprezzare chi sa donare un abbraccio, un sorriso, una spalla su cui piangere, senza ragione. Chi sa dirti che c'e' anche per te, anche senza dire nulla. Con uno sguardo.

So di me di essere ottimista fino all'estremo. Tanto che questo a volte diventa un difetto oltre che un pregio. E ho sempre pensato che l'ottimismo sia contagioso. Sandy, pero', mi ha ricordato che l'ottimismo non e' contagioso ma CORAGGIOSO e, dunque, non per tutti.

Sono stanca ma ottimista. Dunque, coraggiosa. Non di un coraggio eroico. Ma di un coraggio umano, debole, fatto di ombre e di difficolta' un po' ispide. Un coraggio che attira coraggiosi e respinge chi e' incazzato con il mondo sempre e comunque. Il coraggio di chi sa che anche chi come me - e sorrido - sa ben essere commander in chief quasi sempre, a volte, ha solo bisogno di un abbraccio silenzioso