Sunday, September 11, 2016

Il tempo


Ti raccontano che il tempo aiuta. Ma e' una sciocchezza.
Ti raccontano che le persone che ti lasciano ci sono lo stesso. Ma e' una sciocchezza
Ti raccontano che bisogna essere come si e' perche' ne vale la pena. Ma e' una sciocchezza.
Ti raccontano che bisogna distrarsi. E questa, di tutte, e' la piu grande sciocchezza

Sono paziente. Sono stata sempre notata da tutti in tante circostanze per la mia pazienza. Come una roccia, mi lascio arrivare le onde addosso. E sto la'. Ferma. Sapendo che arrivera' il mare calmo.
Sono paziente ma odio attendere. L'attesa sconosciuta, quella che non senti nelle budella. La roccia sa e sente che la bassa marea arrivera'. Ma non attende. Sa. Per questo odio le attese che non "so". Quelle di "dai tempo", "fai passare il tempo". Come se il tempo dipendesse da me e io gli concedessi di passare o fermarsi. Io posso solo scegliere di viverlo o non viverlo quel tempo. Sapendo che l'unica soddisfazione, chiamiamola cosi, anche scegliendo di non viverlo, sara' dipesa da me. L'essenziale, pero', lo decide lui: passa inesorabile, ti toglie affetti, ti invecchia, ti sfinisce e ti sbatte addosso senza riguardo. Per questo non amo il tempo e le stronzate sul "dare tempo al tempo". Questa l'ha inventata uno delle tasse, abituato a chiedere sempre un po' di più, seza riguardo.

Sono spirituale e so che tutto intorno ci sono i segni delle vite passate: e non solo nei ricordi. Lo so. Eppure so che da due mesi e mezzo vorrei solo sentire mia madre e dirle: "mamma, mi dici come le metto le melanzane sott'olio?". Una cosa semplice. Che milioni di persone ti possono dire ma che io voglio sentire da lei. E sapere che non lo sentiro', mi annienta.

Sono come sono. Spesso. Che poi, come sono, diceva Pirandello, sono mille persone in una. Io sono un po' matta perche quelle mille persone le lascio venir fuori tutte, spesso insieme. E fanno feste e un gran casino. E a molta gente piace e ti dicono che sei simpatica e vorrebbero essere i tuoi migliori amici perche "no angie, no party". E si aspettano da te quello che vedono: la roccia con le onde che sbattono e tu stai ferma, mentre tutto il mondo marino organizza una parata con trombe e sassofoni che suonano e tamburi e le majorettes che mi sono sempre piaciute da impazzire. Sono come sono e me ne assumo le conseguenze. Quando Marco mi racconta che ancora legge ogni tanto le lettere che gli scrivevo quando avevo 18 anni e lo amavo come tutta la mia vita dovesse finire in quel momento li, sorrido e sono lieta di essere come sono. Non e' facile pero' starmi accanto nei momenti di burrasca. Quando le majorettes cominciano a tirare i birilli in faccia alla gente e tutte le note escono stonate e io faccio finta di non capire che la parata sta andando a puttane e ci saranno tanti che poi non torneranno piu a guardarla ammirati ma se ne terranno lontani perche, cazzo, si sono presi un birillo in faccia.

Di tutto ho imparato che distrarsi non serve. Quando ti allontani da cio che ti tormenta ti fai, di solito del male, con alcol fumo relazioni senza senso cibo spazzatura notti insonni e varie ed eventuali. Per carita', essendo umana e con mille personcine nel cervello che discutono costantemente fra loro, ogni tanto scivolo e mi acchiappo a una sigaretta o a una vodka. Ma sono momenti fugaci. Tanto per non essere troppo buddista. Ho imparato invece che quando tutto sta crollando devi lasciarlo crollare anche se tutte quelle macerie non lasciano respirare il cuore. Perche lo sai, lo hai imparato che quando tutto e caduto, cio che resta e' indistruttibile e ti fa sentire una forza. Sei ancora roccia. Meno imponente forse. Ma roccia.

Quando si perde una parte di se', come una madre, non c'e' modo per affrontare tanto dolore con grazia ed eleganza come si vorrebbe. Per quanti sforzi si facciano si annaspa goffamente in quella mareggiata sperando di restare a galla. A volte sperando di affogare del tutto. Niente grazia, ne' eleganza. Non e' un bello spettacolo. Persone che ti vedevano da una sola angolazione, restano allibite. Stranite. E si voltano di spalle e si allontanano. E tu stai li e continui ad annaspare ed annaspando ti sforzi anche di richiamare questi nomi, riportare a te quelle persone perche non pensi che potresti sopportare un altro minimo cambiamento nella tua vita, un'altra perdita, un'altra solitudine.

Gli americani hanno espressioni che amo come "shit happens" e "suck it up". Tradotte - le cose accadono e ingoia e zitto - non hanno lo stesso potere onomatopeico. Shit happens. Suck it up. E me lo ripeto ossessivamente mentre sono ancora nella mareggiata, un po' piu sola, un po' piu stanca, un po' piu severa con quella mia assenza di grazia. Shit happens. Suck it up.

Torneranno le onde basse. E io roccia. E organizzero ancora delle feste memorabili. E chi mi ha lasciato o voltato le spalle mentre annaspavo continuerà a mancarmi in eterno. Perche' io odio il tempo ma credo nell'eternita'. La felicita' e' eterna. Anche quando finisce. Non e' mai finita davvero perche' si e' impossessata di te. Ecco perche ti mancano le persone. Perché sono in quelle foto che scorrono nella tua testa e sai che non ne potrai scattare piu insieme. Ma quelle, quelle meravigliose immagini di risate profumate di rose e sale marino, non te le toglie nemmeno il maledetto tempo.

Friday, September 2, 2016

Cadute





Quando ero piccola, mio padre, mentre giocavamo a farmi girare veloce veloce, e io ridevo felice,
mi fece cadere e mi feci male.

Non volle mai più rifare quel gioco con me

Il dolore non lo ricordo. Ricordo la felicita dei miei sorrisi e di quel mondo che girava intorno con me e sembrava ridere con me.

Il dolore della caduta non lo ricordo. Ricordo il dolore di non aver mai rifatto quel gioco. Di non essermi mai piu potuta affidare alle sue mani.


Quando ero piccola, mio padre mi insegno a nuotare. Un giorno un'onda mi strappo' dalle sue mani e io andai sotto, un attimo, forse due. Abbastanza da aver paura. Abbastanza da ricordare la sua mano che mi affero' e mi tiro' su. Nell'aria.

Ci furono altre onde. Andai sotto spesso. Mio padre continuo' ad afferrarmi, con la sua mano forte.

Si cade. Ci si fa male. Si sbatte la faccia sull'asfalto. Si beve acqua salata. Ma ci si rialza.

Passato il dolore, o persino con il dolore ancora addosso, bisogna giocare ancora per non convincersi che quello non sia un gioco.

Avere una mano che ti afferra, a volte e' salvezza.

A volte bisogna accettare di cadere. Da soli. E da soli rialzarsi.

Ma cadere e rialzarsi. Sempre.