Sunday, April 20, 2014

Pasqua


Mia madre mi comprava sempre un vestito nuovo a Pasqua. Tornavo da scuola e me lo faceva trovare sul letto, ben disteso, per darmi un'idea di come sarebbe stato indossarlo. Ne ricordo uno in particolare che ho amato da impazzire: aveva una gonna a pieghe color nocciola con dei cuoricini rossi e una camicia/giubbino marrone con delle tasche e dei bei bottoni. Per me, che con quei capelli sempre quasi rasati faticavo a sentirmi femmina, fu una visione meravigliosa.

La mia Pasqua era quel momento, quella porta che aprivo e la curiosità' di vedere quel vestito. Tutto mio, tutto nuovo e non uno smesso dalle mie cugine più grandi. Non mi dispiaceva mettere i loro vestiti, anzi. Infatti, ancora oggi, accetto volentieri regali da chi deve "dar via" qualcosa. Il vestito di Pasqua, pero', era la mia gioia perché' nella mia testa di bambina era come se lo avessero disegnato e cucito solo per me me: per quel viso birbante sotto capelli troppo corti, per quel sorriso che nascondevo dietro un broncio perenne, per quella pancia cicciotta che rendeva difficile chiudere quella gonnellina, per quelle gambe e quei piedi che erano destinati a percorrere il mondo.

Non mi piaceva la pasteria e i suoi canditi; non mi piaceva l'agnello perché mi metteva tristezza l'idea che si mangiassero degli animali così carini e mio padre non permetteva che arrivassero uova di cioccolato a casa perché "ci avrebbero fatto male". 

Pero' c'era quel vestito e - quando mamma aveva risparmiato un po' in più - anche le scarpe nuove.

Il primo anno a New York, ero arrivata da poche settimane, ci fu una nevicata. Dalle vetrine di un ristorante dove ero andata a mangiare uova per "brunch", guardavo quei fiocchi e pensavo a quella gonna a pieghe. Quel giorno, lo ricordo, indossavo una maglia con dei rombi verdi. Avevo portato poche cose pesanti con il primo bagagli e mettevo sempre la stessa maglia che ho conservato per tanti anni ancora, come una coperta di Linus. Guardavo la neve e pensavo alla mia gonnellina a pieghe con i cuoricini e a quei calzettoni bellissimi, ricamati, che mamma mi metteva e che mi facevano sopportare meglio le scarpe ortopediche. In quel momento avrei voluto tornare in una casa, aprire una porta e trovare un vestitino nuovo sul letto e sentirmi felice. Sentirmi protetta. E non immensamente sola. Il dolore che ho provato lontano dai miei  in questi anni e' tutto il prezzo che - se fosse stato necessario pagare un prezzo - ho ampiamente pagato.

Il sugo brontola dalla cucina: oggi ho ospiti. Federica che ho visto nascere e che non smetterei mai di ascoltare e Francesco. E un cane corso che mi sta distruggendo la casa. E la mia principessa che, pero', E' casa. 

E domani mi comprerò un vestito nuovo e lo appoggerò sul letto e sorriderò. Non sono più sola, questa e' la novità. Ho ritrovato me stessa e quella bambina che era bella ma non sapeva di esserlo anche se la sua mamma glielo ricordava di continuo.

Thursday, April 10, 2014

E sapro'



E sapro' di non averti mai detto addio

Di non aver fatto in tempo prima che la vita cancellasse la minima traccia di te
lasciandomi il riflesso estraneo
di uno sconosciuto

Sapro' di non averti mai detto addio
pur avendoti perso mille volte
da un punto lento del cuore

Sapro' di non averti mai detto addio
nemmeno nella distanza
nemmeno nella lontananza
nemmeno nell'assenza

Sapro' di non averti mai detto addio

Nemmeno mentre mi dicevi "ti amo"
dicendomi addio
nemmeno allora
nemmeno in silenzio
nemmeno per scherzo
ti ho detto addio

Wednesday, April 2, 2014

Roby

Non so mai da dove arrivino gli incroci dei miei pensieri. Non so mai dove, la mia sparpagliata memoria condurra' la mia attenzione, spostando una parte del mio cervello su qualcosa di inaspettato.

Non so e nemmeno, onestamente, mi interessa saperlo. Ho fatto da tempo amicizia con la scompostezza della mia vita, con quel continuo sovvertire le attese e fare, a volte, dei giri infiniti prima di arrivare ad un punto chiaro e immediato. La praticità quasi maniacale che necessito nella mia quotidiana sopravvivenza, scompare, forse per contrappasso, nell'attività del pensiero che non osserva regole economiche o di contingenza immediata.

Per questo ieri, improvvisamente, mi sono ritrovata bambina a guardare mio fratello Roberto, portato in spalla da un suo compagno di squadra "senior" dopo essersi aggiudicato l'ennesima medaglia in una gara di pattinaggio.

Mio fratello ed io siamo quanto di piu' diverso possiate immaginare, a prima vista. Lui e' biondo (era - con i capelli) e con gli occhi azzurri e da ragazzino era così magro che mia madre e mio padre, disperati, provavano a rimpinzarlo di dolci. Io sono stata sempre piu' larga che alta e la storia che mi accompagnava crescendo, e che ha segnato il mio destino, e' che da piccola, ma piccola, se cadevo non riuscivo a rialzarmi per quanto fossi grassa. Mia madre, in soggiorno, ha due foto meravigliose di noi bambini, in bianco e nero: Roberto sembra un incrocio fra il figlio di Kate e William e quello di Angelina Jolie e Brad Pitt. Non so se avete presente. Io sono un Budda mignon, con una gonnellina che vuole esplodere e una faccia tonda e perplessa che e' la stessa che mi avrebbe accompagnato negli anni di fronte alle bilance dei vari dietologi. In piu', Roberto sorride. Io sono imbronciata.

Quelle foto sono la sintesi di noi due. Almeno ad un primo sguardo. In piu', come dicevo, Roberto era un campione di pattinaggio (io alla seconda frattura di braccio sono stata interdetta da ogni sport) e, crescendo, inizio' anche a giocare ad hockey con un gruppo di compagni di squadra di cui - ovviamente - io ero assolutamente innamorata, nonostante loro mi ignorassero come si ignora cio' che nemmeno vedi.

Insomma - per anni - sono stata divorata dalla gelosia nei confronti di quel fratello bello, bravo e pure intelligente ;) Per attirare l'attenzione ho cominciato a parlare senza sosta, sempre e di tutto e lo facevo anche mantenendo quella faccia cupa e incazzata, tanto per dare un segno di serietà al mio dire. Roberto, infatti, e' stato sempre silenzioso e introverso. Le parole divennero la mia arma per attirare l'attenzione e venni immediatamente ribattezzata "la contestatrice" - un passo avanti dalla "chiattona" cui ero abituata.

Crescendo, pero', per fortuna, i tormenti dell'infanzia e di quelle continue trasformazioni lasciano il posto a delle personcine in nuce che prendono confidenza con se' stesse e sbocciano, finalmente, come farfalle. O diventano cigni pur essendo stati dei "brutti anatroccoli".

Negli anni, riguardando le foto di noi piccoli senza piu' provare quella fitta di dolore nel vedermi orribile vicino al "principino" ma scoprendo in entrambi una bellezza distinta e perfetta, ho ritrovato le parole di mia madre che mi raccontava di come mio fratello mi seguisse sempre per assicurarsi che non mi accadesse nulla e di quella volta che mi salvo' la vita, correndo a chiamarla mentre stavo per soffocare sommersa dal borotalco che un'amichetta aveva deciso di spolverarmi sul viso a chili.

E mi sono ricordata anche di quella volta che io - a sua insaputa - sfidai a botte un bulletto di quartiere che lo aveva minacciato (storie di ragazzine perché ovviamente tutte gli morivano appresso bello com'era mentre a me... vabbe' avete capito)

Roby ha sposato una delle mie migliori amiche (grazie al mio zampino), Nicle, e ha due figli splendidi, Serena e Cristian,  che sono la mia gioia oltre che la loro ovviamente. Come me, e' caduto e si e' rialzato piu' volte. Come ha imparato a fare quando correva su quei pattini che io invece ho appeso al muro per troppa paura.

Ecco, diciamo che siamo molto piu' simili di quanto si possa credere proprio per questo. Perché non ci arrendiamo. Lui lo fa con la stessa caparbieta' di un atleta che conosce il sacrificio necessario per arrivare al traguardo; io, spesso, lo faccio con la stessa rabbia che mi portavo dentro quando mi sentivo solo quella "grassa".

Roberto continua a parlare meno di me e probabilmente si imbarazzerà un po' per questo scritto. Ma alla fine, mi perdonerà perché e da sempre così che succede fra di noi.

Perche' siamo fratelli.