Saturday, December 24, 2016

Maria Pia







Maria Pia aveva sempre i capelli corti, perchè, da ragazza, li aveva sempre lunghissimi.

Maria Pia aveva un sorriso che rischiarava qualsiasi notte. Anche quelle davvero buie.

Maria Pia andava in chiesa ogni domenica e per questo aveva manifestato, tante volte, a pugno chiuso, in difesa dei diritti: all'aborto, al divorzio, alla ricerca sulle staminali, ai diritti insomma.

Maria Pia faceva degli struffoli e una minestra maritata che valeva la pena aspettare Natale solo per quello.

Maria Pia amava Vincenzo come i quindicenni quando ti aspetti sotto scuola e poi lo vedi e senti come se avessi fame ma non e' fame. E' quella cosa che poi impari si chiama felicita.


Maria Pia amava Roberto e Angela in un modo che non la facevano mai sentire stanca, mai arrabbiata di doversi alzare la notte per cambiargli la "maglia di sotto" quando sudavano per la febbre forte, sempre li a guardarli come fossero la perfezione messa in terra.


Maria Pia amava Serena e Cristian in un modo che nemmeno Roberto e Angela. La sua Principessa e il suo Campione. Aveva una luce negli occhi quando ne sentiva solo il nome come solo le nonne che sanno essere nonne.


Maria Pia amava Nicle. La moglie di Robertino che aveva imparato a voler bene come la figlia femmina che non aveva. Perche' quella che aveva lei, beh quella, era un'altra cosa. Una ribelle. Piena di ricci.
Maria Pia amava Chiara. Che un po' le dispiaceva che non l'avesse messa al mondo lei. 


Maria Pia, verso giugno, disse ad Angela che le dispiaceva che fosse in collera con Anna. Perche a lei Anna piaceva assai.


Maria Pia chiacchierava con le amiche di Angela piu di quanto facesse lei. E lo raccontava ad Angela ridendo come se avesse fatto una marachella: Lina, Rosanna, Antonella, Paola.


Maria Pia aveva un cuore cosi grande che ci faceva entrare tutti, ma non tutti. Tutti quelli in cui lei leggeva amore, gentilezza, generosita'. Quando le raccontai del mio amico che ando' apposta all'universita' a prendermi i certificati di laurea, mi disse "mo' dici a questo amico tuo avvocato che mi deve fare l'onore di venire a mangiare da me. Perche' io lo devo abbracciare stretto". E mi chiedeva spesso: "ma Salvatore?" - perche' poi quando entravi nel suo cuore, perdevi i titoli e diventavi figlio e figlia.


Maria Pia, lo so, era come tante. Come la mamma di Alba. Come la mamma di Anna. Mamme insomma. Ma era mia madre. E oggi, a mezzanotte, le sei del pomeriggio per me, mi avrebbe chiamata e avrebbe pianto. Lo faceva poche volte. A Natale sempre. A Natale, lei era troppo "Lacreme napulitane". A Natale, quell'oceano, le sembravano sempre due, uno per andare e uno per tornare. Perche quello ci separava: un'andata e un ritorno. 


Maria Pia oggi non mi chiamerà. Ci saranno lacrime lo stesso. Perchè ora i nostri cuori si incontrano altrove, in un punto impreciso fra qui e le stelle e ritorno, ma non e' lo stesso. Non sara' mai piu lo stesso.


E mi manca Maria Pia. Mi manca mia madre.

Tuesday, November 29, 2016

Dorothy


Ti accarezzo la testa
Sollevi gli occhi a guardami
Grata

Non mi hai mai voltato le spalle
nonostante le mie intemperanze
nonostante le mie mancanze
nonostante i miei tormenti

Ti accarezzo la testa
la notte e' passata
il respiro e' tornato

Sollevi il muso
trovando culla nel mio grembo
trovando sollievo nel mio conforto

Sedute in questa casa amata
sembra quasi possibile ignorare le macerie
di un anno di perdite
di un anno di battaglie perse

Sedute in un abbraccio
ci prepariamo ogni giorno
a conservare un ricordo
prima di un arrivederci

Il tuo naso mi respira
e sembra portarsi via il dolore
sei la mia scialuppa di salvataggio
in questo mare in tempesta

E quella mano sulla tua testa
e' tutto per te
ed e' tutto per me

Che finalmente mi perdono
di provare la vita cosi profondamente
e di essere cosi imperfetta
di fronte alla sua imperscrutabile perfezione

Sunday, September 11, 2016

Il tempo


Ti raccontano che il tempo aiuta. Ma e' una sciocchezza.
Ti raccontano che le persone che ti lasciano ci sono lo stesso. Ma e' una sciocchezza
Ti raccontano che bisogna essere come si e' perche' ne vale la pena. Ma e' una sciocchezza.
Ti raccontano che bisogna distrarsi. E questa, di tutte, e' la piu grande sciocchezza

Sono paziente. Sono stata sempre notata da tutti in tante circostanze per la mia pazienza. Come una roccia, mi lascio arrivare le onde addosso. E sto la'. Ferma. Sapendo che arrivera' il mare calmo.
Sono paziente ma odio attendere. L'attesa sconosciuta, quella che non senti nelle budella. La roccia sa e sente che la bassa marea arrivera'. Ma non attende. Sa. Per questo odio le attese che non "so". Quelle di "dai tempo", "fai passare il tempo". Come se il tempo dipendesse da me e io gli concedessi di passare o fermarsi. Io posso solo scegliere di viverlo o non viverlo quel tempo. Sapendo che l'unica soddisfazione, chiamiamola cosi, anche scegliendo di non viverlo, sara' dipesa da me. L'essenziale, pero', lo decide lui: passa inesorabile, ti toglie affetti, ti invecchia, ti sfinisce e ti sbatte addosso senza riguardo. Per questo non amo il tempo e le stronzate sul "dare tempo al tempo". Questa l'ha inventata uno delle tasse, abituato a chiedere sempre un po' di più, seza riguardo.

Sono spirituale e so che tutto intorno ci sono i segni delle vite passate: e non solo nei ricordi. Lo so. Eppure so che da due mesi e mezzo vorrei solo sentire mia madre e dirle: "mamma, mi dici come le metto le melanzane sott'olio?". Una cosa semplice. Che milioni di persone ti possono dire ma che io voglio sentire da lei. E sapere che non lo sentiro', mi annienta.

Sono come sono. Spesso. Che poi, come sono, diceva Pirandello, sono mille persone in una. Io sono un po' matta perche quelle mille persone le lascio venir fuori tutte, spesso insieme. E fanno feste e un gran casino. E a molta gente piace e ti dicono che sei simpatica e vorrebbero essere i tuoi migliori amici perche "no angie, no party". E si aspettano da te quello che vedono: la roccia con le onde che sbattono e tu stai ferma, mentre tutto il mondo marino organizza una parata con trombe e sassofoni che suonano e tamburi e le majorettes che mi sono sempre piaciute da impazzire. Sono come sono e me ne assumo le conseguenze. Quando Marco mi racconta che ancora legge ogni tanto le lettere che gli scrivevo quando avevo 18 anni e lo amavo come tutta la mia vita dovesse finire in quel momento li, sorrido e sono lieta di essere come sono. Non e' facile pero' starmi accanto nei momenti di burrasca. Quando le majorettes cominciano a tirare i birilli in faccia alla gente e tutte le note escono stonate e io faccio finta di non capire che la parata sta andando a puttane e ci saranno tanti che poi non torneranno piu a guardarla ammirati ma se ne terranno lontani perche, cazzo, si sono presi un birillo in faccia.

Di tutto ho imparato che distrarsi non serve. Quando ti allontani da cio che ti tormenta ti fai, di solito del male, con alcol fumo relazioni senza senso cibo spazzatura notti insonni e varie ed eventuali. Per carita', essendo umana e con mille personcine nel cervello che discutono costantemente fra loro, ogni tanto scivolo e mi acchiappo a una sigaretta o a una vodka. Ma sono momenti fugaci. Tanto per non essere troppo buddista. Ho imparato invece che quando tutto sta crollando devi lasciarlo crollare anche se tutte quelle macerie non lasciano respirare il cuore. Perche lo sai, lo hai imparato che quando tutto e caduto, cio che resta e' indistruttibile e ti fa sentire una forza. Sei ancora roccia. Meno imponente forse. Ma roccia.

Quando si perde una parte di se', come una madre, non c'e' modo per affrontare tanto dolore con grazia ed eleganza come si vorrebbe. Per quanti sforzi si facciano si annaspa goffamente in quella mareggiata sperando di restare a galla. A volte sperando di affogare del tutto. Niente grazia, ne' eleganza. Non e' un bello spettacolo. Persone che ti vedevano da una sola angolazione, restano allibite. Stranite. E si voltano di spalle e si allontanano. E tu stai li e continui ad annaspare ed annaspando ti sforzi anche di richiamare questi nomi, riportare a te quelle persone perche non pensi che potresti sopportare un altro minimo cambiamento nella tua vita, un'altra perdita, un'altra solitudine.

Gli americani hanno espressioni che amo come "shit happens" e "suck it up". Tradotte - le cose accadono e ingoia e zitto - non hanno lo stesso potere onomatopeico. Shit happens. Suck it up. E me lo ripeto ossessivamente mentre sono ancora nella mareggiata, un po' piu sola, un po' piu stanca, un po' piu severa con quella mia assenza di grazia. Shit happens. Suck it up.

Torneranno le onde basse. E io roccia. E organizzero ancora delle feste memorabili. E chi mi ha lasciato o voltato le spalle mentre annaspavo continuerà a mancarmi in eterno. Perche' io odio il tempo ma credo nell'eternita'. La felicita' e' eterna. Anche quando finisce. Non e' mai finita davvero perche' si e' impossessata di te. Ecco perche ti mancano le persone. Perché sono in quelle foto che scorrono nella tua testa e sai che non ne potrai scattare piu insieme. Ma quelle, quelle meravigliose immagini di risate profumate di rose e sale marino, non te le toglie nemmeno il maledetto tempo.

Friday, September 2, 2016

Cadute





Quando ero piccola, mio padre, mentre giocavamo a farmi girare veloce veloce, e io ridevo felice,
mi fece cadere e mi feci male.

Non volle mai più rifare quel gioco con me

Il dolore non lo ricordo. Ricordo la felicita dei miei sorrisi e di quel mondo che girava intorno con me e sembrava ridere con me.

Il dolore della caduta non lo ricordo. Ricordo il dolore di non aver mai rifatto quel gioco. Di non essermi mai piu potuta affidare alle sue mani.


Quando ero piccola, mio padre mi insegno a nuotare. Un giorno un'onda mi strappo' dalle sue mani e io andai sotto, un attimo, forse due. Abbastanza da aver paura. Abbastanza da ricordare la sua mano che mi affero' e mi tiro' su. Nell'aria.

Ci furono altre onde. Andai sotto spesso. Mio padre continuo' ad afferrarmi, con la sua mano forte.

Si cade. Ci si fa male. Si sbatte la faccia sull'asfalto. Si beve acqua salata. Ma ci si rialza.

Passato il dolore, o persino con il dolore ancora addosso, bisogna giocare ancora per non convincersi che quello non sia un gioco.

Avere una mano che ti afferra, a volte e' salvezza.

A volte bisogna accettare di cadere. Da soli. E da soli rialzarsi.

Ma cadere e rialzarsi. Sempre.

Wednesday, June 1, 2016

Quel che resta del giorno






Quel che resta del giorno
di una giornata di lavoro
di ore di attivita
di lunghi momenti a fare progetti
di minuti di sorrisi
di attimi di malinconia
di lacrime sulle gote arrossate

Quel che resta di un amore
di un' amicizia
di una passione
di un'intesa
di una stretta di mani
di una spalla su cui appoggiarsi
di un abbraccio stretto

Quel che resta di me e di te
e mattine che avevano il vento fresco di New York
e la tua presenza sul cuscino
mentre eri via
e mentre ti aspettavo

Quel che resta del giorno
quasi sempre
lo comprendiamo di notte
al buio
quando gli occhi provano a capire dove guardare
quando anche una lacrima silenziosa sembra dover svegliare l'universo
quando il giorno nuovo sembra non dover tornare mai

Quel che resta del giorno
lo comprendi di notte
nella paura
nella solitudine
nella stretta al cuore

Quel che resta del nostro giorno
ora che la notte e' passata
e' questo azzurro senza umido
un orizzonte aperto
il sole carezzevole
la serenita

Quel che resta a me
oggi
sono un "io dopo di te"
e sono migliore di "prima di te"
e per questo
in tutti i miei giorni
mai smettero' di amarti

Friday, March 25, 2016

Dovevo iniziare a vivere e non avevo nulla da mettermi



Di tutto, piu' forte di tutto, piu' doloroso di tutto, ricordo quella valigia blu, nella stanza da letto dei mie genitori, che impediva a mio padre di addormentarsi sereno. Perche' quando il dolore e' troppo forte rischi di soccombere, allora ti fermi su un particolare piccolo, minuto, superfluo, come una valigia. Che tante volte era stata gioia, nei miei viaggi, e in quei giorni era simbolo di una fine.

Finiva la mia vita. Quella che non mi dava piu' gioia. Quella che mi umiliava quotidianamente. Quella che mi vedeva fallita. E non solo per colpa mia. La mia "colpa" era stata essere persona perbene e credere nel valore umano, come chiave per aprire porte sul futuro. Ero stata colpevole a non vedere. A ripetermi che non possiamo "fuggire tutti". A convincermi che l'Italia e' il posto piu' bello del mondo e a tormentarmi con il senso di colpa di voler costruire una lontananza fra me e gli affetti piu' cari: le radici.

Finiva la mia vita e non ne avevo un'altra davanti. Non avevo nulla se non quello a cui stavo rinunciando. Non avevo volti, ne' voci, ne luoghi dietro i quali nascondermi per non farmi vedere piangere. Per non svelare, in tutta la sua terrificante enormita', la mia paura.

Finiva l'illusione. Iniziava l'incognito. Ancora oggi pochi credono che qui non avessi nulla. E lo ripeto: nulla. Nessuno. Niente. Il vuoto. Ma, speravo, che almeno ad ingoiarmi per sempre fosse New York, una citta' straniera e non casa mia, non la terra mia che mi stava ricoprendo il capo a poco a poco seppellendomi viva.

Ricordo la sera prima della partenza: zia Elena che mi diede il suo regalo con un biglietto che ho sempre sulla scrivania incorniciato: "buon viaggio piccola grande donna. E quando non sei serena, pensa a me e lo sarai". Quante volte ti ho pensata in questi nove anni, cara zia Elena! C'erano le mie amiche di sempre: Antonella, Rosanna, Lina, Paola e quel ciondolo portafortuna che conservo preziosamente. C'era allegria come se in fondo stessi andando a fare un viaggio. E c'ero io che tacevo la mia paura. La mia voglia di dire "vi prego, fermatemi". E gli occhi di mio padre: senza luce. Lui solo, l'unico che avrebbe voluto credere diversamente, aveva capito tutto. Sapeva che quello non era un viaggio breve.

Quanto ho odiato New York in quel mio arrivare. Quel suo avermi attirata a lei, con la lusinga, e il suo aspettarmi al buio senza nemmeno un abbraccio. Quante lacrime ho pianto in quella notte? E nelle notti a seguire, con la sola voglia di avere la forza di tornare indietro. Per smettere di sentire tanta paura.

Quanto odiavo New York: con i suoi supermercati immensi dove non riuscivo a trovare nulla. Con quel caldo che mi sfiniva. Con quella metropolitana piena di treni che non volevo prendere. Me ne sono stata chiusa in casa per giorni. Ad aiutarmi ancora una volta, la valigia blu che si era persa: cosi non avevo niente con cui cambiarmi.

Dovevo iniziare a vivere e non avevo nulla da mettermi. E non avevo neppure uno straccio di coraggio per farlo.

Dopodomani saranno nove anni. Ho smesso di odiare New York e me stessa. Ho smesso di odiare l'Italia. Ho iniziato a vivere e mi e' piaciuto sempre di piu'. Mi sono ricordata chi sono e mi sono ricostruita: pezzo dopo pezzo, passo dopo passo, con una fatica feroce, lacerante e che mi ha fatto e mi fa sanguinare. Ho smesso di lottare contro. Ho iniziato a lottare per. Per me prima di tutto. Per le malinconie che mi vivo come segno di una vita piena e fortunata. Per l'amore. Per le soddisfazioni. Per la serenita'. Per le pazzie. Per le nostalgie. Per i diritti. Per la politica. Per la speranza. Per la felicita'. Lottare per. Per resistere quando voglio mollare tutto. Per capire che e' solo momento per riposarsi un attimo e prendere fiato. Per accettarmi. Per volermi bene. Per sopravvivere perche la sopravvivenza e' vita. Per imparare a piangere. Per metabolizzare la morte. Per convivere con le mancanze. Per far muovere le dita su una tastiera. Per sapere che Natale e Pasqua passeranno e questo coltello di solitudine smettera' di girarmi dentro. Per sognare. Per rimboccarmi le maniche. Ho smesso di lottare contro. E ho imparato a lottare per. E ho smesso di dire "se" e ho imparato a dire "quando".

Dopodomani saranno nove anni. Mi alzo in piedi e mi applaudo. Lo merito. Perche' nulla mi e' stato regalato, ma cioe' che ho meritato mi e' stato dato.

Non e' mai troppo tardi per imparare ad essere felici. Se si comprende e si accetta che la felicita', molto spesso, passa attraverso il piu' grande dei dolori, quello della fine. La felicita' e' passaggio. Come la Pasqua, come Passover.  La felicita' e' passaggio: dalla morte alla vita. Ed io sono felice.