Thursday, March 27, 2014

Sette anni.


Sette anni fa arrivavo a casa. Ma non sapevo ancora che fosse casa mia. Ero a pezzi e ancora vedo i segni di tutti i cocci rimessi insieme. Alcuni sono ancora fragili. Eppure sono di nuovo intera. In piedi. Schiena dritta. E di fronte a me c'e' il New Jersey, perché sono a casa. Perché i sogni non hanno di fronte l'infinito, ma qualcosa che somiglia al New Jersey, qualcosa che sa di realtà. E tu ci sei di fronte.


“Ore 23.30. Il rullo dei bagagli gira a vuoto. Il mio bagaglio non c’e’. Benvenuta in America, Angela. “Tanto domani torno a casa”, mi dico mentre un nodo mi stringe la gola e lo stomaco. Voglio vomitare ma non posso, devo parlare con la tizia dell’ufficio “persi e ritrovati” per il mio bagaglio. Intanto, io mi sento solo persa e non so se li’, oltre al mio bagaglio, potranno ritrovare anche me. Non credo, la tizia e’ annoiata e detesta ripetere le cose, ma a quest’ora il mio inglese e’ rimasto indietro, insieme a tutta una vita vissuta e improvvisamente abbandonata. Il tassista mi chiede l’indirizzo, glielo dico e mi chiede che strada fare. Gli rispondo che scelga lui, tanto e’ tardi e non c’e’ traffico. Il fatto e’ che non ho assolutamente idea di dove sia Jackson Heights, ne’ il Queens. Fosse per me, potrebbe portarmi anche all’inferno e non me ne accorgerei. Anzi, penso di esserci gia’ all’inferno e la cosa pazzesca e’ che mi ci sono cacciata con le mie mani. La casa e’ bella e grande. Troppo grande, per consolare la mia paura. Quella paura che sarebbe diventata la mia migliore amica: paura di non farcela, paura di non avere i soldi per sopravvivere, paura della legge che non conosco, paura delle cose che non capisco, paura di morire di notte per strada e nessuno se ne accorgerebbe, paura di aver scelto disperatamente di vivere e di poter morire per questo. Sul tavolino, nel soggiorno c’e’ un libro: “My father’s dream”, di Barack Obama. Ho sentito parlare di questo senatore che vuole candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti e di quanto tutto cio’ sia considerato folle. Prendo il libro per sfogliarlo e intanto penso a mio padre e al suo sogno giusto di vecchio comunista: di un mondo giusto, di persone giuste e di figli che se fanno la cosa giusta saranno felici. Penso a mio padre e mia madre, li ho appena chiamati al telefono per dirgli che sono arrivata e che sto bene. Odio mentire ai miei genitori ma non posso dirgli che mi sento morire e che ho paura e voglio tornare a casa. Non posso. Allora ingoio le lacrime che, pero’, maledettamente continuano a scendere e mi sforzo di leggere qualche pagina… stavo facendo la conoscenza di Barack Obama, il futuro presidente degli Stati Uniti e l’uomo che in qualche modo mi avrebbe salvato la vita”. 

Sunday, March 23, 2014

Casa mia


Gli idiomi si accavallano
La geografia si confonde
"Di dove sei?" "Di un posto lontano che ti voglio raccontare"
Ti raccontiamo il mondo, qui, stando seduti sul tuo divano
Facce miste
Suoni misti
Vite miste
Un intreccio che ti fa sentire centro e periferia dell'universo
dell'esistere
intorno al filo rosso intessuto da piatti che vanno e vengono
cibo fumante
Vesuvio di odori e sapori a molti sconosciuti
e non piu ora sconosciuti.

La mia casa.
Casa mia, crocevia di storie e occhi e scelte e non scelte
Divani un po' stinti che abbracciano,
che addolciscono quelle pronunce
quelle inflessioni da film hollywoodiani:
l'italiano, il cinese, il messicano, il turco, l'indiano, l'australiano
intorno a questo tavolo,
con Napoli che si rivela in bocconi gustosi,
diventano lingua comune di viventi.

La mia casa
Il senso di una vita piena di vite.