E poi il silenzio svanisce e la parola torna a materializzarsi come respiro.
Scrivere per me e' testimonianza di vita, la mia, in quanto "essere viva". Solo il senso di disperazione assoluta mi toglie le parole, come il respiro. In quei momenti sopravvivo stancamente, trasportata dalla stanchezza e persa nel buio delle mie paure che conosco bene ma, a volte, senza apparente ragione, mi appaiono troppo estranee.
Da sempre amo guardare le finestre dei palazzi, le loro luci, le ombre, un profilo di mobili che ti racconta una casa, una famiglia, una cena o un prepararsi veloce per il lavoro.
A New York, le finestre di fronte, sono la mia ancora quando la solitudine sembra grattare anche l'ultimo pezzo di carne attaccato alle ossa per lasciarmi completamete incapace di stare in piedi.
Cammino con il viso verso l'alto, a guardare il cielo e le stelle, alla ricerca di chi mi sta guidando e al quale chiedo di tenermi li', salda su quel marciapiedi, perche' sto ancora provando strenuamente a cercare la mia felicita' e che la merito e che, a parte quella stanchezza che rende pesanti anche le lacrime che raschiano la pelle del viso come lamette, non voglio arrendermi. No e poi no.
Guardo in quelle finestre. E vorrei, lieve come il sogno di un bambino in una piccola culla di legno, entrare fra quelle mura e sedermi su quei divani e a quelle tavole per sentirmi parte di quella famiglia che spesso mi manca e che e' tremendamente lontana.
Ma mi piace anche guardare per immaginare altre vite e tristezze e felicita' e sapere che anche se non sono davvero seduta li', non sono sola. Perche' finche' riusciro' a trovare in me la voglia di guardare a quella finestra di fronte come segno del mio amore infinito per la vita, fosse anche quella degli altri, non mi perdero', travolta dall'inutilita' di uno sguardo perpetuamente rivolto a se' stessi, alle proprie miserie o alle proprie felicita'.
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