Ascoltando "Fratelli d'Italia" non si puo' non ripensare a Massimo Troisi e alla sua "versione" di uno degli inni piu' brutti fra tutti quelli esistenti al mondo. Nel film "Non ci resta che piangere", lo canticchia a una "giuliva" Amanda Sandrelli, sottolineandone l'orrenda caratteristica di marcetta militare, impunturata di parole incomprensibili. Niente a che vedere con il pathos della Marsigliese o di altri inni le cui parole sono conosciute anche da persone di diversa nazionalita'. Il cuore di Massimo smise di battere il 4 giugno del 1994, durante il sonno, il sonno di tutti gli italiani che furono risvegliati brutalmente dall'annuncio pomeridiano del telegiornale. Massimo Troisi se n'era andato senza nemmeno dire che forse non si sentiva bene, se non a coloro che gli erano piu' vicini. Tipico del suo stile. Lo stile di uno di quei napoletani che ti fanno ricordare perche' si puo' chiudere gli occhi, rivedere la strada che da Posilipo ti conduce, curva dopo curva, verso quel mare che dall'alto ti ipnotizza lo sguardo, ed essere fieri di essere napoletani. Essere napoletani senza parlare ad alta voce, senza ascoltare musica neomelodica, senza buttare carte per strada, senza ignorare le regole, senza essere in ritardo, senza andare in autobus senza biglietto, senza girare in Vespa senza casco, senza fumare sui treni. Essere napoletani ed essere civili, di quella civilta' che respira all'unisono con la cultura, con il genio che non e' strafottente e con la bravura che non e' furbizia. Si puo' essere napoletani senza doversene vergognare. Con una fierezza che ti permette il lusso di commuoverti ascoltando "Era di maggio" e di rifiutare Gigi D'Alessio anche ora che e' sdoganato da chi decide chi e' santo e chi e' eroe. Massimo Troisi e' la mia Napoli. Quella che io con orgoglio amo e che mi ha tolto il cellophane dal cuore permettendogli di respirare la vita e la sua bellezza. La mia Napoli molti non la conoscono perche' non la vogliono vedere. E molti ne occupano le strade e le case, assestando colpi alla magnificenza di una bellezza sempre piu' celata. Come quel cristo velato che amavo andae a guardare. Napoli. Alla merce' dei lazzari che si credono invincibili.
Massimo canticchiava quell'inno facendoci sorridere. Perche' il nostro inno e' davero brutto. Eppure e' il nostro inno e dovremmo amarlo come quella bandiera a tre colori che oggi ha sventolato piu' in alto di tutte per Francesca Schiavone, una donna il cui grido mi ha dato l'energia che solo le grandi imprese ti sanno dare. Francesca che oggi chiamiamo per nome come se fosse nostra sorella ma che fino a ieri era una sconosciuta e che un po' tornera' ad esserlo perche' in Italia conta solo il calcio. E anche li', gli eroi durano poco. Il mio amico Fabio e' stato l'eroe degli ultimi mondiali ma oggi, prima ancora del primo fischio della prima partita, e' gia' il responsabile della debacle dell'Italia.
Siamo un paese cosi', dai facili amori e dalle altrettanto facili disillusioni. Per questo bisogna dare atto a Berlusconi di avere un potere quasi magico a restare al suo posto da tanto tempo, ancora considerato, nonostante l'evidenza, un eroe.
Francesca ha messo il cuore in una mano e ha ribattuto ogni palla con la forza di chi ha mangiato terra amara e oggi vuole rimangiarla ma solo per capire che il sapore puo' essere dolce. Francesca ha accarezzato e baciato la coppa come si fa con un bambino, perche' qulla coppa era la sua bambina, frutto del suo amore incondizionato per quello sport che oggi l'ha resa famosa: la prima donna in Italia a salire cosi' in alto.
E guardando la premiazione e ascoltando il nostro inno ho pensato al signor Renzo Bossi e al suo non commuoversi per il tricolore. Ci fa storcere il naso il signor Bossi, che pure da quel tricolore e da una costituzione, frutto del sangue dei partigiani, deriva il suo cospicuo obolo mensile, per quel suo "ignorare' il tricolore. Eppure, non e' solo. E questo la dice lunga sul nostro disinteresse per il paese stampato sulla nostra carta d'identita'. Sono stata alle celebrazioni del 2 giugno organizzate dal Consolato italiano di New York. Come si usa qui, la serata si e' aperta con l'esecuzione degli inni, peraltro cantati da un coro di bambini. Inno americano: un insopportabile vociare che sovrastava le voci del coro; rumori di piatti, bicchieri, un fracasso di gente che sembrava non aver visto cibo dall'istaurazione della repubblica, appunto. La cosa mi ha gia' infastidito. Sia chiaro, non per spirito nazionalista ma perche' credo che ci siano dei momenti in cui il silenzio esprime un rispetto necessario. Se io vado in chiesa, resto in silenzio e spengo il telefono non perche' sono cattolica ma perche' "rispetto" chi rispetta quella liturgia. Ho pensato che il silenzio sarebbe calato all'esecuzione dell'inno di Mameli, ma mi sbagliavo. Nessuno ha alzato gli occhi a guardare il tricolore, ne' smesso per un secondo di riempire i piatti come se stesse per scoppiare un'atomica e dovessimo correre nei bunker.
Vorrei portarvi con me in uno stadio, uno di quelli giganti, diciamo il Madison Square Garden qui a New York. Ventimila persone che mangiano, bevono, fanno un gran casino in attesa della partita... poi l'inno.... il silenzio che cala nello stadio in una frazione di secondo e' incredibile... puoi essere un extra terrestre ma se hai sangue che circola nelle vene, senti un brivido. Se non lo senti allora sei sordo all'emozione. Perche' l'emozione non e' una condivisione di un'opinione. L'emozione e' un momento in cui ti sposti dalla tua dimensione e la guardi dall'alto e la vedi magnifica, qualsiasi cosa essa sia.
Sento dire spesso che noi "fuggitivi", che abbiamo lasciato il nostro paese perche' ci aveva spezzato il cuore e piu' del cuore le reni e le gambe e dato bacchettate sulle mani ogni volta che avevamo provato a tenderle per afferrare qualcosa che pure di diritto ci apparteneva, non amiamo l'Italia. Beh, io faccio il tifo per gli azzurri (e per il mio amico Cannavaro), mi sono commossa per Francesca e ascolto l'inno in silenzio. Ho insegnato alla mia amica rabbina "Era de maggio" (che canta perfettamete) e alla festa del 2 giugno ero vestita di bianco, rosso e verde.
Sono italiana e napoletana. Per dirla con dei nomi sono Francesca e Massimo. E come Francesca e Massimo, mangio spesso terra perche' inseguo un sogno. Ma, nonostante ami l'inno americano (che e' il mio secondo, ovviamente) sogno un giorno di salire finalmente sul podio della mia vita e di ascoltare, con le lacrime agli occhi, e la mano sul cuore, qulla stupida marcetta, maschilista (fratelli) e pomposa che e' l'inno del mio paese, il paese che amo e che non mi ha cacciato. A cacciarmi sono stati i lazzari che si riempiono i piatti mentre sventola il tricolore.
1 comment:
Cos'altro aggiungere?
Hai dipinto bene il contesto in cui viviamo l'Italia (non solo nel partenopeo). Siamo italiani e siamo un popolo che diventa patriottico ed espone la bandiera tricolore sui balconi solo quando gioca la "Nazionale". Siamo italiani. Ma non conosciamo la nostra Costituzione perchè diversamente non so spiegarmi come mai abbiamo (ancora) il Sire che continua a (s)governarci.Siamo italiani.
P.S. quanta emozione nell'osservare quella magnificienza nella cappella di San Severo....
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