Tuesday, June 15, 2010

Commander in chief

Alle 8 di sera, Barack Obama ha tenuto il suo primo discorso alla nazione dallo Studio Ovale. Una scelta che racconta, di per se' l'importanza del momento. Tanto per dire, Bush uso' l'ufficio Ovale, nel suo discorso alla nazione in occasione dell'11 settembre. L'immagine del presidente, seduto dietro la sua scrivania, li' dove l'immaginario collettivo e la realta', vogliono che vengano prese le decisioni piu' importanti per il paese, serve a dire, prima di tutto, agli americani, io ci sono e sono il vostro comandante in capo e per questo vi dico come stanno le cose. Non tutti i presidenti hanno avuto la necessita' di fare discorsi dallo Studio Ovale, per scelta o per "fortuna" perche' flagellati da eventi meno disastrosi dell'attentato alle torri gemelle e al Pentagono o dal disastro della marea nera. Suscitando le proteste dei familiari delle vittime dell'11 settembre, Obama ha detto che la tragedia del golfo ha una portata drammatica pari a quella che in quell'azzurro mattino cambio' per sempre la percezione degli americani circa la propria invulnerabilita'.
Barack Obama, che ha ereditato una delle situazioni piu' catastrofiche della storia di questo paese e una politica di relazioni internazionali completamente da ricostruire, si e' rivolto spesso alla nazione, sebbene da altri luoghi. Lui che ha costruito il suo consenso sul supporto popolare, sa che deve dire agli americani cosa succede e perche'. E sembra che nemmeno sia abbastanza. L'idea che Barack Obama stia in qualche modo disattendendo le attese e' spesso percepibile. Eppure se si guarda il sito PoliticFact, vincitore del premio Pulitzer (mica fuffa) si vede che fino ad ora il presidente ha mantenuto 114 promesse fatte in campagna elettorale, ha raggiunto 35 compromessi importanti e la sua amministrazione e' attivamente al lavoro su altre 251 leggi. Quelle disattese finora sono solo 19. Eppure sembrano tante. Dopo otto anni di George Bush il paese sembra affamato di "cose" che possano ridargli quella forza e quel potere al quale era abituato. Fra le promesse mantenute da Obama c'e', ovviamente, la riforma sanitaria, molti provvedimenti che regolano la tassazione e tengono a bada le follie di Wall street, provvedimenti per ampliare l'assistenza domiciliare per le famiglie povere, investimenti per le scuole che raggiungono livelli di eccellenza e molto ancora. A breve sara' approvata l'abolizione del "don't ask don't tell", legge approvata in epoca Clinton che consente ai gay di arruolarsi nell'esercito a patto di non fare outing sulla loro sessualita'. Un provvedimento che fu un enorme passo avanti durante la presidenza di Clinton ma che, con la svolta di Obama, consentira' ai gay e alle lesbiche di servire la patria conservando la dignita' del proprio essere.
E ppure la Fox (di destra) massacra Obama senza riserve e anche il resto della stampa non gliene fa passare una liscia. Anche stasera dopo il discorso, Keith Olbermann (che adoro), uno dei giornalisti piu' liberali e anti repubblicani del panorama televisivo, ha stroncato il discorso del presidente considerandolo "debole". Eppure Obama ha spiegato cosa succede e quanto tempo ci vorra' per venire a capo di tutto e, soprattutto, ha ribadito che la BP paghera' fino all'ultimo dollaro per il danno provocato (va sottolineato che la BP era stata messa in guardia sulla possibile esplosione per alcune basilari misure di sicurezza che non venivano rispettate per ridurre i costi). Domani mattina (mercoledi) il presidente incontrera' i vertici della BP per stabilire le modalita' del risarcimento e della spesa necessaria per riparare il danno. Per concludere il presidente ha detto che questo e' il momento per iniziare ad investire in fonti di energia alternative, pulite e sicure. E che sara' fatto, in qualsiasi modo e nonostante tutti gli scettici.
Mentre il mio adorato Olbermann massacrava il mio adorato presidente ho pensato a quando e' stata, nel mio paese, l'ultima volta che abbiamo sentito un discorso cosi' importante e fino a quando sara' possibile, a poche sparse voci, manifestare il proprio dissenso. Ci tengo a precisare che Santoro, confrontato ad Olbermann e' un moderato e che Floris e' di destra. Tanto per capirci sull'intensita' degli interventi. Eppure l'altezza del leader corrisponde esattamente all'altezza di un'informazione che sa cio' che dice e lo dice senza preamboli, ne servilismi ne' filtri.

E mi sono chiesta anche se in Italia potra' mai esserci un Obama e, purtroppo la risposta e' no. Barack Obama e' un "nero", figlio di madre single, non ricco, al quale il suo paese, l'America, ha dato, nonostante i suoi (della nazione) limiti e le sue imperfezioni, la possibilita' di studiare ad altissimi livelli, di lavorare e di diventare il 44mo presidente. Quando Michelle Obama era a Princeton, la mamma di una sua compagna di camera, chiese al consiglio di amministrazione dell'universita' di dare a sua figlia una nuova stanza perche' non voleva che la dividesse con una "nera". Michelle Robinson Obama oggi e' alla Casa Bianca ma prima ancora e' stata un avvocato di successo e una madre e una moglie. La First Lady arriva da South Chicago, non dall'Upper East Side. Nessuno dei due in Italia avrebbe fatto cio' che ha fatto. Un mio amico del Congo belga, laurato in Italia a pieni voti, e' fortunato ad aver trovato un lavoro di operaio e speesso subisce le "molestie" di chi a Verona, magari senza nemmeno aver letto mai un libro, in autobus non gli si siede di fianco.

E ppure in questi anni ha governato George Bush padre, Bill Clinton e George W. Bush figlio. Non si puo' dire che al governo ci sia stato Martin Luther King. Ma qui, in America, il virus della civilta' si espande piu' veloce di una febbre e se ne frega se alla Casa Bianca c'e' uno con gli speroni ai piedi che va in giro a dichiarare guerre preventive. Il virus non si ferma e questo popolo continua, fra uno scossone e l'altro, ad inseguire sempre la sua vera stella che e' quella della liberta' e della civilta'.

Barack Obama in Italia lavorerebbe in una cartiera di Verona (con tutto il rispetto per le cartiere) e Keith Olbermann avrebbe subito qualche editto che gli avrebbe tolto la parola. Eppure, quando qualcuno, in qualche intervista, lo ha definito "un liberale", lui ha candidamente risposto "Io non sono un liberale, io sono un americano". Con diritto di parola, aggiungo io, e con il sogno di un paese migliore. Sempre.

4 comments:

Anonymous said...

Angela, che bel post. Mi sono commossa.

jeneregretterien said...

si, davvero bello. Ma quanta tristezza a pensare che per noi tutto questo è fantascienza. Noi liberi non lo siamo mai stati e oggi con questi tempi tristi chissà se lo saremo mai.
Claudia

Anonymous said...

E' una questione fondamentalmente culturale. Dei cittadini innazitutto.
Io ho i miei dubbi che il popolo italiano sia migliore della sua classe dirigente perchè non riesco proprio a spiegarmi come possa essere possibile che un delinquente (tecnicamente chi commette delitti) come il premier sia ancora al suo posto. La vera rivoluzione da fare è prima di tutto quella culturale. Gli italiani sono stati lentamente ed inesorabilmente lobotomizzati attraverso l'uso criminoso (cit.) che è stato fatto dalla stampa e soprattutto dalla tv. Come ne usciamo? Saranno delle minoranze illuminate (come per la Costituzione, come per lo Statuto dei lavoratori, come per il concilio vaticano II) che riusciranno a risollevare le sorti di questo malandato Paese...
Leonardo

Alessandra Del Vecchio said...

certo che quella mamma che ha chiesto al consiglio di amministrazione di princeton di spostare sua figlia di camera...come si starà mordendo le mani adesso, pensando che la sua piccola poteva essere la migliore amica della first lady!!!! hai visto signora cosa succede a fare la razzistona ignorantona??? ben ti sta!!!