A New York il 90% dei palazzi (il 100% di quelli di vecchia costruzione) non hanno le lavatrici negli appartamenti. E non e' consentito averne. Di quel 90%, una parte hanno un "basement" dove ci sono lavatrici e asciugatrici a disposizione degli inquilini; altri non hanno nemmeno quello e l'alternativa e' caricarsi il sacco di biancheria in spalla e recarsi alla piu' vicina lavanderia a gettoni... si' proprio come si vede nei film. Ogni volta che penso di cambiare casa, sono fortemente attratta dai nuovi edifici con lavatrice e asciugatrice in ogni unita' abitativa. Potrei cambiare casa per quello... per una lavatrice....
La lavanderia comune ha i suoi vantaggi, pero'. Se sei fortunato puoi incontrare gente simpatica che vive nel tuo stesso palazzo e con la quale altrimenti non ti incroceresti mai (nel mio palazzo siamo circa 800 persone... difficile conoscerci tutti).
Ed, in effetti, ho incontrato persone carine con le quali ci vediamo per un caffe' o un bicchiere di vino, quando possibile.
Fra queste c'e' una giovane donna araba che, nel rispetto della sua cultura, va in giro completamente coperta tranne che per il viso.
A New York, anche una persona come me, convinta di essere assolutamente esente dal virus del razzismo, si rende conto che quella e' una patologa che si insinua molto piu' facilmente di quanto vorremmo pensare. Soprattutto se la maggior parte della vita e' trascorsa in un paese dove una serata fra amici era "internazionale" se c'era un milanese o un palermitano. Oggi le cose sono un po' diverse ma resta difficile trovare quel melting pot di culture, razze e colori che, invece, qui e' la norma.
Mi era gia' capitato una volta di pensare "accidenti che razzista che sono" quando l'agente di polizia con il quale stavo compilando una denuncia per molestie a carico della mia vicina pazza, mi aveva chiesto della sua etnicita' dicendo una cosa tipo "colore"... La mia risposta era stata "castana" non considerando proprio che la domanda potesse essere riferita alla "razza" del soggetto... cosi' ho scoperto di essere di avere ua etnicita' che non e' l'unica al mondo.
In effetti ero stata decisamente razzista un'altra volta quando, all'invito di un mio amico per un drink in un posto che non conoscevo, avevo risposto "e' un gay bar?" e lui, senza mezze misure, aveva puntualizzato "io non ti chiedo, quando mi inviti, se andiamo in un posto etero o gay".
Bene. Nonostante tutto il razzismo e' li' sempre in agguato sebbene in forme piu' lievi o che potrebbero sembrare, apparentemente, innocue.
A New York impari molto, dicevo perche', a meno che non sei uno di quegli immigrati (italiani, greci o cinesi... o altro) che vivono ogni minuto solo con persone della loro etnicita', a volte senza nemmeno parlare l'inglese, non puoi non "mescolarti" a tutti gli altri e scordarti che ci sono colori e tratti fisici diversi. Ho conosciuto una ragazza italiana che faceva uno stage presso la tv italiana qui. Mi ha detto "il mio inglese e' pessimo perche' parlo sempre italiano, perche' sono sempre con italiani". Sinceramente mi sono chiesta perche', dato l'attaccamento, non tornasse in italia. Se anche lavori con italiani, in un posto italiano, fuori c'e' tutto un mondo che ti aspetta.
L'altra sera al mio compleanno, come sempre, la mia tavola, a parte Francesco, era assolutamente priva di Italiani: ebrei, cristiani, coreani, europei, latini, australiani.... tutto il mondo, in pace, intorno ad un tavolo a dividere sorrisi. E fanculo le guerre.
Tornando alla mia vicina egiziana, pero', devo ammettere che anche in quel primo incontro ho sentito riaffiorare un pizzico di razzismo quando mi sono accorta che la stavo fissando per il fatto che era coperta da capo a piedi. Poi abbiamo iniziato a a parlare e mi sono concentrata sui suoi bellissimi occhi e su quel sorriso che irradiava di luce tutto intorno e ho dimenticato i suoi abiti e cio' che rappresentavano. Ho visto al sua bellezza, la sua intelligenza e la sua vitalita' anche attraverso quei veli e da allora, ogni volta, quando la incontro, mi sento contagiata da quel suo sorriso e quella sua gentilezza.
E ho pensato, allora se sia davvero il caso di "proibire" alle donne di indossare il burqa. Innanzitutto, il fatto che la Santanche' sostenga questa ipotesi, mi fa essere istintivamente contraria. Ci sono poche femmine urlanti e sgraziate che mi fanno venire voglia di imbalsamarle e riportarle al tempo in cui, al massimo potevano parlare con le pentole dentro casa, come la signora Santanche'. Ogni sua apertura di bocca corrisponde ad un getto di odio gratuito e irriverente. Onestamente, la trovo fastidiosa come la Palin ed essendo una femmina, anche piu' fastidiosa di Bush o di Calderoli.
Ovviamente con questo non dico che il burqa sia giusto o che lo siano tanti "precetti" musulmani. Penso solo che sarebbe meglio che le donne fossero rese prima di tutto libere di studiare, conoscere e capire e poi decidere liberamente cosa fare e come vestire. Sono certa che molte di loro non indosserebbero piu' il velo ma lo farebbero senza sentirlo come un (altro) obbligo imposto per legge. Una legge poi, quasi sempre, scritta dai maschi.
Parlando di questo, ieri ho fatto un esempio alle mie amiche dicendo che se vediamo una suora, non lo troviamo fastidioso o andiamo in giro dicendo che ci spaventano i bambini. Eppure anche le suore vanno in giro coperte tranne che per il velo al viso (come molte arabe comprese la mia vicina). La verita' e' che per me una suora potrebbe essere una bravissima servitrice di Dio anche con i jeans MA so che quel vestirsi e coprirsi e' parte di una regola che loro sentono di rispettare. E io rispetto questa loro scelta se e' cio' che desiderano.
Quando lavoravo in Italia, uno dei miei tanti lavori, avevo come capo una femmina che comincio' a mettermi in disparte perche' non amava il mio modo di vestire. Eppure io pensavo di portare una specie di divisa, con i miei abiti blu o neri o marroni... ma lo stile e' stile e quindi diciamo che il mio stile non le piaceva. Non ero una bamboletta tutta perfettina e tirata a lucido, con i bigodini sempre pronti in borsa.
E mi chiedo ancora oggi: cosa c'e' di diverso dall'essere messi in disparte per un vestito che non e' considerato "appropriato" (da qualcuno poi il cui gusto io trovavo orrido) rispetto all'obbligo di donne che devono coprirsi per poter essere "accettate" in societa'???
La diversita' sta nel fatto che per le donne arabe le leggi (assolutamente contestabili) sono scritte da uomini. In Italia, spesso le discriminazioni verso le donne sono messe in atto proprio da donne che sicuramente non rivolgerebbero la parola alla mia vicina ma che sono assolutamente a immagine e somiglianza del modello per loro creato da uomini uguali a quelli arabi, spesso persino piu' bassi e piu' ridicoli.
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