Thursday, June 17, 2010

e dimmi che non vuoi morire....


Me lo diceva spesso. Ce lo diceva spesso che lei non voleva morire. Aveva una tale fame del mondo che nemmeno la Fao avrebbe potuto soddisfarla. Perche' le piaceva tutto, persino cio' che non le piaceva. Persino cio' di cui aveva paura. Perche', come me aveva paura di un sacco di cose. Dei topi, per esempio. Del buio.
Cosi' quando in questa stessa notte di tre anni fa, il buio e' sceso dietro i suoi occhi a spegnerne memorie, immagini, parole, emozioni e sorrisi, la prima reazione di ciascuno di noi e' stato il disappunto. Lei non voleva morire. Non lo aveva mai pensato nemmeno in silenzio per non farsi sentire; nemmeno in quei momenti cosi difficili come quando hai i vestiti bagnati addosso e fa freddo e i piedi ti fanno male e non sai dove ripararti. Nemmeno allora. Nemmeno sottovoce. Nemmeno in quella lingua strana, quelle con le "F" che usava quando non voleva che noi (piccoli) capissimo e che ci faceva piangere lacrime di puro divertimento.
L'abbiamo amata di un amore che spiegare non e' possibile perche' le nostre parole oggi, inevitabilmente, si interromperebbero, per quel maledetto nodo alla gola che ti ferma il respiro e ti costringe a fermarti. L'abbiamo amata perche' era bello vederla felice del nostro amore e perche' noi da lei abbiamo preso tutto cio' che era possibile prendere. L'abbiamo costantemente "saccheggiata" senza nemmeno chiedere il permesso: i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue foto che costantemente rimetteva in ordine, i suoi "che bello', le sue carezze, i suoi abbracci, il suo guradarci come fossimo perfette opere d'arte di fronte a cui rimanere incantati. L'abbiamo "saccheggiata" prendendoci tutto quell'amore per la vita che, pero', magicamente in lei ricresceva sempre. Come la coda delle lucertole.
L'abbiamo amata tanto che non ne possiamo parlare mai fra di noi. Perche' cadremmo in mille pezzi e ci verrebbe voglia di lasciarci andare e e faremmo male. Il suo nome e' poco pronunciato, quasi mai in maniera "incisiva", quasi di passaggio... perche' un suono troppo forte ne rivelerebbe in maniera insopportabile l'assenza.
Quando e' stata portata in ospedale, un giorno prima, sapevo che non l'avrei mai piu' rivista. Ero lontana. All'altro capo del mondo da soli tre mesi e lei mi stava abbandonando. Sono rimasta tutta la notte sul divano, con il cellulare in mano ad aspettare quel messaggio che arrivo' intorno alle due del mattino. Vincenzo. Chi se non lui. Quello che butta tutto in scherzo. Solo lui poteva trovare la forza di digitare quelle parole. Io non so come ho avuto la forza di leggerle. Ho odiato me stessa per essermene andata cosi' lontano. Ho odiato chi mi aveva spinto a stare li', nel Queens, senza un fottuto dollaro per salire su un aereo e tornare ad abbracciarla. Dio, quanto avrei voluto farlo. Ho odiato tutto cio' che mi circondava e me stessa. E me stessa ancora per non essere stata capace di accettare le umiliazioni e lo schifo del mio paese ed essermene andata. Lontano, senza un fottuto dollaro per salire su un fottuto aereo e dirle addio. Quando state per dirmi "beata te", soprattutto se siete parte di coloro che anche solo "per vie traverse" mi hanno buttata nel cesso per favorire qualcuno piu' stupido, meno bravo ma piu' accondiscendente, mordetevi la lingua. Perche' io quel giorno non lo dimentico per tutta la vita. Perche' ho smesso di odiare me e New York e la casa del Queens e il non avere un fottuto dollaro. Ma non ho perdonato voi. E non lo voglio fare per conservare ben impresso nella mia mente il perche' io non torno.
Dorothy mi salto' in braccio e mi lecco' la faccia. Non lo fa quasi mai. Ma lei sa. Lei sapeva che io stavo per crollare. Quando venne Dena mi abbraccio' forte e io presi la metro e andai a Central Park, mi tolsi le scarpe e mi sdraiai a guardare il cielo e le chiesi scusa per non esserle vicino.
Con lei mori' per sempre una parte di me. Una parte di noi, i suoi amati "piccoli". Diedi la notizia via mail ad "amici" americani e italiani tramite uno scritto di Michael che in quel biglietto, unito ai fiori che da New York le fece arrivare si firmo' "tuo figlio". Quanti figli aveva. Capisco quanto sia stato difficile per le sue vere figlie doverla "condividere" sempre con tutti gli altri. Con noi che non potevamo starle lontano e ci moltiplicavamo, con figli, fidanzati, mariti, mogli, amici. Michael la saluto' dicendo "tuo figlio Michael" e in ufficio ha sempre la sua foto sulla scrivania. Loro due si incontrarono tramite me. Lei, 79 anni e nemmeno una parola di inglese; lui, afro americano, capelli lunghi rasta e nemmeno una parola di Italiano. Lei si offri' di ospitarlo, ovviamente. La prima mattina mi chiamo' e mi chiese "a che ora devo chiamare i ragazzi?" (erano in due). Io risposi "non abbiamo progetti" e lei disse, con quella voce birichina come quella di bambini che hanno fatto una monelleria "sai sono andati a letto tardi perche' abbiamo parlato fino alle 3 del mattino". "Parlato???" chiesi io sapendo che non avevano una lingua in comune. "Parlato" disse lei stupita della mia obiezione. Parlarono tutte le notti per una settimana. D'amore soprattutto e si capirono. Quando Michael parti', lei pianse come una bambina rimasta sola in un orfanatrofio, eppure eravamo tutti con lei. Quando l'anno dopo, per i suoi 80 anni, le organizzarono una festa a sorpresa, Michael volo' per prenderla in braccio e lei lo baciava e rideva come faceva sempre davanti ai regali di Natale.
Per settimane ho sentito la sua voce che mi parlava. Ogni volta che le lacrime, ovunque mi trovassi, cominciavano a solcarmi il viso, le mi diceva "Piccola... mannaggia al demonio". Lo diceva sempre... era la piu' grande "bestemmia" "mannaggia al demonio". Quando era proprio furiosa, aggiungeva "porco" - mannaggia a quel porco demonio!!!
Se non avesse continuato a parlarmi non sarei qui. Non scriverei per lei.
Spesso mi dicono che le somiglio. Lo spero molto. Soprattutto lo spero perche', se mai dovessi dimenticarlo, voglio che lei mi ricordi sempre la meraviglia del vivere. La pienezza di un percorso attraversato con quella dolcezza incantata e leggera che lei aveva.
Sono tre anni e non fa meno male. Nemmeno un po'. Tutto cio' che siamo riusciti a fare e' trovare un posto dentro di noi dove lei, con la sua sediolina, puo' starsene seduta a lavorare all'uncinetto e a raccontare storie.
Per quanto mi riguarda lei e' nel mio cantare mentre sono spaventata, nel mio intenerirmi a guardare Dorothy, nel mio adorare i miei nipoti, nel mio scrivere, nelle mie lacrime per cio' che mi spezza il cuore. La sua assenza e' spettrale come le stanze di un castello abbandonato ma la luce che ci ha dato ci illumina senza che ce ne rendiamo nemmeno conto.
Elena Vitaliano (in Vitale) era mia zia. E io la amo e mi manca. E non c'e' eta' ne' giudizio ne' lontananza per questo.

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