Friday, July 2, 2010

i miei ragazzi

Quando li vidi la prima volta, ero terrorizzata. Oggi, ogni volta che nella mia mente ripassano i loro volti e i loro sorrisi, un pezzo di cuore si intenerisce tanto che ho paura si sciolga e che lo perda per sempre... Ma cio' che conta nella vita non si perde mai. E il cuore, l'anima o semplicemnete quell'angolo di memoria con su l'etichetta "sentimenti", riesce ad accogliere tanto di cio' che, per dirla con Ligabue, non riusciamo, fortunatamente, a mettere via
In una delle mie tante vite, vissute sempre in bilico fra il senso del dovere e l'obbligo della felicita', sono stata anche un' insegnate di scuola superiore. Insegnavo Francese o Tedesco. E' successo tutto in una stagione, anzi due. Poi i meccanismi della scuola, troppo complicati per una mente disordinata come la mia, mi hanno spinto ad autoescludermi. Non ho recriminazioni questa volta. Forse ne ho ;) ma non e' per questo che scrivo. La prima supplenza e' stata all'Istituto Alberghiero di Anacapri. Non sapevo nemmeno come si tenesse un registro. A me sembrava che solo il giorno prima, io fossi un nome in quel registro ed ora ero dall'altro lato. E non credo nemmeno mi piacesse. Ma come sempre, "rifiutare un lavoro" mi sembrava un peccato mortale. E quindi, aliscafo ogni mattina alle 7 e poi fin lassu', ad Anacapri, in un'aula da dove vedevo il mare e mi veniva da pensare che fosse uno scempio starsene seduti li' a studiare. Sotto i vestiti indossavo quasi sempre il costume, per un bagno prima di andar via. I miei ragazzi mi guardarono come una strana, avevo una testa di treccine e corallini, frutto del mio viaggio in Messico, ero piu' bassa anche del piu' piccolo fra loro e soprattutto si capiva che non ne sapevo granche'. Eppure diventai la loro "professoressa preferita". Ero severa e li facevo studiare e mettevo brutti voti ma parlavo con loro e credo sentissero che li adoravo. Adoravo le loro vite incerte e sorridenti, le loro baldanze impaurite, la loro unicita' camuffata nello stringersi a gruppo. Ogni giorno me ne andavo piu' ricca di qualcosa. Tranne che di soldi. Quando facevamo compito in classe gli mettevo la musica in sottofondo e loro andavano a mille. Quando arrivo' la notizia che non mi avrebbero riconfermato ci fu, fra noi, un saluto triste come l'ultimo giorno di vacanza al mare, quando d'improvviso viene a piovere e un ombrellone se ne vola via per il vento e la sabbia ti graffia gli occhi. Gli scrissi una lettera. La tennero in bacheca a lungo. Io li tenni nelle mie giornate a lungo.
Ma quella era Capri e fu come una vacanza, sebbene meravigliosa. Fu come quando andai in Spagna. In Andalusia, da sola.
Poi entrai in un'altra classe. Una quinta. Sempre Istituto Alberghiero ma ad Agnano. Arrivai con il mio motorino scassato e la mia noia per una vita che girava storta. La prima parte della giornata in effetti era stata in una prima. Mi avevano spossato. Era una classe numerosa e difficile. Che ho amato ma non come i miei ragazzi.
I miei ragazzi, quando entrai, continuarono a chiacchierare fra loro, nemmeno alzarono lo sguardo. Mi ci vollero un po' di manate sulla cattedra e di "silenzio" per far si che si accorgessero di me. Ci vollero diverse lezioni perche' diventassero i miei ragazzi. Arrivavano quasi tutti dai Quartieri Spagnoli o da Secondigliano/Scampia. Qualcuno da Forcella. Avevano occhi che ti raccontavano la bellezza guardata attraverso la morte, la desolazione e lo scempio. I loro occhi erano magici. E mi fissavano con attenzione. Non potevo barare con loro. Per non farli uscire in continuazione gli diedi il permesso di fumare in classe ma non di usare il cellulare. Un giorno arrivai in classe e un collega era ancora li', prima di andarsene mi disse "andiamo a prendere un caffe' insieme qualche volta". Appena lui usci, i miei ragazzi mi guardarono e poi uno di loro, che era uno dei piu' "sfrontati" mi disse "professore' voi non ci dovete andare a prendere il caffe' con lui, perche' quello non vuole fare le cose serie. Il caffe', quando lo volete, ve lo paghiamo noi". In quel giorno diventarono i miei ragazzi. Studiavano, mi ascoltavano e parlavamo. Parlavamo di politica, della vita e del loro vivere in quartieri dove "quando torniamo da scuola, non usciamo piu' perche' fuori si spaccia solo droga". Loro non avevano letto o scritto Gomorra. Loro la vivevano.
Eppure nessuno avrebbe dato la vita per loro. Nessuno l'ha data e nessuno ha mai neppure conosciuto i loro volti che io ho amato ed amo ancora.
"Professore', mannaggia a Berlusconi". Mi dicevano per farmi ridere. Incredibile, Berlusconi era gia' li e gia' faceva danni.
Una volta arrivai in ritardo in classe e loro iniziarono a fare casino tanto che arrivo' il preside. Appena entrai, il preside mi fece una di quelle cazziate storiche. Io pensavo di sprofondare (e sotto sotto volevo pure mandarlo a quel paese). Quando il preside usci' ci fu silenzio. Li guardai negli occhi e non dissi niente e studiammo tedesco senza dire una parola. Quando entrai in classe, la volta dopo, li vidi dall'esterno, insolitamente seduti in ordine e silenziosi. Appena misi piede dentro la classe, scattarono in piedi e in coro mi dissero "Entschuldigung" ("Scusi") e sulla cattedra c'era il piu' bel mazzo di fiori che abbia mai ricevuto. Trattenere le lacrime fu difficile. I miei ragazzi mi fermavano nei corridoi per parlarmi delle loro fidanzate, dei loro problemi e io li ascoltavo e li adoravo ed ero grata alla vita. Se non fossi entrata in quella classe quei ragazzi, i miei ragazzi, sarebbero stati, ai miei occhi prevenuti e miopi, solo dei bulletti di quartiere, dai quali guardarsi e proteggersi.
I miei ragazzi ebbero l'audacia di raccontarmi le loro paure, i loro dubbi e i loro sogni. Ebbero l'audacia di mostrarmi le loro lacrime quando un loro amico mori' troppo presto, come spesso si moure in certi quartieri. I miei ragazzi ebbero l'audacia di mostrarmi la loro ansia durante l'esame di stato. Fui con loro ogni giorno. i membri della commissione mi guardavano chiedendosi chi fossi. Li incoraggiavo e li calmavo e seguivo i loro esami con un ansia e con occhi che proiettavano altre scene di tempo prima, all'Istituto Antonio Genovesi di Salerno.
I miei ragazzi hanno fatto fatica a convincersi a chiamarmi Angela e non piu' "professore' " dopo di allora e con alcuni siamo ancora in contatto e so un po' delle loro vite e ne sono fiera. "Quando e' morto mio padre, mi disse un giorno uno di loro, i boss del quartiere vennero da me e mi dissero - tu ora non ti devi preoccupare, perche' a te ci pensiamo noi - ma io ho continuato a venire a scuola e sono felice di fare il cameriere e poter tornare a casa con il cuore in pace".
I miei ragazzi hanno vissuto e spesso vivono nell'inferno e ne sono usciti illesi perche' si puo'. Perche' le famiglie sono rocce e la scuola e' la strada per attraversare l'oscurita'. La scuola puo' essere la lampada anche se i piedi li metti tu.
I miei ragazzi non li conosce nessuno. Percio' perdonatemi se dico che loro sono si' che sono i miei eroi. Loro che vivono e hanno vissuto all'inferno e sono sopravvissuti e sanno sorridere.
I miei ragazzi non vanno in tv, non sono famosi e non sono simboli di niente e nessuno. E nessuno se ne fotte di loro. Diciamolo.
Ma i miei ragazzi (e quelli come loro) sono la speranza, L'unica. E tutto il resto sono chiacchiere.
Mentre cammino, a volte sopraffatta dal peso delle mie incertezze, talvolta logorata dalla tristezza o avvolta in una coperta di paure, ripenso ai loro occhi. Se loro ce l'hanno fatta io posso farcela. Loro mi hanno insegnato questo. E nessuno lo sa e nessuno li onora.
Volevo farvi conoscere i miei ragazzi. Occhi belli e sorrisi larghi, come solo chi vede la morte e lo scempio ogni giorno, puo' avere. Perche' se non abbassi lo sguardo, oltre tutta quella morte e quello scempio, vedrai la bellezza e non ti ferira' gli occhi ma te li rendera' come stelle in una notte d'estate.
I miei ragazzi sono i miei occhi nella notte scura.

2 comments:

Anonymous said...

Inevitabile tornare alle immagini di quella magnifica pellicola che è "l'attimo fuggente" e alla setta dei poeti estinti. Un insegnante sui generis e fuori dall'ordinario. E proprio per questo straordinario.
La sensazione che si percepisce è, forse, quella di un "progetto" incompleto con un misto di nostalgia per quegli "occhi magici". Credo che nella vita siamo tutti, nessuno escluso, un pò studenti e un pò insegnanti. L'importante è saper distinguere l'attimo in cui siamo studenti da quello in cui siamo docenti.
:-)
Leonardo

Licia said...

Grazie Angela per averci regalato un pezzetto della tua vita!
Licia