Friday, March 27, 2015

Vita nuova

"Ore 23.30. Il rullo dei bagagli gira a vuoto. Il mio bagaglio non c'è. Benvenuta in America, Angela. "Tanto domani torno a casa", mi dico mentre un nodo mi stringe la gola e lo stomaco. Voglio vomitare ma non posso, devo parlare con la tizia dell'ufficio "persi e ritrovati" per il mio bagaglio. Intanto, io mi sento solo persa e non so se lì, oltre al mio bagaglio, potranno ritrovare anche me. Non credo, la tizia è annoiata e detesta ripetere le cose, ma a quest'ora il mio inglese è rimasto indietro, insieme a tutta una vita vissuta e improvvisamente abbandonata. Il tassista mi chiede l'indirizzo, glielo dico e mi chiede che strada fare. Gli rispondo che scelga lui, tanto è tardi e non c'è traffico. Il fatto è che non ho assolutamente idea di dove sia Jackson Heights, né il Queens. Fosse per me, potrebbe portarmi anche all'inferno e non me ne accorgerei. Anzi, penso di esserci già all'inferno e la cosa pazzesca è che mi ci sono cacciata con le mie mani. La casa è bella e grande. Troppo grande, per consolare la mia paura. Quella paura che sarebbe diventata la mia migliore amica: paura di non farcela, paura di non avere i soldi per sopravvivere, paura della legge che non conosco, paura delle cose che non capisco, paura di morire di notte per strada senza nessuno che se ne accorga, paura di aver scelto disperatamente di vivere e di poter morire per questo. Sul tavolino, nel soggiorno c'è un libro: "My father's dream", di Barack Obama. Ho sentito parlare di questo senatore che vuole candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti e di quanto tutto ciò sia considerato folle. Prendo il libro per sfogliarlo e intanto penso a mio padre e al suo sogno giusto di vecchio comunista: di un mondo giusto, di persone giuste e di figli che se fanno la cosa giusta saranno felici. Penso a mio padre e mia madre, li ho appena chiamati al telefono per dirgli che sono arrivata e che sto bene. Odio mentire ai miei genitori ma non posso dirgli che mi sento morire e che ho paura e voglio tornare a casa. Non posso. Allora ingoio le lacrime che, però, maledettamente, continuano a scendere e mi sforzo di leggere qualche pagina… stavo facendo la conoscenza di Barack Obama, il futuro presidente degli Stati Uniti e l'uomo che in qualche modo mi avrebbe salvato la vita".

Questo scrivevo 8 anni fa, poche ore dopo il mio arrivo a New York. Questo rileggo ogni anno. E' come quando ogni anno misuri la tua altezza vicino alla parete e metti un segnetto nero e poi lo raffronti con quello che c'era prima. Sei cresciuto. Non invecchiato. Cresciuto
Seguo spesso, con particolare coinvolgimento, il dibattito (doloroso) di coloro che devono decidere se e' meglio restare o partire e volevo fare luce - dal mio punto di vista - di alcuni miti da sfatare. Giusto per mettere le cose in un'ottica piu' reale.


  • io amavo pazzamente New York ma se avessi avuto un lavoro e un po' di dignita' in Italia, non mi sarei trasferita qui. Non nel modo in cui l'ho fatto. Non senza avere nulla e senza conoscere nessuno. Non come quando si e' disperati. Diverso e' partire per lavoro. Dunque, se si ha un lavoro stabile, comprendo che si possa legittimamente restare in Italia. Anche se il paese soffre in maniera fortissima per una crisi prima di tutto etica e civile, ma restare, se si hanno i mezzi, e' piu che legittimo. Pero' questo e' il primo punto da considerare: chi vuole partire ha un lavoro o no?
  • chi non ha un lavoro, soprattutto se non ha un lavoro da molto tempo, dovrebbe andar via perche' in Italia i dati della disoccupazione non li ho inventati io. Soprattutto, pero', bisogna andar via perche' l'Italia NON e' un paese meritocratico e, dunque, anche se ci sono possibilita' di impiego, a beneficiarne sono solo coloro che hanno le giuste raccomandazioni - 7 volte su 10.
  • mi sento dire spesso "ma tu non avevi figli" (che culo vero? come se non li abbia avuti per caso e non si sia trattato di una decisione ragionata) - Vero. I figli significano maggiori responsabilita'. Eppure vorrei non si tralasciasse un particolare. Io quando sono arrivata qui ero sola. Persino Dorothy era ancora in Italia. Se fossi morta, nessuno avrebbe saputo nemmeno il mio nome. Quando tornavo a casa nei primi giorni, e avevo fame e paura e fame, non avevo nemmeno una spalla su cui appoggiarmi e piangere. Ero sola. Non avevo nessuno. E la solitudine puo' uccidere quanto la fame, quanto la paura, quanto la disperazione. Quindi si', e' vero, con i figli e piu' difficile... ma l'assenza di solitudine e' anche, per certi versi, un vantaggio. 
  • io parlo di New York e degli USA. Mica pero' significa che questo e' il paradiso. Il Paradiso non esiste. Non su questa terra. Quindi smettiamola di cercare i paesi PERFETTI. Il mondo perfetto. I luoghi diventano casa se danno risposte alle nostre priorita'. Le mie priorita' non erano la pizza o il Vesuvio o la mozzarella. La mia era la dignita'. La qualita' della vita. La possibilita' di sentire che valevo qualcosa in piu di quello che l'Italia mi aveva ridotto a pensare. Per questo New York e' perfetta per me. Quando ho deciso di trasferirmi volevo SOLO andar via dall'Italia. Ecco perche' abbandonai l'idea di Bologna. E scelsi Londra. Ma Londra aveva all'epoca la quarantena per i cani. Scelsi allora Parigi. E poi mi dissi "Parigi e' per innamorarsi, New York e' per ricominciare". 
  • so che se fossi venuta prima qui, probabilmente non avrei avuto dentro di me gli strumenti per sopravvivere. Eppure, oggi, sempre piu' spesso, penso che sarei dovuta andar via prima. Perche' la vita e' una, sacra e irripetibile. E io, come tutti, avevo diritto alla felicita' e, almeno per 10 anni, almeno negli ultimi dieci anni in Italia, io sono stata molto infelice.
  • io lavoro tantissimo qui: ritmi che non tutti possono sostenere e per incontrare gli amici devo prendere appuntamenti precisi, settimane prima. Comprendo che non piaccia a tutti. Ci mancherebbe. Infatti ci sono luoghi piu' affini a cio' che siamo: che si scelgano quelli
  • per ultimo un pensiero sulla frase piu' ricorrente che sento "bisogna restare per lottare". La mia vita non e' una guerra. La mia vita e' la ricerca della felicita'. Anche io sono rimasta per lottare. Inutilmente. Che lo si faccia, certo, che ci si provi, ma ci si dia un tempo perche' la vita passa. Io so, adesso lo so, che in Italia non cambiera' nulla. Eppure se tornassi indietro so che proverei ancora. Ma con una scadenza. Dopo la laurea si e' gia' provato abbastanza e se non si trova un lavoro nell'arco di un anno, bisogna andar via.
  • andar via non e' eterno. Nemmeno la vita lo e', pero'. Si puo' tornare. Io non voglio tornare, ma lo si puo' fare. Che ci si doni felicita' dunque.
  • New York e' la mia casa. No, non e' la piu' bella citta' al mondo. Non mi interessa questo. Come non mi interessa vivere nel piu' bell'appartamento al mondo. Mi interessa essere a casa e lo sono

1 comment:

Anonymous said...

Difficile essere in disaccordo con quanto scrivi.
L'Italia è un Paese ben strano e penso che noi cittadini abbiamo delle responsabilità se la classe politica che ci (s)governa è di pessima fattura.
Le tue considerazioni sono patrimonio di noi che abbiamo il privilegio di leggerle dal momento che, elaborate nella maniera giusta, possono essere chiavi utili per aprire porte altrimenti chiuse a causa della paura...
Grazie ancora una volta per mettere a nudo i tuoi pensieri lasciando trasparire l'essenza del tuo essere....
Tu sí na cosa grande!
Con l'affetto di sempre,
Leonardo