Monday, March 25, 2013

Alba a New York.

Ci sono mille modi di vivere un'alba. La si puo' respirare, con boccate piccole, occhi impastati di sonno e un giubbino di jeans addosso o un plaid di lana, a seconda delle stagioni: giusto prima di andare a dormire. O la si puo' accogliere, con polmoni in cerca di nuovo ossigeno, occhi come ferite a cercare sollievo nella carezza delicata dei primi bagliori di luce e una tazza di caffe' fra le mani: giusto prima di ricominciare a vivere la vita.
Quando abitavo a Napoli, molti anni fa, lavoravo per un'agenzia di stampa - Informedia - e dovevo essere al mio posto a lavoro alle sei. In quel periodo, odiavo quelle notti che non riuscivo a chiamare "alba" e che interruppero per sempre il senso "ordinario" di una gioventu' tuttavia splendida: noi eravamo quelli che andavano al lavoro quando molti coetanei tornavano da serate in discoteca. Odiavo l'attesa alla fermata dell'autobus. Il maledetto C21 che non passava mai e una via Petrarca che mi terrorizzava con il suo silenzio, la sua oscurita', i suoi mille tranelli. Mi terrorizzava almeno quanto poi l'amavo in ogni curva, in ogni dettaglio di sole, in ogni albero, in ogni azzurro di mare che dall'alto mi affabulava.
Un giorno, pero', era la vigilia di Natale, arrivando a Mergellina mi si paro' dinanzi agli occhi, come un affresco da museo, fotografia che nessun fotografo saprebbe mai cogliere, lo spettacolo indimenticabile dei pescivendoli in piena attivita' in vista del cenone natalizio. Mi ricordo che fermai il motorino, incurante del freddo, e restai a guardare quel muoversi argenteo di corpi, le mani, le voci, gli schizzi dell'acqua, il sussurro del mare, il rollio delle barche. E seppi cos'era la felicita'.

A New York l'alba e' stata spesso necessita' di risveglio per tacitare il rumore troppo forte di un cuore in tempesta. Placare le paure, le ansie, le angustie di ostacoli apparentemente insormontabili: sfide continue. Per le quali non sapevo di essere ben addestrata.

Ogni volta pero', l'immensita' degli spazi confusa con quel cielo che - uguale a tutti gli altri cieli - qui sembra davvero infinito mi ha riportato alla mente l'alba dei pescatori e il calore di quella manciata di felicita'.  Ho sempre saputo che, nonostante tutto, avevo qualcosa dentro di cui nessuno e niente poteva privarmi e che se ce l'avevo era perche' avevo saputo avere occhi per guardare e cuore per sentire tanto che quello sguardo si era perdutamente ed eternamente innamorato di quel risveglio intriso di quotidiana e  percio' eccezionale poesia.

Non avrei saputo innamorarmi di New York come lo sono se non avessi profondamente, malinconicamente, perdutamente e eternamente amato Napoli. Napoli mi ha insegnato l'umilta' che ti deve pervadere di fronte a spettacoli troppo immensi che servono solo a dirti che tu sei li' per onorare quella vita ogni secondo perche' e' un bene prezioso. Persino nel dolore. Persino nella rabbia e nella paura.

New York e' casa e rifugio e teatro dove finalmente recito come se fossi un'attrice protagonista e non una riserva il cui turno non arriva mai. Lo e', pero', solo perche' sono arrivata qui con lo stesso stupore di quella mattina di fronte allo spettacolo dei pescatori: ho fermato il motorino e ho guardato in silenzio sentendo in me la necessita' di arrendermi a quella bellezza, di dichiarare al mondo il mio essere qui per testimoniare con la mia quotidianeita' un po', un briciolo, un pezzetto, un alito di quella straordinaria cosa che e' la felicita'.

Ed e' questo a cui penso, ancora e sempre, quando il tumulto del cuore fa troppo rumore per lasciarmi dormire e ci sono troppe domande senza risposta e una distanza che ti separa dal tirare un sospiro e riposarti che sembra troppo lunga, ancora infinita. Penso che ci sono domande che non hanno necessita' di risposta. E che, senza questo momento di turbolente ansia, l'approdo sulla spiaggia non mi sembrerebbe altrettanto meraviglioso. come invece sara'.

Penso ai pescatori. Ai corpi argentei che sbattono in un ultimo tentativo di sopravvivenza. Alle voci, agli schizzi d'acqua, stivali di gomma, cartocci gialli e odore di caffe', rollii di barche, sospiri di mare, il Vesuvio e Capri: la vita e la morte insieme come solo a Napoli ti e' dato vedere se sai guardare. Se sai sentire. Altrimenti ti sembra solo una cosa come un'altra e tu solo un povero disgraziato costretto a svegliarsi troppo presto.

Mentre scrivo e' diventato giorno. Sento il silenzio, non ho mai pensato di sentire silenzio a New York. Forse sono venuta qui cercando cose che non c'erano. Ma ho ritrovato me stessa. E tanto basta.

2 comments:

Anonymous said...

Signora Vitaliano (la rossa più energica del web), ha fatto nostre le sue emozioni! Napoli stupisce, ma suo malgrado tradisce... e nel fuggi fuggi generale, con parte del nostro cuore rivolto a lei, scopriamo di saper amare anche altri luoghi, a loro modo anch'essi affascinanti, dove per predisposizione interiore ci sentiamo più a nostro agio, e meno "traditi"... Ivana

Anonymous said...

...eppure sento che un giorno tornerai definitivamente in Italia e Napoli sarà nuovamente ed interamente tua. Il tuo amore per questo scriteriato paese è pari almeno alla rabbia che provi vedendolo nella polvere. Hai scelto una città che oggi è la tua fidanzata prendendo il posto che fu dell'amore della tua vita. Ma è un rapporto incompleto :D
Leonardo