Saturday, October 28, 2017

Un cuore nomade





Quando ero piccola, avevo molti sogni. Tipo avere la roulotte di Barbie. O la casa di Barbie. Perche’ io della mia Barbie ero veramente innamorata. Me l’aveva portata “La Befana della Ferrovia” e io, per questo, ho amato e amero’ i treni per tutta la vita. Mio papa’, Vincenzo, faceva il ferroviere e cosi suo fratello Giuseppe, il partigiano, e mio nonno Alfredo, che mori’ proprio in seguito a un incidente avvenuto durante un viaggio. I treni sono stati la mia seconda casa e mi hanno abituata all’idea che si potesse arrivare ovunque, comodamente seduti, anche in seconda classe.
La vera fortuna era, ed e’ ancora, per me, avere un posto vicino al finestrino. Il mio viaggio e’ sempre piu’ intenso quando riesco a passare il tempo con il naso spiaccicato al vetro guardando alberi che corrono con me, poi seguiti da case, citta’, stazioni, occhi che si incrociano per frazioni di secondo, in un rallentamento o in una fermata.
Ho sempre amato “le Ferrovie dello Stato”, pero’, anche perche’ consentivano a me e mio fratello, Roberto, di viaggiare gratis (fino a 18 anni) e perche’, non so se adesso esiste ancora, avevano una Befana tutta speciale, spesso in grado di portare quei doni che i miei genitori non avevano i soldi per comprare. E cosi, un anno, arrivo’ lei, la mia Barbie. Credo l’amassi per i suoi capelli lunghi: io bambina cicciotta con capelli alla maschietto, amavo pettinare quei capelli platinati a lungo. E le sue scarpe. Ovviamente.
Di Barbie, pero’ amavo immensamente anche quella sua casa che non riuscii mai ad avere e che ancora oggi, se vado a casa di bambini che ne hanno una, mi attira al punto che mi incanto e poi, se mi danno il permesso, comincio a giocarci un po’.
Non so se dipende dal fatto che io quella casa meravigliosa non fui mai in grado di averla ma, a un certo punto, quasi per ripicca, decisi che, da grande, avrei vissuto in albergo. La rinuncia delle radici alla massima potenza.
E, confesso, che continuo ad amare molto gli alberghi.
Quel senso di liberta’ che mi trasmettono. Eppure li tratto un po’ come case. Poco ci manca che, al mattino, uscendo, non rifaccia il letto come piace a me.
Perche’, invece, dopo anni di convivenza “studentesca” e “post studentesca” ho cominciato a desiderare una “casa mia” come poche cose al mondo. Un nido. Un luogo mio. Mio e di Dorothy. Quando vivevo con il mio compagno, amavo la sua casa, spettacolare perche’ affacciata sull’acqua, ma non era casa mia. Ne’ nostra. Era casa sua. Non ho mai desiderato, pero’, possederne una. Sapevo che il mio cuore nomade, quello della bambina del treno, non avrebbe trovato conforto troppo a lungo per molti anni. E cosi ho sempre affittato. Questa dove vivo, a NY, e’ la prima casa che vorrei possedere, sapere mia per sempre. E ogni volta che penso che dovro’ lasciarla, se non potro’ piu permettermela, sento il cuore frantumarsi come una porcellana preziosa.
Questa e’ la mia casa di Barbie. E’ arrivata alla fine. In primavera, con la fioritura degli alberi e non con la Befana. E non me l’hanno regalata le Ferrovie dello Stato. Anche se credo fermamente che, quel viaggiare in treno, mi abbia insegnato a non portare mai un bagaglio troppo pesante se devi partire e a scegliere sempre un posto vicino al finestrino cosi da smettere di ascoltare la malinconia e, invece, guardare la vita. Perche’, poi, quando si torna a casa e’ ancora piu bello. Perche’ sei piu ricca. E, il bagaglio leggero, ti ha permesso di prenderne un altro strada facendo, di cose nuove, persone sconosciute, anime nomadi e sentirti immensamente ricca.
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