Wednesday, March 28, 2012

A casa

Ieri, per la prima volta in cinque anni, non mi sono ricordata che era "il giorno", quello del mio arrivo qui.

Ne sono felice. Significa che sono a casa adesso.

Saturday, March 17, 2012

Cara Napoli, cara Italia

Carissime
vi scrivo stamane, mentre sorseggio il mio amato espresso, perche' sento di dovervi delle spiegazioni. A voi che so capirete, finalmente, cio' che mi agita spesso l'anima e mi fa perdere la pazienza.

Io vi amo. Di un amore assoluto e insostituibile. Ero piccina quando i miei genitori mi portarono per la prima volta a Firenze per trovarmi di fronte alla perfezione dell'arte e della bellezza. E Genova, la citta' del cuore; Bologna, la citta' dei sensi; Torino, la citta' della raffinatezza; Milano, la citta' della modernita', Venezia, la citta' del languore; Palermo, la citta' della luce; Perugia, la citta' dolce; Siena, la citta' rotonda e via via, lungo una  lista infinita che non troverebbe spazio qui. Fatta di piccoli paesini, quartieri, frazioni distanti, remoti anfratti. L'Italia della pura meraviglia. Quando e' stato creato l'Universo, l'Italia deve essere stata creata per ultima perche' si riconosce la maestria del tocco, la bravura dell'esperienza, la perfezione dello stile.

Penso a te, Napoli. Quando parlo di te e come se parlassi dell'amore della mia vita. Io risento il vento sul viso. Rivedo ogni angolo di mare che piano piano si rivela agli occhi mentre si scende a piedi da Posillipo. La piu' bella passeggiata dell'universo. Riprovo il senso di forza ed energia che mi prendeva quando da San Martino, ti guardavo dolente, adagiata serena, come una lucertola a farsi sanare le ferite dal sole. Ricordo gli odori dei vicoli, il vociare e l'ammasso di corpi umani che si toccano mentre scivolano lungo i Decumani, invasi di aromi di pizze fritte e taralli. E Palazzo Giusso, la mia gloriosa Universita'. Le discese di Sant'Antonio che facevo con la Vespa quando volevo smettere di aver paura dei piani inclinati (che ancora mi spaventano). Il riflesso del mare che ti accecava quando dall'alto di via Tasso ti ci immergevi con gli occhi socchiusi come una ferita sul volto di una drammatica Butterfly.
Quanto io t'ami non si puo' capire. Lo sanno (senza necessita' di capirlo) solo coloro che da questa passione si sono lasciati possedere senza ribellarsi, senza cura per i pericoli, senza timore per le ombre.

Napoli, sei dentro di me come la mia famiglia, i miei amici e gli intestini, le ossa e il sangue che scorre. E tu, Italia, sei la mia lingua magistrale, ricca, stupenda, musicale, fatta di congiuntivi sempre piu' appannaggio di un' elite privilegiata. L'Italiano e' la lingua della vita. Nessun "I love you" puo' nemmeno entrare in partita con un "Ti amo".

A bilanciare tanta oscena bellezza, pero', mie carissime, ci sono gli italiani. Spocchiosi, arroganti, disonesti, presuntuosi, egoisti, ignavi, disonesti, invidiosi, accattoni, lazzari, superficiali, indifferenti, ignoranti, usurpatori e privi di memoria. E lo so, lo so che non sono tutti cosi'. Ci mancherebbe. E forse sono addirittura una minoranza, ma una minoranza che governa, impone, agisce, si fa conoscere, detiene il potere, sporca, infanga e parla male di tutti gli altri.

Questi italiani, che non sono solo quelli che ci governano, hanno fatto di te, Italia, un paese dove non esiste rispetto del merito, del diritto, della legge. Non esiste cura di quelle bellezze di cui sopra. Non esiste speranza. Non esiste orgoglio (la presunzione non e' orgoglio). Non esiste italianita'.

Ieri sera un collega al quale raccontavo che mi avevano copiato di sana pianta un articolo pubblicandolo altrove mi ha detto, con tono allarmato, "non lo dire, queste cose non si dicono". Italiani. Gentaglia mafiosa.

Cara Italia, cara Napoli. Volevo che sapeste che io sono vostra e lo saro' per sempre ma non sono "loro" e non lo saro' mai piu' perche' loro vi offendono e vi sputano in faccia ogni giorno. Con un sorrisetto scemo sulla faccia. Quello dei perdenti che si credono di governare il mondo.

Monday, March 12, 2012

Peter Pan

Mi portarono a vedere il film di Peter Pan al cinema. Ero piccola ma riesco a ricordare i miei occhi spalancati nel buio della sala, assolutamente rapita da quella storia.

Per anni ho sognato di essere Wendi, ovviamente. E la mia bambola preferita, che ancora ho, si chiamava Michael come il fratellino piu' piccolo.

Poi, crescendo un po', Wendi mi e' diventata antipatica assai perche' faceva soffrire Campanellino e, soprattutto, perche' mollava Peter da solo dopo tutto cio' che lui aveva fatto per loro. E' stata la prima volta che ho capito che le donne potevano essere proprio stronze con un uomo e che io non volevo essere cosi. Capii anche che gli uomini sono sempre un po' Peter ma a dire il vero la cosa non mi e' mai dispiaciuta piu' di tanto.

Forse perche' anche io sono un po' Peter. Potendo avrei scelto di non invecchiare, di restare bambina e di volare e volare e volare. 

Si accetta di invecchiare perche' e' inevitabile ma a me mi sta sulle palle sta' cosa perche' sento di aver bisogno di ancora un sacco di tempo per divertirmi e fare le cose che vorrei. Forse e' per questo che spesso mi capita di pensare alla morte perche' mi sta proprio antipatica e, quando moriro', so che saro' contrariata. Ed e' poco elegante arrivare ad un appuntamento con la faccia contrariata. 

Comunque. Quando mi sono trasferita, fra le poche cose che mi sono portata dietro, tipo coperta di Linus, c'e' il libro di Peter Pan. Me lo regalarano i miei genitori dopo aver visto il film. Non so quante volte l'ho letto. Ancora lo rileggo. E continuo a non sopportare Wendi e le femmine con le camicie da notte.

Thursday, March 8, 2012

Marzo

Il 1 marzo di tanti anni fa, anche se lo ricordo come fosse oggi, nemmeno ancora ieri, mi laureai all'Istituto Universitario Orientale. Centodieci e lode e nodo alla gola d'ordinanza e lacrime ricacciate indietro mentre mi voltavo a guardare la mia famiglia. Erano tutti li'. TUTTI. Troppi non ci sono piu' ma quel giorno erano li' con me. Tranne mio padre, ovviamente, che dopo aver fumato una sigaretta dopo l'altra, era scappato in bagno per non farsi vedere piangere. Mio padre ci ha insegnato la bellezza del pianto di commozione. Quando si e' sposato mio fratello era l'unico che singhiozzava. (ma anche quando e' morto Berlinguer e quando i "progressisti" vinsero per la prima volta le elezioni o quando parto per tornare a New York).

L'8 marzo non mi e' mai piaciuto. Inutile spiegare perche'. E' sotto gli occhi di tutte le persone di buon senso il perche'. Anche se amo le mimose il cui profumo, qui, e' una delle poche cose che mi manca dell'Italia. Amo soprattutto quelle di febbraio che ti dicono "su dai, che fra un po' e' primavera". Un otto marzo, uno dei tanti, Luigi lascio' questa terra. Sebbene fosse troppo presto. Sebbene non fossimo preparati. La sera prima, in ospedale, lo avevo salutato ma lui si era voltato dall'altra parte per nascondere una lacrima. Sapeva che la vita era' gia' via e a tenerlo li, in quel letto, era ancora e solo il nostro infinito dolore. La nostra paura di sapere all'improvviso, con certezza che si muore. Il disgusto che provai, a bordo della mia Vespa, mentre come una povera disperata vagavo per la citta' in cerca di un riparo a quel dolore tagliente, nel vedere quelle "femmine" in calore che sguaiatamente si raggruppavano per andare a festeggiare il loro essere grette e squallide non lo dimentichero' mai. Ieri sera, sono stata ad una cena di un'associazione di donne nelle scienze, qui a NY. Non c'era volgarita'. C'erano donne meravigliose. Belle. Persone belle. Donne che vivono senza lo strazio volgare delle pari opportunita' e che, pure, vanno avanti, migliorano, progrediscono. Nel raccontarci, io e una ricercatrice parigina, ci siamo scoperte a raccontare due societa' (la francese e l'italiana) maschiliste e grette (Dominique Strauss-Kahn insegna). Le altre ci guardavano con stupore. Essere donna e' difficile. In Italia e' uno strazio soprattutto per colpa delle donne.

Il 13 marzo e' il compleanno di mio papa'. Vorrei essere con lui. Mio padre e' un uomo speciale. Tutti dovrebbero conoscerlo e parlare con lui. Perche' ti insegna la vita senza mai voler insegnare niente. Perche' tutti dovrebbero parlare con un comunista come lui per capire cos'e' il comunismo che ci piace. E la giustizia e la cura del prossimo e la capacita' di vedere tutti davvero uguali. Mio padre mi ha regalato la vita, la capacita' di sognare, il senso del dovere, l'ossessione dell'onesta' e la passione per l'opera. Oltre a tutto il resto.

Il 27 marzo di cinque anni fa salivo su un aereo. Andavo a New York. Tutti pensarono che sarei tornata indietro. Quanti pensieri. Quanto dolore in quell'andare via. Quanta paura nella mia assoluta solitudine. Quanto odio verso gli Italiani. Non l'Italia, paese meraviglioso. Ma verso i miei connazionali. Cinque anni fa. Non avevo piu' sogni, ne' aspirazioni ne' speranze. Ma tanta rabbia. E una convinzione. Unica. Che avessi diritto ad essere felice. E non e' mai troppo tardi per esserlo. In cinque anni ho curato la rabbia e trovato un mio equilibrio e me stessa. New York e' stata medico, amica, insegnante, fustigatrice. Sempre severa. Mai indulgente. Eppure accogliente e avvolgente. New York ed io, un amore di quelli che nascono a marzo e non smettono mai.

Amo marzo. La vita in questo mese, a volte, sembra abbandonarti, ma sta solo ricominciando altrove. E gli occhi di Luigi, quei suoi begli occhi azzurri, mi aiutano a vedere quando e' troppo buio.

Tuesday, March 6, 2012

love is a many splendor thing

E' la canzone di mia mamma e di mio papa', Gliel'ho vista ballare tante volte, guancia a guancia, con quella melodia che sembra diventare aria che sotto i piedi ti fa leggero.

Ho imparato a ballare fra le braccia di mio padre. E' ancora il mio ballerino preferito. Non manca volta che non vada a casa e che non ci ritroviamo a ballare nel ristretto spazio del soggiorno, scansando una sedia e evitando una poltrona.

Ho imparato a ballare prima ancora di imparare a capire come cadere e rialzarmi. Perche' ballare mi rende leggera, dal mio peso corporeo che vorrei meno significativo, dai miei pensieri, dalle mie tristezze e, a volte, persino da quelle felicita' che se diventano troppo pesanti rischiano di farti precipitare dal cielo.

Ballo spesso. Incurante dei vicini che potrebbero guardarmi dalle loro finestre, con occhi che potrebbero vedere solo un corpo cicciotto che si agita nello spazio. Ma ballo. E in quei momenti Dorothy mi guarda felice. Lei sa.

E ballo quando, come ora, i piedi mi fanno terribilmente male e le gambe sono pesanti e la musica mi sembra stonata. Comunque ballo. Perche' in momenti cosi' non so dove andare ma devo sentire che, quando lo capiro', potro' ancora muovermi. Perche' non  mi saro' mai fermata.


Thursday, March 1, 2012

La notte dei miracoli

Me lo ha ricordato mia mamma quando ci siamo sentite. Mi ha detto che ha pianto. Alcune persone, anche se non le incontri mai, ti diventano come "uno di famiglia" come un cugino emigrato in America che pero'  ti aspetti sempre di veder arrivare ad un matrimonio.

Una sera, anni fa, con il mio amico Peppe Lanzetta andammo a Bologna. Lucio Dalla aveva scritto la prefazione di un suo libro e aveva organizzato una cenetta "intima" per un po' di amici.

La trattoria era famosissima ma ora, naturalmente, non ricordo il nome. Ricordo che arrivammo dentro a questa sala con un tavolo pronto e io trovai posto di fronte al mio "amico" Bergonzoni che conoscevo da un po'. Gli altri posti li evitai per paura di quella mia timidezza che e' difficile percepire ma sa bloccarmi e congelarmi nei momenti meno opportuni.

Lucio era seduto e ascoltava, con il suo ineffabile sorriso sulle labbra, un ragazzo che suonava il violino, intanto che noi, soliti napoletani ritardatari ;) arrivassimo a completare la tavolata.

Seduto di fronte a Lucio, Francesco Guccini e la sua allora fidanzata, ora moglie. In quella serata avrei scoperto che Guccini e' un uomo di spettacolare simpatia. Non ricordo nulla dei piatti che mangiammo o del vino che bevemmo, ma ricordo dei duetti Guccini/Bergonzoni che ci fecero ridere in maniera smodata.

Ho sempre amato Bologna. Per un pensiero che nella mia testa ha un senso, quando mi sono trasferita a New York, la mia alternativa era Bologna. Ho amato e amo quella citta' come Napoli e ho relazioni fraterne e sorelle con molti di loro. Gran popolo di gaudenti, colti e sfrontati.

Quella sera fu una piccola notte dei miracoli per me. Me lo ha ricordato mia madre. Perche' il mio pensiero stamattina era andato ad un amico fraterno di Lucio che mi sta molto a cuore e che vorrei abbracciare.

Quella sera gli dissi che il mio primo amore si chiamava Marco e che la sua canzone era la mia. Lui sorrise e canto' qualcosa in napoletano.