La miseria umana
Il sudore mi colava dalla tempia mentre provavo a mantenere un equilibrio complicato in un piccolo autobus, stracolmo, che s’inerpicava lungo le curve ombrose che da Vietri sul Mare portano a Cava de’ Tirreni. La passione per il mare mi portava ad affrontare qualsiasi sacrificio, provando, allo stesso tempo a non infrangere leggi (quindi NO ai pulmini abusivi che non rilasciano titoli di viaggio e che ammassano viaggiatori sfidando ogni norma di sicurezza e di dignita’) e a non sottopormi a maratone improponibili nella calura estiva.
Quella goccia che scendeva lenta m’infastidiva; non piu’, tuttavia, del fracasso, di urla e parolacce, messo in scena, ad un passo da me, da un gruppo di ragazzine (e qualche maschio), di circa 15/16 anni che stavano mettendo a soqquadro l’intero autobus nell’indifferenza generale. A un tratto, una di quelle ragazze decise che era tempo di dedicare le sue attenzioni a un uomo che, silenziosamente, stava immobile, in fondo al mezzo, con la sua borsa che raccontava di chilometri macinati a camminare sotto raggi infuocati come la sabbia sotto i piedi. Lei, spavalda e cattiva, di quella cattiveria che sono le vite ormai gia’ bruciate dall’assenza di speranza sanno mostrare, gli si avvicino’ e comincio’ ad insultarlo, chiamandolo “negro di merda” e altre cose cosi. Lui, senza muovere nemmeno un muscolo, taceva guardando altrove.
Lontano, dove era la sua casa, quella vera che aveva dovuto lasciare, forse lasciandosi dietro persone amate, per scappare in cerca di un po’ di fortuna, e ora era qui, in un bus pieno di gente vinta dalla quotidianeita’, indifferente a quanto stesse accadendo. Il suo silenzio innervosi’ la ragazza che, come fosse respirare una boccata di aria fresca, comincio’ a schiaffeggiarlo e sputargli sul volto, continuando a insultarlo. Intorno, nessuno guardava. Ognuno continuava il suo viaggio nella miseria umana, senza voltarsi, senza prestare attenzione. Figuriamoci cuore. Fu un attimo: incrociai gli occhi di quell’uomo.
E mi vidi riflessa. Io emigrante in un paese straniero e lontano da qui, raggiunto alla ricerca di una via di scampo e lui, emigrante, in un paese straniero che lo odiava, raggiunto alla ricerca della sopravvivenza. I nostri occhi si incrociarono. E vidi il mio essere bianca nei suoi occhi scuri. Bianca che tornava dal mare dove aveva trascorso ore per diventare “nera”, in un bus stracolmo di odio. Nel mio paese lontano, io avevo questa pigmentazione di pelle che mi rendeva tutto meno doloroso. Lui era nato nero. Condannato a morte.
Intimai alla ragazza di smetterla. Lei mi guardo’ piena di odio. Mi insulto’. Le intimai di nuovo di smetterla. La gente, quei fantasmi pieni di rassegnazione che viaggiavano con me, mi guardarono pieni di pena e mi dissero di farmi i fatti miei. Come se quelli non fossero fatti miei. L’autista continuava la sua marcia in sprezzo alla situazione di pericolo che si era creata. Io composi il 113.
Per un attimo sbagliai. Digitai 911. Volevo essere a New York in quel momento. Perche’ anche a New York poteva succedere un episodio del genere, ma non avrebbe avuto lo stesso epilogo.
Chi mi rispose al telefono mi ignoro’. Intanto la banda di disperati aveva spostato le attenzioni su di me con minacce e insulti. Io ad alta voce – fingendo che mi fosse stato offerto soccorso – dissi dove eravamo e ringraziai per la sollecitudine. Funziono’. Si spaventarono. Chiesero di scendere e scesero. Io sudavo ancora, stavolta per la paura.
Ero attorniata da nemici. I miei concittadini erano miei nemici. Avevo persino perso il contatto con gli occhi dell’uomo che ora erano persi in un punto verso il basso. Verso il suo quotidiano inferno.
Il gruppo di disperati, cittadini italiani, che un giorno voteranno e costruiranno il futuro, scese e comincio’ a sbattere gli ombrelloni sul vetro del bus che miracolosamente non si ruppe. Ripartimmo. Tutti mi guardarono con disprezzo.
Nessuno mi guardo’ negli occhi.
Sia chiaro che la maggiore responsabilita’ e’ e resta di chi rimase fermo e indifferente. La colpa, la vera colpa e’ di chi mi disse di farmi i “fatti miei”. La miseria e’ di chi non guardo’ negli occhi me o l’uomo colpito e insultato.
Era domenica. Molti di quei viaggiatori, si sarebbero ripuliti e sarebbero andati a Messa a mostrare ai loro connazionali di essere buoni e umani. Loro che non sanno piu’ guardare negli occhi, presi a fissare il colore della pelle o la stoffa di un abito.
Quest’anno sono andata poco al mare. Mi manca la mia Vespa e la solitudine dignitosa del viaggiare senza miseria umana. Senza disperazione.
Eppure non ho smesso di guardare i miei simili negli occhi. Come si fa fra esseri umani
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