Quando ero piccola, mio padre, mentre giocavamo a farmi girare veloce veloce, e io ridevo felice,
mi fece cadere e mi feci male.
Non volle mai più rifare quel gioco con me
Il dolore non lo ricordo. Ricordo la felicita dei miei sorrisi e di quel mondo che girava intorno con me e sembrava ridere con me.
Il dolore della caduta non lo ricordo. Ricordo il dolore di non aver mai rifatto quel gioco. Di non essermi mai piu potuta affidare alle sue mani.
Quando ero piccola, mio padre mi insegno a nuotare. Un giorno un'onda mi strappo' dalle sue mani e io andai sotto, un attimo, forse due. Abbastanza da aver paura. Abbastanza da ricordare la sua mano che mi affero' e mi tiro' su. Nell'aria.
Ci furono altre onde. Andai sotto spesso. Mio padre continuo' ad afferrarmi, con la sua mano forte.
Si cade. Ci si fa male. Si sbatte la faccia sull'asfalto. Si beve acqua salata. Ma ci si rialza.
Passato il dolore, o persino con il dolore ancora addosso, bisogna giocare ancora per non convincersi che quello non sia un gioco.
Avere una mano che ti afferra, a volte e' salvezza.
A volte bisogna accettare di cadere. Da soli. E da soli rialzarsi.
Ma cadere e rialzarsi. Sempre.
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