Le so tutte. Le so tutte le sensazioni che ti avvolgono lo stomaco e il cuore mentre si avvicina la data della partenza. Sono sempre le stesse, da cinque anni e non ti ci abitui. Ti sparpagliano il focus. Ti mettono in disordine l'ordine e fanno delle tue sicurezze uno spettacolo da circo.
Sono felice di andare in Italia, sia chiaro. Non per il paese. Sia chiaro. Che temo di vedere ancora piu' piegato su se' stesso.
La mia voglia di scappare di nuovo ricompare appena metto piede in aeroporto e mi trovo di fronte alla disorganizzazione, alla flemma, ai mezzi di trasporto che non funzionano a quelli che si accendono sigarette dove e' vietato e a quel fare spallucce e dire, se osi dire qualcosa, "tanto non si puo' cambiare".
La mia voglia di essere in Italia scompare appena devo coprire in treno il tratto Roma-Cava dei Tirreni: farei prima a tornare a New York e mandare una cartolina.
Resta pero' la voglia non quantificabile di vedere i miei genitori, riabbracciarli, baciarli, litigare, ridere, discutere e coccolarmeli come cio' che ho di piu' prezioso. Cio' che loro sono. Le mie radici, il mio essere e l'essenza migliore di me.
E amo il mare. Che mi placa. Mi riposa. Mi distende. Mi ricarica. Mi fa danzare pensieri belli al ritmo del suo sospiro. Mi conforta, mi cura, mi difende e mi protegge. Il mare e' la mia medicina e i piedi affondati nella sabbia sono il mio modo di ritornare, ogni volta, a sentire il contatto con il centro dell'universo. Con il centro di me stessa. Con il centro dell'equilibrio e della pazzia che da sempre accompagnano la mia vita.
Pure, pero', sento una mancanza struggente di New York e di Dorothy prima di tutto. Lei e' tutto. E' la mia compagna da 9 anni. La zingara forzata che mi guarda e si fida di me. Che non si e' mai lamentata di case piccole, senza luce, senza aria e con scale da salire. Non si e' mai lamentata di nulla. Mi guarda e si fida di me. E starle lontana per tre settimane mi fa male. Un male tangibile che mi incrina lo sguardo di tanto in tanto.
E mi manca New York e il suo cielo. Quel cielo ancora non conquistato del tutto ma di cui ora sento davvero di far parte. Come un respiro.
Mi manca il cielo di New York. Perche' il cielo di New York mi ha ridato il coraggio di sognare sogni possibili.
Il cielo di New York. Un giorno ci siamo guardati e io ho saputo che ero a casa.
Il cielo di New York. Quello che e' sulla testa di tutti coloro che stanno qui ma che molti non vedono o confondono per un cielo qualsiasi.
Sono felice di andare in Italia, sia chiaro. Non per il paese. Sia chiaro. Che temo di vedere ancora piu' piegato su se' stesso.
La mia voglia di scappare di nuovo ricompare appena metto piede in aeroporto e mi trovo di fronte alla disorganizzazione, alla flemma, ai mezzi di trasporto che non funzionano a quelli che si accendono sigarette dove e' vietato e a quel fare spallucce e dire, se osi dire qualcosa, "tanto non si puo' cambiare".
La mia voglia di essere in Italia scompare appena devo coprire in treno il tratto Roma-Cava dei Tirreni: farei prima a tornare a New York e mandare una cartolina.
Resta pero' la voglia non quantificabile di vedere i miei genitori, riabbracciarli, baciarli, litigare, ridere, discutere e coccolarmeli come cio' che ho di piu' prezioso. Cio' che loro sono. Le mie radici, il mio essere e l'essenza migliore di me.
E amo il mare. Che mi placa. Mi riposa. Mi distende. Mi ricarica. Mi fa danzare pensieri belli al ritmo del suo sospiro. Mi conforta, mi cura, mi difende e mi protegge. Il mare e' la mia medicina e i piedi affondati nella sabbia sono il mio modo di ritornare, ogni volta, a sentire il contatto con il centro dell'universo. Con il centro di me stessa. Con il centro dell'equilibrio e della pazzia che da sempre accompagnano la mia vita.
Pure, pero', sento una mancanza struggente di New York e di Dorothy prima di tutto. Lei e' tutto. E' la mia compagna da 9 anni. La zingara forzata che mi guarda e si fida di me. Che non si e' mai lamentata di case piccole, senza luce, senza aria e con scale da salire. Non si e' mai lamentata di nulla. Mi guarda e si fida di me. E starle lontana per tre settimane mi fa male. Un male tangibile che mi incrina lo sguardo di tanto in tanto.
E mi manca New York e il suo cielo. Quel cielo ancora non conquistato del tutto ma di cui ora sento davvero di far parte. Come un respiro.
Mi manca il cielo di New York. Perche' il cielo di New York mi ha ridato il coraggio di sognare sogni possibili.
Il cielo di New York. Un giorno ci siamo guardati e io ho saputo che ero a casa.
Il cielo di New York. Quello che e' sulla testa di tutti coloro che stanno qui ma che molti non vedono o confondono per un cielo qualsiasi.
1 comment:
Sentimenti contrastanti.
Troverai il Paese esattamente come lo hai lasciato anni fa e come lo hai lasciato lo scorso anno. Con l’unica differenza che non è più al governo il Faraone che comunque trama nel backstage.
Tra i due la differenza sostanziale è che il primo mangiava con le mani mentre l’attuale si serve delle posate. Ma sottraggono il cibo sempre ai soliti. Ergo: è un cambiamento nella forma ma non nella sostanza.
Con un aggravante: adesso anche il capo dello stato (la minuscola è voluta) s’è messo al servizio di lorsignori.
E allora per una momentanea cessazione di questo scempio non ci rimane, per chi può, di affondare piedi in spiaggia e pelle nel mare.
Un segnale di speranza deriva dal fatto che l’indignazione di una buona fetta di cittadini elettori stia salendo, ma al solito ci muoviamo quando stiamo per arrivare davvero alla fame, nel senso letterale del termine.
Ben tornata in Italia, Angela.
Leonardo Sileo
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