Fragole, zucchero e limone. Una coppetta di delizia per stabilire che l'estate era iniziata e che bisognava tirare fuori i pantaloni bianchi e le Superga, e il telo da mare e i sogni. Quelli salati e caldi, fatti di sorrisi, uscite serali a cercare refrigerio e i piedi scalzi sul pavimento fresco.
Fragole, zucchero e limone. Cosi' mia madre annunciava l'arrivo dell'estate e la spiaggia diventava la mia vera e unica casa. Il mio nido. Il mio rifugio. Il mio paradiso in terra.
Da piccola non potevo mangiare le fragole. Mi davano allergia. O, perlomeno, potevano peggiorarne una. Come la cioccolata. In definitiva non mi davano allergia ma essendo un soggetto allergico (ancora oggi qualsiasi cosa, dopo anni di utilizzo senza problemi, mi puo' trasformare in Hulk e mandarmi stesa al pronto soccorso) era consigliato evitarle. Crescevo senza le fragole e le desideravo tanto. Come tutto cio' che non si puo' avere ma che ti dici "un giorno". Per questo amavo quelle coppette che mia madre preparava quando la mia quarantena fini' e fui finalmente ammessa al mondo dei mangiatori del frutto della primavera.
Forse per questo. Forse o forse no. Forse per questo, mi dico, questa storia di me e le fragole e New York ricorre sempre nei miei racconti. Era la mia prima primavera/estate qui e io ero a pezzi. Ero frammentata in talmente tanti pezzi che non mi sentivo nemmeno piu'. Avevo un solo amico (Michael), vivevo lontano da tutto (nel Queens) e soprattutto non avevo soldi ne' lavoro. E non avevo un'idea, una sola idea da dove ricominciare la mia vita. Cosi, quando quel giorno andai dal fruttivendolo all'angolo per consolarmi con le fragole e mi resi conto che costavano troppo per le mie finanze, mi senti' davvero con la vita scappata via. O che voleva scappare via. Andarsene. Lontano. In un posto lontanissimo dove non servono i soldi e non ti fa male il cuore perche' tu ti sei fatta un mazzo ma il tuo paese ti ha massacrato ogni speranza trasformandola in una patetica illusione. Giravo in metropolitana per andare a Central Park a mettere i piedi sull'erba bagnata e mi stendevo a guardare il cielo. A cercare risposte. Mia zia Elena, intanto, mi sussurrava "piccolina, mannaggia al demonio". Me lo disse talmente tante volte senza farmi credere pazza che mi arrivo' fin dentro al ventre. Li' da dove si partorisce la vita.
E mi rimboccai le maniche. Dimenticai cio' che NON avevo e cominciai le mie piccole liste delle cose che VOLEVO. Cominciai, piano piano, a smettere di sentire in italiano e a sentire in newyorchese. Cominciai a pensare che se ti rimbocchi le maniche e ci metti il cuore e il sudore, i sogni non diventano illusioni ma si possono trasformare in realta'.
Non e' facile. Non e' semplice e bisogna essere umili. Tanto umili. E chiedere aiuto. Ma alle persone giuste. A quelli che ti guardano e vedono in te cio' che sei e non i tuoi titoli o il tuo conto in banca o la lista dei tuoi amici famosi. Le "mie" persone hanno avuto tutte un passaporto a stelle e strisce e mi hanno aiutato ad arrivare alle fragole. Quelle fragole infinite che ieri ho finalmente, dopo cinque anni, preparato come le fa la mia mamma e mi sono sentita felice e un po' piu' al sicuro.
Molti mi scrivono in privato. Mi dicono che gli fa bene leggermi perche' la vita e' dura e ingiusta con loro in questo periodo. Ho scritto questa nota per loro. Perche' si sappia che non racconto palle romanzesche per farmi figa. E che questo significa che i sogni non sono illusioni.
Mi porto dentro, a parte la voce di mia zia che mi dice "piccolina, mannaggia al demonio", due tesori di saggezza: "non condividere il tuo dolore con chi non lo puo' capire" (Peppe Lanzetta) e "vai avanti per la tua strada e non ti curare di "loro" (Lino Puccio).
Le fragole sono li'. Per chiunque le voglia davvero.
Fragole, zucchero e limone. Cosi' mia madre annunciava l'arrivo dell'estate e la spiaggia diventava la mia vera e unica casa. Il mio nido. Il mio rifugio. Il mio paradiso in terra.
Da piccola non potevo mangiare le fragole. Mi davano allergia. O, perlomeno, potevano peggiorarne una. Come la cioccolata. In definitiva non mi davano allergia ma essendo un soggetto allergico (ancora oggi qualsiasi cosa, dopo anni di utilizzo senza problemi, mi puo' trasformare in Hulk e mandarmi stesa al pronto soccorso) era consigliato evitarle. Crescevo senza le fragole e le desideravo tanto. Come tutto cio' che non si puo' avere ma che ti dici "un giorno". Per questo amavo quelle coppette che mia madre preparava quando la mia quarantena fini' e fui finalmente ammessa al mondo dei mangiatori del frutto della primavera.
Forse per questo. Forse o forse no. Forse per questo, mi dico, questa storia di me e le fragole e New York ricorre sempre nei miei racconti. Era la mia prima primavera/estate qui e io ero a pezzi. Ero frammentata in talmente tanti pezzi che non mi sentivo nemmeno piu'. Avevo un solo amico (Michael), vivevo lontano da tutto (nel Queens) e soprattutto non avevo soldi ne' lavoro. E non avevo un'idea, una sola idea da dove ricominciare la mia vita. Cosi, quando quel giorno andai dal fruttivendolo all'angolo per consolarmi con le fragole e mi resi conto che costavano troppo per le mie finanze, mi senti' davvero con la vita scappata via. O che voleva scappare via. Andarsene. Lontano. In un posto lontanissimo dove non servono i soldi e non ti fa male il cuore perche' tu ti sei fatta un mazzo ma il tuo paese ti ha massacrato ogni speranza trasformandola in una patetica illusione. Giravo in metropolitana per andare a Central Park a mettere i piedi sull'erba bagnata e mi stendevo a guardare il cielo. A cercare risposte. Mia zia Elena, intanto, mi sussurrava "piccolina, mannaggia al demonio". Me lo disse talmente tante volte senza farmi credere pazza che mi arrivo' fin dentro al ventre. Li' da dove si partorisce la vita.
E mi rimboccai le maniche. Dimenticai cio' che NON avevo e cominciai le mie piccole liste delle cose che VOLEVO. Cominciai, piano piano, a smettere di sentire in italiano e a sentire in newyorchese. Cominciai a pensare che se ti rimbocchi le maniche e ci metti il cuore e il sudore, i sogni non diventano illusioni ma si possono trasformare in realta'.
Non e' facile. Non e' semplice e bisogna essere umili. Tanto umili. E chiedere aiuto. Ma alle persone giuste. A quelli che ti guardano e vedono in te cio' che sei e non i tuoi titoli o il tuo conto in banca o la lista dei tuoi amici famosi. Le "mie" persone hanno avuto tutte un passaporto a stelle e strisce e mi hanno aiutato ad arrivare alle fragole. Quelle fragole infinite che ieri ho finalmente, dopo cinque anni, preparato come le fa la mia mamma e mi sono sentita felice e un po' piu' al sicuro.
Molti mi scrivono in privato. Mi dicono che gli fa bene leggermi perche' la vita e' dura e ingiusta con loro in questo periodo. Ho scritto questa nota per loro. Perche' si sappia che non racconto palle romanzesche per farmi figa. E che questo significa che i sogni non sono illusioni.
Mi porto dentro, a parte la voce di mia zia che mi dice "piccolina, mannaggia al demonio", due tesori di saggezza: "non condividere il tuo dolore con chi non lo puo' capire" (Peppe Lanzetta) e "vai avanti per la tua strada e non ti curare di "loro" (Lino Puccio).
Le fragole sono li'. Per chiunque le voglia davvero.
4 comments:
Adoro le fragole. Ne mangerei in quantità fino a provocarmi mal di pancia. Sarà perché ho voglia di estate?
Nei tuoi post la parola "sogno" trova sempre spazio. Ed è la chiave di volta per trovare il combustibile necessario per continuare questa insidiosa e, proprio per questo, affascinante marcia.
Hai scritto questo post così bene che mi hai fatto venire una voglia matta di fragole, limone e zucchero. E pazienza se non sono i limoni della costiera :-))
Leonardo Sileo
Leggo, rileggo e continuo a commuovermi. E intanto mi ripeto che la posso fare, che ce la farò. Grazie Angela. Di cuore.
Grazie, mi hai risollevato la giornata, così domani sarò carica :)
Un bacione!
Manu
ciao Angela!
che belle parole
anche io vivo a Ny
e condivido con te molti punti 9abbiamo pure intitolato un post allo stesso modo :))
se ti va ti posso aggiungere alla mia lista di gente con fuso!
fammi sapere
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