Cosi placido in quella morte. Come un bimbo addormentato serenamente nella sua culla. Ignaro del resto. Ignaro di noi. Gente di merda. Guardatelo. Non lo uccidete due volte. Guardatelo
Caro Aylan
oggi tutto il mondo parla di te. E tu per un momento non sei un bimbo senza vita. Sei il coltello nelle nostre carni. Per questo molti parlano piu' dell'opportunita' di guardare quella tua ultima foto, che di te bambino, addormentato per sempre senza nemmeno la dolcezza di una ninna nanna.
Se ci fossero piu reporter e foto della guerra dalla quale la tua mamma o il tuo papa' volevano salvarti, forse smetteremmo di accapigliarci su una foto e penseremmo a te. I reporter e i giornalisti esistono per questo: per raccontare con parole e immagini anche la piu' cruda delle realta'. Con frammenti che passano alla storia e ne segnano anche il percorso. Come avremmo spiegato l'orrore dei campi di concentramento senza quelle immagini e quelle parole? O quello della bomba atomica? O degli olocausti africani? No, le foto non cancellano e non cambiano. Ma formano anime e sensibilita'. Portano, non chi ha smarrito l'umanita per sempre, ma noi che ancora possiamo fare qualcosa per questo mondo, a dire "io non ci sto", "io mi vergogno".
Se, dopo essersi asciugati i volti rigati di pianto, per quel tuo sonno eterno, uno solo di noi fara una donazione per aiutarvi, leggera' qualcosa per comprendere di piu', rafforzera' la sua determinazione contro il razzismo e contro il fascismo, beh, allora il tuo sonno senza ninna nanna, non sara' una completa inutile vergogna. E quella foto, di cui discutiamo come fossimo dal parrucchiere a parlare di tradimenti e moda, sara' servita a qualcosa. Non a quelli senza umanita'. Ma a noi che ancora ne abbiamo un po'. A noi che oggi, mentre goffamente proviamo a superare questo dolore (perche' dobbiamo superarlo per pensare ai vivi, perche e' giusto e sacrosanto cosi), allontaneremo un altro fascista dalle nostre vite, un altro giustificalista alla vostra disperazione, un'altra percentualista che spiega che - in fondo - a morire siete comunque in pochi.
Quando ho incontrato - e non lo dimentichero mai - la mamma di Jim Foley, il giornalista sgozzato dall'ISIS e mi ha detto "non guardo mai il video della morte di mio figlio", non ho avuto problemi nel comprendere. E sono con lei. Quelli sono video di "trionfo" di assassini maledetti e senza pieta'. Diffonderli significa celebrarne la potenza. Se mi dici che Jim e' stato sgozzato, io non voglio ammirarti mentre lo fai. Voglio conoscere quel giovane appassionato reporter e celebrarne la vita.
Si fanno paragoni sbagliati, goffi, inopportuni, Aylan, perche', devi capire, e' per noi difficile ammettere di essere corresponsabili di questo dolore. Noi che non vogliamo vedere. Noi che pensiamo sempre che siamo "niente per fare qualcosa". Noi che non riusciamo a vedere che milioni di piccole azioni, milioni di piccole donazioni, milioni di piccoli gesti di isolamento degli inumani, potrebbero davvero, ma davvero aiutare a migliorare questo meraviglioso mondo che tu non hai mai conosciuto.
Caro Aylan, io non sono mamma. Non ho mai voluto esserlo. Non me ne sono mai pentita. Ma non dubito nemmeno per un istante del valore della tua foto. Come di quello delle mie lacrime e di questo dolore che mi opprime. Perche' da ieri, non per te, che sei da tempo in una dimensione in cui nessuno di noi puo' piu farti del male, ma per me, per quella parte umana di me, non di donna, non di mamma, ma di essere umano, io ti tengo immaginariamente fra le braccia e ti cullo in una ninna nanna. Per me. Non per te.
Abbi pieta' di noi e del nostro fracasso. Il mare che ti ha adagiato sulla riva, docile come un dondolio di braccia, in quella posizione fetale, senza nessun segno di dolore, e' stato migliore di noi. Ti ha cullato in questa buonanotte. Con le stelle che stavano a guardare.
Vorrei che queste mie parole fossero ninna nanna per te. Tardiva e goffa. Ma ninna nanna. E che lo fossero per i tuoi fratelli vivi, con un numero marchiato sul braccio. Come bestie. Perche' abbiamo imparato il comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso". E chi e' bestia, sa trattare il prossimo solo come vede se' stesso.
Caro Aylan, c'era tempo fa una bimba con un pantacollant rosa. Poi altri con pannolini inzuppati d'acqua e pance scoperte. Oggi ci sei tu. Io vi canto la mia ninna nanna. A bassa voce. Promettendovi che continuero' a fare cio' che posso. Non per voi. Ma per restare umana.
Caro Aylan
oggi tutto il mondo parla di te. E tu per un momento non sei un bimbo senza vita. Sei il coltello nelle nostre carni. Per questo molti parlano piu' dell'opportunita' di guardare quella tua ultima foto, che di te bambino, addormentato per sempre senza nemmeno la dolcezza di una ninna nanna.
Se ci fossero piu reporter e foto della guerra dalla quale la tua mamma o il tuo papa' volevano salvarti, forse smetteremmo di accapigliarci su una foto e penseremmo a te. I reporter e i giornalisti esistono per questo: per raccontare con parole e immagini anche la piu' cruda delle realta'. Con frammenti che passano alla storia e ne segnano anche il percorso. Come avremmo spiegato l'orrore dei campi di concentramento senza quelle immagini e quelle parole? O quello della bomba atomica? O degli olocausti africani? No, le foto non cancellano e non cambiano. Ma formano anime e sensibilita'. Portano, non chi ha smarrito l'umanita per sempre, ma noi che ancora possiamo fare qualcosa per questo mondo, a dire "io non ci sto", "io mi vergogno".
Se, dopo essersi asciugati i volti rigati di pianto, per quel tuo sonno eterno, uno solo di noi fara una donazione per aiutarvi, leggera' qualcosa per comprendere di piu', rafforzera' la sua determinazione contro il razzismo e contro il fascismo, beh, allora il tuo sonno senza ninna nanna, non sara' una completa inutile vergogna. E quella foto, di cui discutiamo come fossimo dal parrucchiere a parlare di tradimenti e moda, sara' servita a qualcosa. Non a quelli senza umanita'. Ma a noi che ancora ne abbiamo un po'. A noi che oggi, mentre goffamente proviamo a superare questo dolore (perche' dobbiamo superarlo per pensare ai vivi, perche e' giusto e sacrosanto cosi), allontaneremo un altro fascista dalle nostre vite, un altro giustificalista alla vostra disperazione, un'altra percentualista che spiega che - in fondo - a morire siete comunque in pochi.
Quando ho incontrato - e non lo dimentichero mai - la mamma di Jim Foley, il giornalista sgozzato dall'ISIS e mi ha detto "non guardo mai il video della morte di mio figlio", non ho avuto problemi nel comprendere. E sono con lei. Quelli sono video di "trionfo" di assassini maledetti e senza pieta'. Diffonderli significa celebrarne la potenza. Se mi dici che Jim e' stato sgozzato, io non voglio ammirarti mentre lo fai. Voglio conoscere quel giovane appassionato reporter e celebrarne la vita.
Si fanno paragoni sbagliati, goffi, inopportuni, Aylan, perche', devi capire, e' per noi difficile ammettere di essere corresponsabili di questo dolore. Noi che non vogliamo vedere. Noi che pensiamo sempre che siamo "niente per fare qualcosa". Noi che non riusciamo a vedere che milioni di piccole azioni, milioni di piccole donazioni, milioni di piccoli gesti di isolamento degli inumani, potrebbero davvero, ma davvero aiutare a migliorare questo meraviglioso mondo che tu non hai mai conosciuto.
Caro Aylan, io non sono mamma. Non ho mai voluto esserlo. Non me ne sono mai pentita. Ma non dubito nemmeno per un istante del valore della tua foto. Come di quello delle mie lacrime e di questo dolore che mi opprime. Perche' da ieri, non per te, che sei da tempo in una dimensione in cui nessuno di noi puo' piu farti del male, ma per me, per quella parte umana di me, non di donna, non di mamma, ma di essere umano, io ti tengo immaginariamente fra le braccia e ti cullo in una ninna nanna. Per me. Non per te.
Abbi pieta' di noi e del nostro fracasso. Il mare che ti ha adagiato sulla riva, docile come un dondolio di braccia, in quella posizione fetale, senza nessun segno di dolore, e' stato migliore di noi. Ti ha cullato in questa buonanotte. Con le stelle che stavano a guardare.
Vorrei che queste mie parole fossero ninna nanna per te. Tardiva e goffa. Ma ninna nanna. E che lo fossero per i tuoi fratelli vivi, con un numero marchiato sul braccio. Come bestie. Perche' abbiamo imparato il comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso". E chi e' bestia, sa trattare il prossimo solo come vede se' stesso.
Caro Aylan, c'era tempo fa una bimba con un pantacollant rosa. Poi altri con pannolini inzuppati d'acqua e pance scoperte. Oggi ci sei tu. Io vi canto la mia ninna nanna. A bassa voce. Promettendovi che continuero' a fare cio' che posso. Non per voi. Ma per restare umana.