A leggerla cosi, quella data, sembra 9 novembre. E forse sarebbe sembrato meno doloroso. Un giorno, magari piovoso, di novembre, con foglie gialle che cadono intorno e l'attesa spasmodica del giorno del Ringraziamento, per partire, ritrovarsi, abbracciarsi, riposarsi.
Novembre sembra un mese piu' adatto al lutto o al cupo dolore.
Ma non ci fu nulla di "adatto" nel "9/11" - in quel cielo incredibilmente azzurro attraversato da due schegge impazzite che si conficcano dentro due grattacieli, simbolo di questa citta'. Un cielo incredibilmente azzurro che per giorni i newyorchesi non videro piu', oscurato dalle nubi di povere e di tragedia, in giornate di silenzi irreali interrotti solo dalle sirene dei vigili del fuoco, da allora, piu che mai, gli angeli protettori di questa meravigliosa terra.
Ricordo il mio cuore perdere un sospiro, gli occhi velarsi di lacrime e il dolore. Un dolore forte interrotto a tratti solo dalla preoccupazione per gli amici che qui stavano, vivevano, sorridevano. Con la sola colpa di essere a New York.
Per anni ho cercato, quasi a punirmi di non essere stata qui in quel giorno, racconti, ricordi, immagini e storie di chi invece c'era. Di chi dalla finestra di casa vedeva la polvere e sentiva il dolore di una tragedia immensa.
No, non e' che dimentico Salvator Allende. Quel giorno a casa mia vidi mio padre piangere. Non dimentico mai le volte in cui ho visto mio padre piangere. Ero una bambina e lui piangeva per qualcuno che nemmeno conoscevamo. Ci doveva essere una ragione. E c'era.
No, non dimentico gli errori e le brutture che spesso questa mia terra, questa mia nuova casa compie e di cui si macchia.
No, non dimentico ogni altro morto innocente che sotto le bombe, o sotto il peso della poverta' delle torture dell'ingiustizia o dei rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi, ogni giorno ingiustamente muore.
No. Non dimentico
Ma questa e' casa mia e me ne hanno tolto un pezzo. Per sempre. Un pezzo di memorie. Un pezzo di innocenza. Un pezzo di spensieratezza. Un pezzo di ingenuo ma meraviglioso e ottimistico senso di sicurezza e invincibilita'.
E quei tremila nomi, letti e riletti, nomi di ebrei, musulmani, italiani, indiani, nomi di persone innocenti, sono ogni volta tremila lancinanti atti di dolore.
E vorrei abbracciare la mia citta'. Il suo coraggio. La sua indistruttibile voglia di vivere. La sua dignita' e il suo dolore mai diventato rabbia. Mai diventato odio.
No. Non dimentico l'altrui dolore e l'altrui disperazione che e' anche sempre la mia. Ma lasciatemi dolere, senza inutili retoriche, per l'11 settembre di casa mia. Per i miei morti fratelli e sorelle che in quelle torri stavano lavorando, magari pensando al mutuo da pagare. Magari sognando di fare un viaggio in Italia. Lascetemi stare i miei morti. Almeno oggi. Non odiate New York. Almeno oggi, tacete.
Novembre sembra un mese piu' adatto al lutto o al cupo dolore.
Ma non ci fu nulla di "adatto" nel "9/11" - in quel cielo incredibilmente azzurro attraversato da due schegge impazzite che si conficcano dentro due grattacieli, simbolo di questa citta'. Un cielo incredibilmente azzurro che per giorni i newyorchesi non videro piu', oscurato dalle nubi di povere e di tragedia, in giornate di silenzi irreali interrotti solo dalle sirene dei vigili del fuoco, da allora, piu che mai, gli angeli protettori di questa meravigliosa terra.
Ricordo il mio cuore perdere un sospiro, gli occhi velarsi di lacrime e il dolore. Un dolore forte interrotto a tratti solo dalla preoccupazione per gli amici che qui stavano, vivevano, sorridevano. Con la sola colpa di essere a New York.
Per anni ho cercato, quasi a punirmi di non essere stata qui in quel giorno, racconti, ricordi, immagini e storie di chi invece c'era. Di chi dalla finestra di casa vedeva la polvere e sentiva il dolore di una tragedia immensa.
No, non e' che dimentico Salvator Allende. Quel giorno a casa mia vidi mio padre piangere. Non dimentico mai le volte in cui ho visto mio padre piangere. Ero una bambina e lui piangeva per qualcuno che nemmeno conoscevamo. Ci doveva essere una ragione. E c'era.
No, non dimentico gli errori e le brutture che spesso questa mia terra, questa mia nuova casa compie e di cui si macchia.
No, non dimentico ogni altro morto innocente che sotto le bombe, o sotto il peso della poverta' delle torture dell'ingiustizia o dei rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi, ogni giorno ingiustamente muore.
No. Non dimentico
Ma questa e' casa mia e me ne hanno tolto un pezzo. Per sempre. Un pezzo di memorie. Un pezzo di innocenza. Un pezzo di spensieratezza. Un pezzo di ingenuo ma meraviglioso e ottimistico senso di sicurezza e invincibilita'.
E quei tremila nomi, letti e riletti, nomi di ebrei, musulmani, italiani, indiani, nomi di persone innocenti, sono ogni volta tremila lancinanti atti di dolore.
E vorrei abbracciare la mia citta'. Il suo coraggio. La sua indistruttibile voglia di vivere. La sua dignita' e il suo dolore mai diventato rabbia. Mai diventato odio.
No. Non dimentico l'altrui dolore e l'altrui disperazione che e' anche sempre la mia. Ma lasciatemi dolere, senza inutili retoriche, per l'11 settembre di casa mia. Per i miei morti fratelli e sorelle che in quelle torri stavano lavorando, magari pensando al mutuo da pagare. Magari sognando di fare un viaggio in Italia. Lascetemi stare i miei morti. Almeno oggi. Non odiate New York. Almeno oggi, tacete.