Sette anni fa arrivavo a casa. Ma non sapevo ancora che fosse casa mia. Ero a pezzi e ancora vedo i segni di tutti i cocci rimessi insieme. Alcuni sono ancora fragili. Eppure sono di nuovo intera. In piedi. Schiena dritta. E di fronte a me c'e' il New Jersey, perché sono a casa. Perché i sogni non hanno di fronte l'infinito, ma qualcosa che somiglia al New Jersey, qualcosa che sa di realtà. E tu ci sei di fronte.
“Ore 23.30. Il rullo dei bagagli gira a vuoto. Il mio bagaglio non
c’e’. Benvenuta in America, Angela. “Tanto domani torno a casa”, mi dico mentre
un nodo mi stringe la gola e lo stomaco. Voglio vomitare ma non posso, devo
parlare con la tizia dell’ufficio “persi e ritrovati” per il mio bagaglio.
Intanto, io mi sento solo persa e non so se li’, oltre al mio bagaglio,
potranno ritrovare anche me. Non credo, la tizia e’ annoiata e detesta ripetere
le cose, ma a quest’ora il mio inglese e’ rimasto indietro, insieme a tutta una
vita vissuta e improvvisamente abbandonata. Il tassista mi chiede l’indirizzo,
glielo dico e mi chiede che strada fare. Gli rispondo che scelga lui, tanto e’
tardi e non c’e’ traffico. Il fatto e’ che non ho assolutamente idea di dove sia
Jackson Heights, ne’ il Queens. Fosse per me, potrebbe portarmi anche
all’inferno e non me ne accorgerei. Anzi, penso di esserci gia’ all’inferno e
la cosa pazzesca e’ che mi ci sono cacciata con le mie mani. La casa e’ bella e
grande. Troppo grande, per consolare la mia paura. Quella paura che sarebbe
diventata la mia migliore amica: paura di non farcela, paura di non avere i
soldi per sopravvivere, paura della legge che non conosco, paura delle cose che
non capisco, paura di morire di notte per strada e nessuno se ne accorgerebbe,
paura di aver scelto disperatamente di vivere e di poter morire per questo. Sul
tavolino, nel soggiorno c’e’ un libro: “My father’s dream”, di Barack Obama. Ho
sentito parlare di questo senatore che vuole candidarsi alla presidenza degli
Stati Uniti e di quanto tutto cio’ sia considerato folle. Prendo il libro per
sfogliarlo e intanto penso a mio padre e al suo sogno giusto di vecchio
comunista: di un mondo giusto, di persone giuste e di figli che se fanno la
cosa giusta saranno felici. Penso a mio padre e mia madre, li ho appena
chiamati al telefono per dirgli che sono arrivata e che sto bene. Odio mentire
ai miei genitori ma non posso dirgli che mi sento morire e che ho paura e
voglio tornare a casa. Non posso. Allora ingoio le lacrime che, pero’,
maledettamente continuano a scendere e mi sforzo di leggere qualche pagina…
stavo facendo la conoscenza di Barack Obama, il futuro presidente degli Stati
Uniti e l’uomo che in qualche modo mi avrebbe salvato la vita”.