Alle 4 del mattino, puntuali, come in ogni ritorno vissuto negli ultimi sei anni, gli occhi si aprono. Mi ci vogliono alcuni minuti per comprendere dove sono. Quale casa. Quale letto. Nel buio, che qualche luce lasciata accesa nell'edificio di fronte, schiarisce leggermente, riconosco la figura di Dorothy che dorme di fianco al divano dove io sono crollata, quando per me erano le 4.30 del mattino ma per New York solo le 22.30.
So che provare a riaddormentarmi sarebbe inutile. In fondo e' sabato e dopo pranzo potro' concedermi una "pennica", tanto per provare a riequilibrare.
Preparo il caffe'. Mi mancano mia madre e mio padre che mi aspettano in cucina in religioso silenzio prima di organizzare, appena mi vedono fare capolino dalla porta, una colazione che sembrano due.
Di tutto, del mare, del cibo, del sole, delle pause, del bidet, degli amici, mi mancano loro. Vorrei potessero venire qui, vedere dove sono, percorrere le mie strade, guardare i miei cieli, calpestare le mie aiuole e sentirsi piu' sereni. Questa e' l'unica ragione per cui penso sarei dovuta venire prima a NY, per la gioventu' di tutti e di tutto.
Quando ho lasciato l'Italia, molti non capivano. La crisi "sembrava" lontana. La rabbia di tutti ancor piu' sopita in una domenica di calcio o in un acquisto di mercato. Ero pazza. Sembravo pazza. E il bello e' che lo pensavo anche io. Ma non riuscivo piu' a resistere a quella forza dentro che mi diceva, vai, vai, vai, meriti la tua felicita'. Ora in tanti mi chiedono aiuto, consigli, supporto per trasferirsi. Cerco di rispondere a tutti. Agli amici, con piu' dettagli. Agli sconosciuti, come posso. Ho imparato anche che uno sconosciuto non puo' diventare amico solo perche' ha bisogno di te. E tu di ridare un po' di quell'aiuto che in tanti ti hanno regalato (solo americani). Noi italiani, leggevo ieri, non uccidiamo i padri ma i fratelli, come Romolo e Remo, ed e' vero. Abbiamo difficolta' a fare squadra, a sostenerci, aiutarci senza che prevalga quell'atteggiamento di diffidenza o di voglia di "prendere smodatamente senza dare nulla in cambio" giustificando i nostri gesti con la frase "sono stato sempre sfortunato". Belli i miei fratelli yankee, come bambini sempre pronti a fare squadra per vincere una partita e senza nemmeno l'idea di cosa siano parole come "fortuna" e "sfortuna".
Quando sono arrivata qui, dicevo, ero "spaesata" - S-PAESATA. Senza paese. Ora, ne ho due. O forse piu. Solo che quello da dove arrivo non ha orgoglio, non ha speranza, non ha fiducia in se' stesso. Fa spallucce e dice, continuamente, stancamente, atrocemente "ma l'Italia e' cosi". La rassegnazione che ho avvertito questa volta e' stata la peggiore degli ultimi sei anni. Rassegnazione piu' che rabbia. Questa la nostra condanna. Pensare che non si possa cambiare, rivoluzionare, stravolgere e risorgere come il paese che potremmo essere.
All'aeroporto di Milano, citta' che amo molto, non riuscivo a collegarmi ad internet per inviare un articolo. Sono andata alla sala Vip (avevo provato gia' con Lufthansa) senza averne diritto ma chiedendo un miracolo: che mi facessero stare li' il tempo di inviare un articolo. Due impiegate Alitalia, con sorrisi e gentilezza, sebbene prima titubanti, mi hanno fatto sedere, scrivere, e quando le ho ringraziate mi hanno detto che potevo restare e prendere qualcosa al bar. "In questi tempi, soprattutto con la crisi, il lavoro e' sacro" mi ha detto una di loro quando sono andata a salutare prima di imbarcarmi. Nonostante tutto, nonostante tutti, sono salita in aereo ancora piu' convinta che, se ne fossimo sicuri noi, potremmo cambiare e dare punti a tantissimi altri.
A JFK la fila gia solitamente lunga per l'immigrazione che odio, non ha funzionato e cosi' - da prima - sono passata ultima. Perche' le cazzate le fanno ovunque una volta tanto. Solo che non diventano abitudine o modo di agire come da noi. La gente si incazza e allora si chiede scusa.
Sono le 5.21. Il primo caffe' della giornata e' andato. Dorothy e' tornata a dormire. La citta' e' silenziosa e il sole non e' ancora spuntato. In Italia starei preparando la borsa per il mare con mia madre che mi dice "ma non ti porti nulla per pranzo?" e papa' "non dimenticarti il tesserino e i biglietti dell'autobus".
Non esiste ricerca di felicita' senza un prezzo da pagare. La felicita' sono istanti. Singoli. Unici. Che poi velocemente passano in attesa dei prossimi.
So che provare a riaddormentarmi sarebbe inutile. In fondo e' sabato e dopo pranzo potro' concedermi una "pennica", tanto per provare a riequilibrare.
Preparo il caffe'. Mi mancano mia madre e mio padre che mi aspettano in cucina in religioso silenzio prima di organizzare, appena mi vedono fare capolino dalla porta, una colazione che sembrano due.
Di tutto, del mare, del cibo, del sole, delle pause, del bidet, degli amici, mi mancano loro. Vorrei potessero venire qui, vedere dove sono, percorrere le mie strade, guardare i miei cieli, calpestare le mie aiuole e sentirsi piu' sereni. Questa e' l'unica ragione per cui penso sarei dovuta venire prima a NY, per la gioventu' di tutti e di tutto.
Quando ho lasciato l'Italia, molti non capivano. La crisi "sembrava" lontana. La rabbia di tutti ancor piu' sopita in una domenica di calcio o in un acquisto di mercato. Ero pazza. Sembravo pazza. E il bello e' che lo pensavo anche io. Ma non riuscivo piu' a resistere a quella forza dentro che mi diceva, vai, vai, vai, meriti la tua felicita'. Ora in tanti mi chiedono aiuto, consigli, supporto per trasferirsi. Cerco di rispondere a tutti. Agli amici, con piu' dettagli. Agli sconosciuti, come posso. Ho imparato anche che uno sconosciuto non puo' diventare amico solo perche' ha bisogno di te. E tu di ridare un po' di quell'aiuto che in tanti ti hanno regalato (solo americani). Noi italiani, leggevo ieri, non uccidiamo i padri ma i fratelli, come Romolo e Remo, ed e' vero. Abbiamo difficolta' a fare squadra, a sostenerci, aiutarci senza che prevalga quell'atteggiamento di diffidenza o di voglia di "prendere smodatamente senza dare nulla in cambio" giustificando i nostri gesti con la frase "sono stato sempre sfortunato". Belli i miei fratelli yankee, come bambini sempre pronti a fare squadra per vincere una partita e senza nemmeno l'idea di cosa siano parole come "fortuna" e "sfortuna".
Quando sono arrivata qui, dicevo, ero "spaesata" - S-PAESATA. Senza paese. Ora, ne ho due. O forse piu. Solo che quello da dove arrivo non ha orgoglio, non ha speranza, non ha fiducia in se' stesso. Fa spallucce e dice, continuamente, stancamente, atrocemente "ma l'Italia e' cosi". La rassegnazione che ho avvertito questa volta e' stata la peggiore degli ultimi sei anni. Rassegnazione piu' che rabbia. Questa la nostra condanna. Pensare che non si possa cambiare, rivoluzionare, stravolgere e risorgere come il paese che potremmo essere.
All'aeroporto di Milano, citta' che amo molto, non riuscivo a collegarmi ad internet per inviare un articolo. Sono andata alla sala Vip (avevo provato gia' con Lufthansa) senza averne diritto ma chiedendo un miracolo: che mi facessero stare li' il tempo di inviare un articolo. Due impiegate Alitalia, con sorrisi e gentilezza, sebbene prima titubanti, mi hanno fatto sedere, scrivere, e quando le ho ringraziate mi hanno detto che potevo restare e prendere qualcosa al bar. "In questi tempi, soprattutto con la crisi, il lavoro e' sacro" mi ha detto una di loro quando sono andata a salutare prima di imbarcarmi. Nonostante tutto, nonostante tutti, sono salita in aereo ancora piu' convinta che, se ne fossimo sicuri noi, potremmo cambiare e dare punti a tantissimi altri.
A JFK la fila gia solitamente lunga per l'immigrazione che odio, non ha funzionato e cosi' - da prima - sono passata ultima. Perche' le cazzate le fanno ovunque una volta tanto. Solo che non diventano abitudine o modo di agire come da noi. La gente si incazza e allora si chiede scusa.
Sono le 5.21. Il primo caffe' della giornata e' andato. Dorothy e' tornata a dormire. La citta' e' silenziosa e il sole non e' ancora spuntato. In Italia starei preparando la borsa per il mare con mia madre che mi dice "ma non ti porti nulla per pranzo?" e papa' "non dimenticarti il tesserino e i biglietti dell'autobus".
Non esiste ricerca di felicita' senza un prezzo da pagare. La felicita' sono istanti. Singoli. Unici. Che poi velocemente passano in attesa dei prossimi.