La luce del mattino arriva troppo presto in estate. Eppure quando apro gli occhi e, dalle veneziane tirate su a meta', per lasciare le finestre aperte, vedo i palazzi che mi circondano, l'immagine familiare di questo quartiere che amo ancor piu' di quanto ami la stessa citta', un sorriso mi distende il viso.
Se sono fortunata, voltandomi dall'altro lato, nel soggiorno, stesa placidamente sul tappeto, vedo Dorothy dormire. A volte sogna, muove le zampe come se corresse. La guarderei per ore. Da dieci anni e' al mio fianco, paziente e fondamentale. Come l'aria.
Questi minuti che mi concedo, pochi in effetti, prima di alzarmi, solitamente mentre fuori e' ancora quasi silenzio e pochi camminano in strada, con in mano gli immancabili bicchieri di caffe' o cappuccino, sono cruciali per il resto della giornata. Danno forza alle gambe, sollievo alla mente e energia al cuore. E mi trasformano, come da sei anni a questa parte, nella guerriera che ho imparato ad essere.
Ho creduto per anni di essere ottimista. Non lo ero. Perche' non ero coraggiosa. Avevo paura di tutto e la paura mi imponeva di non fare mai un passo diverso dal percorso che mi appariva piu' familiare, anche se tortuoso, anche se doloroso, anche se minaccioso. Un passetto dopo l'altro con l'illusione di andare avanti, mentre invece, piu' spesso giravo in circolo.
Non ero ottimista ma, per fortuna, ero attaccata alla vita come una disperata. Come una che sente che non deve perdersela perche', cavoli, se capisco come ci si gioca, e' proprio una figata.
Per sei anni, ogni settimana, mi sono seduta di fronte ad una donna, la mia analista, che a volte odiavo con tutte le mie forze perche' mi faceva male, senza accorgermi che, invece, lei mi aiutava solo, quel male, a vomitarlo. Quando ci siamo salutate, per la prima e unica volta, mi ha abbracciata. Le devo parte di me. Le devo avermi aiutata a ridisegnare una mappa del mio animo turbolento per riuscire a trovarmi.
Eppure quando sono arrivata qui, sei anni fa, ancora non ero ottimista. Perche' ero stata coraggiosa ma senza saperlo. Senza avere il coraggio di dirmelo perche', in Italia, mi avevano insegnato che il coraggio e' peccaminoso e prima o poi viene punito. Se non hai gli amici giusti.
La mia storia, che spesso ho raccontato e racconto quando parlo in pubblico o mi intervistano e' che a salvarmi e' stato Barack Obama e quel libro "l'audacia della speranza" trovato su quel tavolino, al mio arrivo, quando la disperazione dell'ignoto mi aveva sopraffatto, gettandomi nella disperazione.
Ma Barack Obama e' arrivato dopo sei anni in cui Chiara (la mia analista) aveva, con dolore, puntellato tutte le mie travi portanti perche' reggessero all'impatto con il vivere. E New York era arrivata dopo Chiara e dopo Barack.
Eppure non ero ancora ottimista. Finche un giorno Ginny, dopo l'ennesima lamentela, mi disse "devi smetterla di essere cosi' italiana, smetti di essere cosi' drammatica e sii ottimista".
E' stata dura esserlo quando non avevo nemmeno i soldi per un cestino di fragole. Quando sono morte persone care e non avevo i soldi per un biglietto aereo. Quando, in una stanza dove vivevo, che qui chiamano casa, mi sono trovata con topi e scarafaggi (i miei incubi). Quando, senza soldi ne' garanzie, mi sono trovata a vivere ad Harlem, in una strada dove si preparava e vendeva il crac, ad un angolo c'era l'ufficio che distribuiva i buoni pasto per i poveri e all'altro un negozio di liquori dove quegli stessi poveri andavano ad ubriacarsi. Una mattina ho visto una donna morta a terra. La vedevo sempre ubriaca alle 8 di mattina. Mi chiedevo sempre quanti anni avesse. E' stato difficile essere ottimista, quando la paura di finire allo stesso modo ti devastava. Allora aprivo gli occhi al mattino e le lacrime scendevano. Senza sforzo alcuno. Preferivo starmene nel lato di quel corridoio che chiamavano casa, senza luce e senza finestre, per fingermi di essere altrove.
Comprendere che si e' coraggiosi e, dunque, scoprirsi ottimisti e' cosa dura. Non accade naturalmente. Non se quel coraggio non lo metti alla prova e ti aiuta a venire fuori dal buio. Non se puoi evitare di andare ad Harlem perche' batti cassa da qualcuno che ti firma un assegno e ti permette di continuare a vivere senza vivere.
Quando ho lasciato Harlem e sono arrivata in questo palazzo, mi sono seduta sulla mia poltroncina di Ikea, e mi sono guardata intorno per ore. Non avevo nulla, nemmeno un tavolo. Solo il letto. Ma io e Dorothy eravamo finalmente a casa e finalmente ottimiste.
Da allora sono iniziate le foto allo specchio e i sorrisi e il sentirsi bella e anche - perche' no - brava. Ero nata. E dopo tutto quel dolore, ne ero immensamente felice.
Sorrido sempre? No. A volte mi incazzo. A volte sono annichilita dagli eventi come quando ho scoperto che qualcuno che credevo amico, aveva solo abusato del mio coraggio e del mio ottimismo per pagarsi il proprio "sfizio" con il mio sudore, persino deridendomi per quello.
Ci sono intoppi e inciampi Ci sono giorni no e giorni stanchi. Ci sono i gironi delle paure cattive e poi quelli dei soldi che scarseggiano come sempre e non sai da dove arrivera' la boccata d'aria
Ma prima di tutto ora c'e' un gesto. Il gesto dell'ottimismo e del coraggio: mi rimbocco le maniche perche' so che li', in quel gesto, c'e' la salvezza. E in un rossetto rosso fuoco che mi serve a non passare inosservata perche' chi e' coraggioso non si perde mai tra la folla.
Se sono fortunata, voltandomi dall'altro lato, nel soggiorno, stesa placidamente sul tappeto, vedo Dorothy dormire. A volte sogna, muove le zampe come se corresse. La guarderei per ore. Da dieci anni e' al mio fianco, paziente e fondamentale. Come l'aria.
Questi minuti che mi concedo, pochi in effetti, prima di alzarmi, solitamente mentre fuori e' ancora quasi silenzio e pochi camminano in strada, con in mano gli immancabili bicchieri di caffe' o cappuccino, sono cruciali per il resto della giornata. Danno forza alle gambe, sollievo alla mente e energia al cuore. E mi trasformano, come da sei anni a questa parte, nella guerriera che ho imparato ad essere.
Ho creduto per anni di essere ottimista. Non lo ero. Perche' non ero coraggiosa. Avevo paura di tutto e la paura mi imponeva di non fare mai un passo diverso dal percorso che mi appariva piu' familiare, anche se tortuoso, anche se doloroso, anche se minaccioso. Un passetto dopo l'altro con l'illusione di andare avanti, mentre invece, piu' spesso giravo in circolo.
Non ero ottimista ma, per fortuna, ero attaccata alla vita come una disperata. Come una che sente che non deve perdersela perche', cavoli, se capisco come ci si gioca, e' proprio una figata.
Per sei anni, ogni settimana, mi sono seduta di fronte ad una donna, la mia analista, che a volte odiavo con tutte le mie forze perche' mi faceva male, senza accorgermi che, invece, lei mi aiutava solo, quel male, a vomitarlo. Quando ci siamo salutate, per la prima e unica volta, mi ha abbracciata. Le devo parte di me. Le devo avermi aiutata a ridisegnare una mappa del mio animo turbolento per riuscire a trovarmi.
Eppure quando sono arrivata qui, sei anni fa, ancora non ero ottimista. Perche' ero stata coraggiosa ma senza saperlo. Senza avere il coraggio di dirmelo perche', in Italia, mi avevano insegnato che il coraggio e' peccaminoso e prima o poi viene punito. Se non hai gli amici giusti.
La mia storia, che spesso ho raccontato e racconto quando parlo in pubblico o mi intervistano e' che a salvarmi e' stato Barack Obama e quel libro "l'audacia della speranza" trovato su quel tavolino, al mio arrivo, quando la disperazione dell'ignoto mi aveva sopraffatto, gettandomi nella disperazione.
Ma Barack Obama e' arrivato dopo sei anni in cui Chiara (la mia analista) aveva, con dolore, puntellato tutte le mie travi portanti perche' reggessero all'impatto con il vivere. E New York era arrivata dopo Chiara e dopo Barack.
Eppure non ero ancora ottimista. Finche un giorno Ginny, dopo l'ennesima lamentela, mi disse "devi smetterla di essere cosi' italiana, smetti di essere cosi' drammatica e sii ottimista".
E' stata dura esserlo quando non avevo nemmeno i soldi per un cestino di fragole. Quando sono morte persone care e non avevo i soldi per un biglietto aereo. Quando, in una stanza dove vivevo, che qui chiamano casa, mi sono trovata con topi e scarafaggi (i miei incubi). Quando, senza soldi ne' garanzie, mi sono trovata a vivere ad Harlem, in una strada dove si preparava e vendeva il crac, ad un angolo c'era l'ufficio che distribuiva i buoni pasto per i poveri e all'altro un negozio di liquori dove quegli stessi poveri andavano ad ubriacarsi. Una mattina ho visto una donna morta a terra. La vedevo sempre ubriaca alle 8 di mattina. Mi chiedevo sempre quanti anni avesse. E' stato difficile essere ottimista, quando la paura di finire allo stesso modo ti devastava. Allora aprivo gli occhi al mattino e le lacrime scendevano. Senza sforzo alcuno. Preferivo starmene nel lato di quel corridoio che chiamavano casa, senza luce e senza finestre, per fingermi di essere altrove.
Comprendere che si e' coraggiosi e, dunque, scoprirsi ottimisti e' cosa dura. Non accade naturalmente. Non se quel coraggio non lo metti alla prova e ti aiuta a venire fuori dal buio. Non se puoi evitare di andare ad Harlem perche' batti cassa da qualcuno che ti firma un assegno e ti permette di continuare a vivere senza vivere.
Quando ho lasciato Harlem e sono arrivata in questo palazzo, mi sono seduta sulla mia poltroncina di Ikea, e mi sono guardata intorno per ore. Non avevo nulla, nemmeno un tavolo. Solo il letto. Ma io e Dorothy eravamo finalmente a casa e finalmente ottimiste.
Da allora sono iniziate le foto allo specchio e i sorrisi e il sentirsi bella e anche - perche' no - brava. Ero nata. E dopo tutto quel dolore, ne ero immensamente felice.
Sorrido sempre? No. A volte mi incazzo. A volte sono annichilita dagli eventi come quando ho scoperto che qualcuno che credevo amico, aveva solo abusato del mio coraggio e del mio ottimismo per pagarsi il proprio "sfizio" con il mio sudore, persino deridendomi per quello.
Ci sono intoppi e inciampi Ci sono giorni no e giorni stanchi. Ci sono i gironi delle paure cattive e poi quelli dei soldi che scarseggiano come sempre e non sai da dove arrivera' la boccata d'aria
Ma prima di tutto ora c'e' un gesto. Il gesto dell'ottimismo e del coraggio: mi rimbocco le maniche perche' so che li', in quel gesto, c'e' la salvezza. E in un rossetto rosso fuoco che mi serve a non passare inosservata perche' chi e' coraggioso non si perde mai tra la folla.