one day, I finally decided that I wanted to be happy. And I moved to New York, with few stuff and the love of my life: Dorothy. My journey is still amazingly challenging but I learnt that I am unstoppable. And everybody should be the same.
Wednesday, May 29, 2013
Friday, May 10, 2013
Wednesday, May 8, 2013
Ombrelli
Ero sotto un'impalcatura di un palazzo, stanca e bagnata fradicia e non riuscivo a muovermi per proseguire e bagnarmi ancora
Un uomo mi e' passato accanto con un ombrello, mi ha guardata e mi ha detto "dove vai? ti accompagno io".
L'ho seguito d'istinto. Ero cosi' stanca e lui cosi' gentile. Abbiamo camminato e parlato e alla fine avevo un sorriso che l'acqua non era riuscita a far scivolare via.
In sei anni mi sono fermata molte volte sotto un'impalcatura, incapace di muovermi, paralizzata dalla paura, infreddolita e stanca.
Ogni volta ho trovato qualcuno che mi ha preso per mano e mi ha accompagnato, 'solo due blocchi piu' in la' "
Ricordo ciascuno di quei volti. Ogni ombrello, ogni mano, ogni spalla, ogni dollaro, ogni pasto, ogni sorriso, ogni silenzio. Ricordo.
E ricordo che ho avuto il coraggio di seguire quegli ombrelli, quelle mani, quelle spalle.
Il coraggio della disperazione. Il coraggio dell'ottimismo.
Un uomo mi e' passato accanto con un ombrello, mi ha guardata e mi ha detto "dove vai? ti accompagno io".
L'ho seguito d'istinto. Ero cosi' stanca e lui cosi' gentile. Abbiamo camminato e parlato e alla fine avevo un sorriso che l'acqua non era riuscita a far scivolare via.
In sei anni mi sono fermata molte volte sotto un'impalcatura, incapace di muovermi, paralizzata dalla paura, infreddolita e stanca.
Ogni volta ho trovato qualcuno che mi ha preso per mano e mi ha accompagnato, 'solo due blocchi piu' in la' "
Ricordo ciascuno di quei volti. Ogni ombrello, ogni mano, ogni spalla, ogni dollaro, ogni pasto, ogni sorriso, ogni silenzio. Ricordo.
E ricordo che ho avuto il coraggio di seguire quegli ombrelli, quelle mani, quelle spalle.
Il coraggio della disperazione. Il coraggio dell'ottimismo.
Wednesday, May 1, 2013
America the beautiful
Ieri, come sanno molti di quelli che seguono il delirio dei miei status di Facebook, ho capito in maniera ancora piu' chiara quanto questo paese mi sia entrato nel sangue. Quanto lo consideri casa, tana, rifugio e, insieme, trampolino dal quale saltare, magari per non arrivare in nessun luogo, ma potersi librare felice e leggera nel cielo. Da viva. Senza prima dover morire.
Mentre camminavo a passo svelto lungo una spettacolare Park Avenue, completamente lastricata di tulipani dai colori lussureggianti, alle mie orecchie sono arrivate le note di "America the beautiful" cantata da Ray Charles. Non e' l'inno americano ma molti lo vorrebbero come tale. Tanto che - ascoltandolo - a volte - gli viene spontaneo - mettersi la mano sul cuore. Quanto ho deriso io stessa quel gesto cosi' "drammatico". Quel gesto che ora mi viene spontaneo persino quando sento Fratelli d'Italia.
Ho molto amato l'Italia. E' la mia patria e lo sara' per sempre. Quando la "fustigo" e' per il dolore che mi da' vederla ridotta cosi'. Vorrei si rialzasse, in uno scatto d'orgoglio che non arriva mai. Perche' noi italiani, che mai ci mettiamo quella mano sul cuore, in fondo non la amiamo per nulla. La "difendiamo" per dovere, per strascichi di quel retaggio fascista che ci obbliga ad essere "patrioti" o "anti patrioti" a seconda del lato della storia di cui si e' deciso di far parte.
Quando mi sono allontanata, ho capito che chi amavo poco, molto poco erano moltissimi dei miei concittadini e non il mio paese. Si capisce da come ne parlo quando ne parlo con gli americani. Mi ascoltano e prenotano un viaggio. Soprattutto a Napoli.
Eppure noi siamo una razza strana, difficile, presuntuosa senza ragione, serva senza orgoglio, privata del sentire profondo di concetti altissimi quale liberta', democrazia e dignita'. Tutto cio' che ci limitiamo a fare - facendolo da maestri - e' di criticare gli altri. Sappiamo a memoria, per filo e per segno cosa non va negli altri paesi - tanto per giustificare le nostre miserie. Quasi mai, anzi mai, ho sentito un americano insultarci come noi facciamo con loro. Eppure molti americani sono ebrei e noi - in un tempo non molto lontano - li abbiamo allegramente condotti nei lager per farli morire in maniera disumana. Noi italiani.
E quando non abbiamo fiele verso gli altri lo abbiamo verso chi ci governa. Sempre. In maniera qualunquista e becera tanto da essere stati capaci per un ventennio di avere Mussolini, di avere Craxi, di avere Berlusconi e ora di esserci trovati come "alternativa" ancora piu' qualunquista, becera, volgare e inopportuna, un comico miliardario che incita alla violenza e alla distruzione delle istituzioni.
Mentre scrivo gia' mi viene l'ansia. Provo, dunque, il piu' profondo rispetto per chi ha scelto di restare e tutto cio' continua a viverlo sulla propria pelle. Per anni ho evitato i mie connazionali in blocco. Ora ho aperto le porte a quelli con i quali sono in sintonia perche' - naturalmente - il mio atteggiamento era sbagliato sebbene necessario.
Ieri, pero', ascoltando "America the beautiful" mi sono commossa. Perche' questa ora - sebbene non posso ancora chiamarla patria - e' casa mia. Qui io sono libera. Di sognare e avere aspirazioni. Basterebbe questo. Ma poi ci sono tramonti che ti tolgono il fiato, vastita' in cui perdersi, tutte le razze del mondo in pochi metri quadrati, autobus e treni puntuali, regole, a volte insopportabili, ma regole. Spesso, ho paura della mia fragilita'. Sono fragile perche' sto costruendo un piccolo castello tutto da sola. E qui ci sono gli uragani. Sono fragile. Per questo, ancora, subisco, con dolore, gli attacchi dell'irriconoscenza, della miseria d'animo, dell'indifferenza, quando mi arrivano. Soprattutto quando mi arrivano da vicino. Forti e ben calibrati. In quei momenti il castello trema come in un terremoto, le ossa fanno male e la paura mi pesa sul cuore e mi blocca il respiro.
Sono momenti. Quelli che mi servono a costruire la mia forza e a rinsaldare il mio amore per questa casa. Questa casa che mi tiene, mi avvolge, mi spinge a guardare in alto, verso il cielo, sempre. Sempre. Sempre. Sempre mi ricorda che posso volare. Ma non come Icaro con ali pronte a sciogliersi al sole. Come Angela Vitaliano, nipote di Arcangela che votava "in alto a sinistra" e Vitaliano di cognome, una famiglia di quegli italiani non servi, non schiavi, non miseri e che hanno sempre saputo guardare al blu del cielo e che per arrivarci, hanno iniziato rimboccandosi le maniche
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