Ieri sera ho comprato l'albero. Un metro e 70. Grasso ;) L'ho chiamato Benjamin. Do un nome a tutte le cose che mi circondano e che hanno vita. Ne volevo uno finto naturalmente ma costava troppo e gia' Benjamin mi e' costato quasi quanto il paio di stivali che ora non comprero'. Ma non importa. Intorno a me deve essere Natale, come lo e' dentro di me.
Questo periodo dell'anno e' stato per me il piu' difficile da affrontare appena trasferita. Ricordo il primo Natale, solo il primo, in cui mi ritrovai da sola, con Dorothy, un freddo che ti spezzava i denti e un tavolo a ristorante senza compagnia (di solito mi piace mangiare da sola). Giurai che non sarebbe successo piu'. E finora ho mantenuto la mia parola con me stessa e con Dorothy.
Ieri sera lei guardava me trafficare intorno a Beniamino, aggiustarlo, mettergli l'acqua e si e' messa vicina vicina per sentirne l'odore. Fino a febbraio tutto cio' che si sentira' in giro sara' odore di resina e boschi.
Quando ero piccola ho avuto dei Natali epocali. come quelli dei film. Ne ricordo i sorrisi, le lacrime, i tavoli affollati, le voci che si sovrapponevano, mia nonna a capotavola (alla faccia di tutti i beceri maschilismi) un po' silenziosa a guardarci rincorrendo chissa' quali pensieri, le cantate, le processioni di noi piccoli in giro per la casa con il bambinello fra le mani, tu scendi dalle stelle, castagne dimenticate nel forno, finocchi gia' finiti prima del pranzo, calzoncini di cioccolata e castagne e dormire con le mie cugine e pandoro nel latte al mattino e revisione di tutti i regali... sono stata buona pensavo.... sono stata buona e mi sembrava che non mi mancasse nient'altro che avere i capelli lunghi. Non desideravo altro. Forse nemmeno quello.
Se oggi sono forte nella mia debolezza e capace di un sorriso anche con il cuore pesante e' merito di quei Natali. Di quel "Lucarie' scetete" visto e rivisto mille volte, della stanza dei "maschi" che giocavano a poker, del cinema di tutti i cugini insieme il giorno di Natale, dei racconti di zia Elena, le mattine buie e fredde in cui andava a lavorare alle cotoniere mentre le sue amiche facevano le bamboline di porcellana, truccate e benvestite, di noi in piedi sulle sedie, anno dopo anno, a recitar poesie e poi in giro a baciare e raccogliere soldi e i vestiti nuovi e le scarpe belle e il cappottino ereditato dalla cugina piu' grande perche' tutto non si puo'. E papa' che aveva sempre il turno di notte e doveva mangiare presto e andarsene e a noi tutti dispiaceva tanto ma lui, comunista, non ha mai preso un solo giorno di ferie o di malattia durante le vacanze. Non potro' mai smettere di essere comunista perche' per me e' sinonimo di persona perbene. Come mio padre.
Amo Natale come avessi ancora sei anni e i capelli corti e gli occhi che vogliono conoscere risposte inaccessibili. Lo amo persino nella sua malinconia di non essere piu' lo stesso perche' cio' che amo e' che io l'ho avuto e ora sta a me perpetuarne la bellezza, l'incanto, la leggerezza momentanea dagli affanni del vivere.
Da dieci giorni non scrivo quasi piu'. Sapevo sarebbe accaduto. Chiuso il sipario sulle elezioni americane sarei tornata ad essere un pezzo di lacerto in macelleria. Mi manca da morire. Mi sveglio senza trovare quelle mail che mi hanno costretto a scrivere ovunque, persino seduta a terra davanti al bagno di Starbucks e ho le lacrime negli occhi. Certo perche' non sapro' poi come pagare i miei conti ma anche e soprattutto perche' mi manca il rumore di questa tastiera che sembra conoscermi piu' di quanto io conosca me stessa perche' mi racconta. Come ho gia' detto.
E, ieri, nella mia tristezza che ho provato a nascondere, ma poi e' emersa facendomi rinchiudere come se fossi una lumachina, nel mio guscio, il piu' affettuoso abbraccio mi e' arrivato da una mia amica che amo molto e che mi ha detto "supereremo insieme questi brutti momenti che stiamo affrontando". Lei ha 32 anni e il cancro. E l'amore con cui mi ha detto questa cosa non mi ha fatto vergognare di me stessa ma solo venir voglia di prenderle la mano e andare con lei in un bosco ad urlare. Ma poi mi ha detto, vedendo la foto di Beniamino, che quello era tutto cio' che il dottore aveva ordinato.
E' vero.
Nel silenzio di una mattina di fine novembre che attende la neve, io lascio queste lacrime scendere senza interrompere l'assenza di suoni. Quando usciro' da questa stanza, aprendo la porta, vedro' Beniamino, ne sentiro' il profumo e vedro' Dorothy stesa li' vicino. E sapro' che la mia vita, come avrebbe detto zia Elena, e' meravigliosa. Perche' sgualcita come un fazzoletto messo malamente in una tasca dopo esserti asciugata le gote da un pianto. E' sgualcita come tutto cio' che e' meraviglioso dovrebbe essere. Perche' in una piega, poi, ritrovi sempre un pezzo di vita attaccato.
Questo periodo dell'anno e' stato per me il piu' difficile da affrontare appena trasferita. Ricordo il primo Natale, solo il primo, in cui mi ritrovai da sola, con Dorothy, un freddo che ti spezzava i denti e un tavolo a ristorante senza compagnia (di solito mi piace mangiare da sola). Giurai che non sarebbe successo piu'. E finora ho mantenuto la mia parola con me stessa e con Dorothy.
Ieri sera lei guardava me trafficare intorno a Beniamino, aggiustarlo, mettergli l'acqua e si e' messa vicina vicina per sentirne l'odore. Fino a febbraio tutto cio' che si sentira' in giro sara' odore di resina e boschi.
Quando ero piccola ho avuto dei Natali epocali. come quelli dei film. Ne ricordo i sorrisi, le lacrime, i tavoli affollati, le voci che si sovrapponevano, mia nonna a capotavola (alla faccia di tutti i beceri maschilismi) un po' silenziosa a guardarci rincorrendo chissa' quali pensieri, le cantate, le processioni di noi piccoli in giro per la casa con il bambinello fra le mani, tu scendi dalle stelle, castagne dimenticate nel forno, finocchi gia' finiti prima del pranzo, calzoncini di cioccolata e castagne e dormire con le mie cugine e pandoro nel latte al mattino e revisione di tutti i regali... sono stata buona pensavo.... sono stata buona e mi sembrava che non mi mancasse nient'altro che avere i capelli lunghi. Non desideravo altro. Forse nemmeno quello.
Se oggi sono forte nella mia debolezza e capace di un sorriso anche con il cuore pesante e' merito di quei Natali. Di quel "Lucarie' scetete" visto e rivisto mille volte, della stanza dei "maschi" che giocavano a poker, del cinema di tutti i cugini insieme il giorno di Natale, dei racconti di zia Elena, le mattine buie e fredde in cui andava a lavorare alle cotoniere mentre le sue amiche facevano le bamboline di porcellana, truccate e benvestite, di noi in piedi sulle sedie, anno dopo anno, a recitar poesie e poi in giro a baciare e raccogliere soldi e i vestiti nuovi e le scarpe belle e il cappottino ereditato dalla cugina piu' grande perche' tutto non si puo'. E papa' che aveva sempre il turno di notte e doveva mangiare presto e andarsene e a noi tutti dispiaceva tanto ma lui, comunista, non ha mai preso un solo giorno di ferie o di malattia durante le vacanze. Non potro' mai smettere di essere comunista perche' per me e' sinonimo di persona perbene. Come mio padre.
Amo Natale come avessi ancora sei anni e i capelli corti e gli occhi che vogliono conoscere risposte inaccessibili. Lo amo persino nella sua malinconia di non essere piu' lo stesso perche' cio' che amo e' che io l'ho avuto e ora sta a me perpetuarne la bellezza, l'incanto, la leggerezza momentanea dagli affanni del vivere.
Da dieci giorni non scrivo quasi piu'. Sapevo sarebbe accaduto. Chiuso il sipario sulle elezioni americane sarei tornata ad essere un pezzo di lacerto in macelleria. Mi manca da morire. Mi sveglio senza trovare quelle mail che mi hanno costretto a scrivere ovunque, persino seduta a terra davanti al bagno di Starbucks e ho le lacrime negli occhi. Certo perche' non sapro' poi come pagare i miei conti ma anche e soprattutto perche' mi manca il rumore di questa tastiera che sembra conoscermi piu' di quanto io conosca me stessa perche' mi racconta. Come ho gia' detto.
E, ieri, nella mia tristezza che ho provato a nascondere, ma poi e' emersa facendomi rinchiudere come se fossi una lumachina, nel mio guscio, il piu' affettuoso abbraccio mi e' arrivato da una mia amica che amo molto e che mi ha detto "supereremo insieme questi brutti momenti che stiamo affrontando". Lei ha 32 anni e il cancro. E l'amore con cui mi ha detto questa cosa non mi ha fatto vergognare di me stessa ma solo venir voglia di prenderle la mano e andare con lei in un bosco ad urlare. Ma poi mi ha detto, vedendo la foto di Beniamino, che quello era tutto cio' che il dottore aveva ordinato.
E' vero.
Nel silenzio di una mattina di fine novembre che attende la neve, io lascio queste lacrime scendere senza interrompere l'assenza di suoni. Quando usciro' da questa stanza, aprendo la porta, vedro' Beniamino, ne sentiro' il profumo e vedro' Dorothy stesa li' vicino. E sapro' che la mia vita, come avrebbe detto zia Elena, e' meravigliosa. Perche' sgualcita come un fazzoletto messo malamente in una tasca dopo esserti asciugata le gote da un pianto. E' sgualcita come tutto cio' che e' meraviglioso dovrebbe essere. Perche' in una piega, poi, ritrovi sempre un pezzo di vita attaccato.