Carissime
vi scrivo stamane, mentre sorseggio il mio amato espresso, perche' sento di dovervi delle spiegazioni. A voi che so capirete, finalmente, cio' che mi agita spesso l'anima e mi fa perdere la pazienza.
Io vi amo. Di un amore assoluto e insostituibile. Ero piccina quando i miei genitori mi portarono per la prima volta a Firenze per trovarmi di fronte alla perfezione dell'arte e della bellezza. E Genova, la citta' del cuore; Bologna, la citta' dei sensi; Torino, la citta' della raffinatezza; Milano, la citta' della modernita', Venezia, la citta' del languore; Palermo, la citta' della luce; Perugia, la citta' dolce; Siena, la citta' rotonda e via via, lungo una lista infinita che non troverebbe spazio qui. Fatta di piccoli paesini, quartieri, frazioni distanti, remoti anfratti. L'Italia della pura meraviglia. Quando e' stato creato l'Universo, l'Italia deve essere stata creata per ultima perche' si riconosce la maestria del tocco, la bravura dell'esperienza, la perfezione dello stile.
Penso a te, Napoli. Quando parlo di te e come se parlassi dell'amore della mia vita. Io risento il vento sul viso. Rivedo ogni angolo di mare che piano piano si rivela agli occhi mentre si scende a piedi da Posillipo. La piu' bella passeggiata dell'universo. Riprovo il senso di forza ed energia che mi prendeva quando da San Martino, ti guardavo dolente, adagiata serena, come una lucertola a farsi sanare le ferite dal sole. Ricordo gli odori dei vicoli, il vociare e l'ammasso di corpi umani che si toccano mentre scivolano lungo i Decumani, invasi di aromi di pizze fritte e taralli. E Palazzo Giusso, la mia gloriosa Universita'. Le discese di Sant'Antonio che facevo con la Vespa quando volevo smettere di aver paura dei piani inclinati (che ancora mi spaventano). Il riflesso del mare che ti accecava quando dall'alto di via Tasso ti ci immergevi con gli occhi socchiusi come una ferita sul volto di una drammatica Butterfly.
Quanto io t'ami non si puo' capire. Lo sanno (senza necessita' di capirlo) solo coloro che da questa passione si sono lasciati possedere senza ribellarsi, senza cura per i pericoli, senza timore per le ombre.
Napoli, sei dentro di me come la mia famiglia, i miei amici e gli intestini, le ossa e il sangue che scorre. E tu, Italia, sei la mia lingua magistrale, ricca, stupenda, musicale, fatta di congiuntivi sempre piu' appannaggio di un' elite privilegiata. L'Italiano e' la lingua della vita. Nessun "I love you" puo' nemmeno entrare in partita con un "Ti amo".
A bilanciare tanta oscena bellezza, pero', mie carissime, ci sono gli italiani. Spocchiosi, arroganti, disonesti, presuntuosi, egoisti, ignavi, disonesti, invidiosi, accattoni, lazzari, superficiali, indifferenti, ignoranti, usurpatori e privi di memoria. E lo so, lo so che non sono tutti cosi'. Ci mancherebbe. E forse sono addirittura una minoranza, ma una minoranza che governa, impone, agisce, si fa conoscere, detiene il potere, sporca, infanga e parla male di tutti gli altri.
Questi italiani, che non sono solo quelli che ci governano, hanno fatto di te, Italia, un paese dove non esiste rispetto del merito, del diritto, della legge. Non esiste cura di quelle bellezze di cui sopra. Non esiste speranza. Non esiste orgoglio (la presunzione non e' orgoglio). Non esiste italianita'.
Ieri sera un collega al quale raccontavo che mi avevano copiato di sana pianta un articolo pubblicandolo altrove mi ha detto, con tono allarmato, "non lo dire, queste cose non si dicono". Italiani. Gentaglia mafiosa.
Cara Italia, cara Napoli. Volevo che sapeste che io sono vostra e lo saro' per sempre ma non sono "loro" e non lo saro' mai piu' perche' loro vi offendono e vi sputano in faccia ogni giorno. Con un sorrisetto scemo sulla faccia. Quello dei perdenti che si credono di governare il mondo.