E' il motto dei veterani "la liberta' non e' gratis".
Forse per questo ne abbiamo poca in Italia e non ce ne accorgiamo. Perche' non ne abbiamo mai imparato il prezzo pensando dovesse esserci sempre qualcuno a regalarcela per farcela, magari, buttare di nuovo in fondo alla spazzatura. Siamo stati un paese poche volte libero. A volte liberato per essere piu' schiavo di prima. Quest'assenza di sapienza rispetto al prezzo della liberta' credo sia uno dei nostri mali peggiori.
Insieme ad un acuto senso di superiorita' che ci fa credere sempre i migliori al mondo. E quando siamo proprio generosi, ci fa vedere noi cosi' cosi', ma gli altri davvero uno schifo.
Ieri, un italiano, di quelli radical chic sputava sentenze su New York e su tutto cio' che riguardava questa citta'. Dove era stato qualche volta, di passaggio. E' come se io domani volessi fare il chirurgo perche' ho visto tutte le serie di ER e ora guardo Dr. House. Essendo poi quella persona di "sinistra" , mi e' stato chiaro perche' continueremo a prendere delle batoste elettorali non da poco.
Ma se non fosse abbastanza chiaro, in questi giorni sono capitati altri eventi a ricordarmelo. Lo squallore legato alla morte di Pietro Taricone per il quale sembrava indegno dispiacersi ma, ovviamente, anche non dispiacersi. A me se uno di 35 anni che sembrava "fulminato" d'amore per la vita, sebbene in maniere diverse dalla mia, muore tragicamente, mi spiace. Credo si tratti di una semplice reazione umana. Non penso al significato "politico o filosofico" di quel dispiacere. Mia nonna, piu' invecchiava e piu' soffriva ad ogni morte che arrivava prima della sua, soprattutto se di uno giovane. Era il senso di "ingiustizia" che le si rivelava e che sebbene non potesse cambiare, la disturbava. Mi "disturba" umanamente la morte di chi e' giovane. Inutile dire che mi disturba di piu' se avviene in una miniera o in un cantiere edilizio dove non vengono nemmneo rispettate le misure di sicurezza. Comunque in un paese che non riesce nemmeno a mettersi d'accordo sul fatto se Cassano avrebbe salvato i mondiali o no e se Balotelli e' piu' stronzo che bravo, non c'e' da stupirsi se la morte di Taricone abbia dato via al circo. Ma che in questo circo, ancora una volta ci fosse l'incantatore di serpenti, Saviano, a dare il suo ricordo, beh e' un po' troppo. Innanzitutto pare che i due non siano stati in classe insieme. Ma poi, che cosa hanno in comune? Pure Pino Daniele e Peppe Lanzetta sono andati al Diaz ma questo non ne fa i migliori amici di Pietro... E soprattutto, ci rendiamo conto che questa noiosissima sovraesposizione di Saviano, che interviene pure sul fuorigioco del gol dell'argentina, depotenzia completamente l'effetto positivo che il suo libro poteva aver avuto??? Ci rendiamo conto che "adorare" Saviano non significa automaticamente "combattere" la mafia o dichiararsi contro? La liberta' non e' gratis e non costa il prezzo di un best seller venduto in tutto il mondo ma molto molto di piu'.
Intanto il presidente del Consiglio gira il mondo brillando in batture volgari e squallide sulle quali non ho sentito alzarsi (ancora una volta) una sola voce indignata da parte di quelle signore che pero' non smettono un minuto di reclamare le pari opportunita' (di fare i cavoli loro) e quanto tutto sarebbe bello e meglio con una donna. Stronzate. una donna puo' essere una rovina come un uomo. E se non dimostra qualita' non dovrebbe andare da nessuna parte (come un uomo certo). E quando dico qualita' non intendo quelle delle misure fisiche. Ma le porcherie del presidente degli italiani cadono nel vuoto (a parte un qualche "sdegno" espresso sui social network). Perche' la liberta' non e' gratuita ma costa sudore, che rovina la messimpiega e scioglie il trucco. Meglio il silenzio.
Per concludere, una manciata di sindaci leghisti, durante la commemorazione di un anno della nascita della provincia di Monza si sono tolti la fascia tricolore e si sono dileguati durante l'inno nazionale. Siccome l'Italia e', sulla carta, un paese libero, uno puo' fare cio' che gli pare ma alla fine del mese lo stipendio gli corrisponde a zero euro perche' la sua moneta non circola in ITALIA e quindi non ne abbiamo per il suo cospicuo assegno. Ma ancora la rabbia assordante nella mia testa corrisponde ad un silenzio altrettanto assordante di chi dovrebbe mandare queste persone in risaia, visto che tanto amano la Padania. Ma la liberta' non e' gratis, come sanno coloro che per quella fascia tricolore, ci piaccia o no, hanno perso la vita.
Oggi nella posta c'era una lettera che arrivava da un signore che si chiama Barack Obama. All'interno un certificato che ricorda il passaggio della riforma sanitaria e che dice "noi" abbiamo permesso... sotto a sinistra, la firma del presidente, a destra la mia. Lo so che puo' sembrare stupido ma io mi sono emozionata. Perche' io c'ero e ho assistito alla battaglia di un uomo che, per onorare sua madre morta di cancro e di preoccupazione, ha mantenuto fede ad una promessa fatta e che non avvantaggia se' stesso o la sua famiglia (che godono ovviamnete della migliore assistenza sanitaria) ma una tonnellata di americani e no, che altrimenti non possono nemmeno curarsi l'influenza.
Io sono fra quelli e quindi orgogliosa che il paese che mi ospita, in breve, grazie al presidente Obama, sara' finalmente un paese migliore. La liberta' non e' gratis, costa la fatica dei sogni di chi ha creduto in un paese molto imperfetto ma che include la felicita' nei diritti costituzionali. Obama ha creduto di essere libero ed ha potuto liberare il suo paese ancora un po'. Anche se la liberta' costa.
Domani devo pagare l'affitto e mancano trecento dollari. La liberta' costa. Ricordatelo a quelli che vi dicono che ci vuole ottimismo. Ridetegli in faccia. Perche' non ci vuole ottimismo. Ci vuole liberta'. Anche se costa.
one day, I finally decided that I wanted to be happy. And I moved to New York, with few stuff and the love of my life: Dorothy. My journey is still amazingly challenging but I learnt that I am unstoppable. And everybody should be the same.
Wednesday, June 30, 2010
Monday, June 28, 2010
e di una normale giornata di caldo
Sono giorni di caldo, di quello umido che, una delle pochissime cose, odio a New York. Ci siamo svegliati stamane (parlo berlusconianamente con il plurare) alle 7.30 con 28 gradi e un tasso di umidita' 95%. Scrivere fa fatica, come pensare e muoversi.
Ma continuo stoicamente a rifiutare l'aria condizionata. Che fa tanto americano. Forse per questo continueranno a non darmi la desiderata "green card". Sinceramente detesto questa avversione americana alla traspirazione. Sembra che sudare sia un peccato (capisco quando e' abbinato ad una puzza insopportabile, ma non e' sempre cosi'). Capisco che il caldo sia micidiale ma a casa, che chiamo casa per simpatia ma e' una stanza, ho un ventilatore girevole e domani me ne installano uno di quelli a soffitto, un deumidificatore e le finestre aperte... Insomma non sono proprio in un forno. Eppure so che molti non metteranno piede qui fino al prossimo Ringraziamento perche' intolleranti al caldo. Non sopporto l'intolleranza (accidenti, sono intollerante all'intolleranza) alle cose "naturali". Il caldo, il freddo, la pioggia ecc. Possono piacere o non piacere, e lo capisco ma trasformare le proprie case in igloo perche' la natura di un isola in mezzo al mare e' quella di essere umida, mi sembra esagerato. In piu' io con l'aria condizionata a palla mi ammalo dopo 10 secondi. Cosi' devo sempre andare in giro con una maglia e un foulard...
Stamattina poi, alle 9, ero gia' all'Apple Store. Ho percorso i 10 minuti che mi separano dal negozio, con un top scollato, pantaloni di cotone leggerissimi e sandali. Dorothy al guinzaglio arrancava, Entrambe avevamo le visioni e vedevamo Berlusconi intento a spazzare le strade della citta' con il suo capo che gli faceva un cicchetto perche' provava a barare.
Appena entrate all'Apple Store, sono stata ricoperta da una sottile coltre di neve. Dopo dieci minuti, giacchino infilato e abbottonato, ho avuto la visione di Steve Jobs che allenava gli Azzurri; dopo venti minuti, gli azzurri battevano la slovacchia 63 a 4 (4 autogol di Cannavaro per la gioia di chi lo ha messo in croce). Dopo un'ora avevo gli occhi stile giapponese, una fessura praticamente, nel tentativo di proteggere le pupille che ormai riproducevano scene "moralmente inopportune" (tipo: l'Italia senza Berlusconi, Bossi in Africa a pulire le case dei ex immigrati diventati miliardari, quello odioso ex radicale e ex tutto, praticamente una puttana, di cui pero' non mi ricordo il nome, ma avete capito perche' e' troppo odioso, lui a leccare il petrolio che la BP non riesce a togliere). Quando sono uscita, fra la gioia per il computer che funzionava e il congelamento arrivato al ginocchio, mi sono sentita leggera leggera.
La verita' e' che appena il cervello e' riuscito a rompere il ghiaccio e rifraternizzare con il resto del mio corpo, mi ha fatto pensare che, aria condizionata a parte, io amo troppo questa citta'. Al Genius Bar della Apple, dopo una serie di riparazioni (gratuire) ieri mi hanno cambiato l'hard drive e tutti i pezzi della carrozzeria: tastiera e video. Totale costo della riparazione 217$. Senza garanzia (scaduta) Totale costo pagato dalla sottoscritta: 0 dollari. La Apple ha gentilmento coperto tutte le spese perche' il problema era "persistente" e il computer non presentava segni di "cattiva manutenzione".
Io non so se cio' sia possibile in Italia. E quindi non faccio paragoni. Ma qui e' cosi. E quando ieri sera sono tornata a casa e non sono riuscita a ricaricarmi tutti i dati dalla memoria esterna e sono andata in panico, mi hanno detto che potevo andare all'Apple Store della Quinta strada a qualsiasi ora durante la notte e mi avrebbero sistemato tutto.
Ho aspettato le 9 del mattino perche', a volte, mi dico che uno non deve diventare troppo viziato ad avere TUTTO. E ho voluto far finta di essere in una citta' qualsiasi che la notte DORME.
New York, si dice, e' come una droga. Quando vivi qui, non ne sai fare a meno. Non so. Io so che la amo con tutta me stessa. Ma a volte per piccole cose: amo le banche aperte dalle 8.30 alle 7 (alcune 24 ore su 24, sette giorni su sette) e cosi' non ho MAI fatto la fila; amo il fatto che i negozi (TUTTI) mettano fuori una tazza con l'acqua per i cani (soprattutto in estate); che per usare una toilette (9 volte su 10) non sei costretto a prenderti un caffe' che non vuoi; che entri nei negozi e ti giri intorno, ti misuri cento cose e non ne prendi una e nessuno ti guarda con sguardo arcigno.
Amo New York. E vorrei vivere qui come un americano fa. Con tutte le opportunita', molte delle quali a me sono negate.
Amo New York, nonostante l'aria condizionata e i topi.
La amo tanto perche' ha sapore di liberta' e di civilta'. Ha sapore di buono. Quello che le nostre meravigliose citta' sembrano aver da tempo dimenticato.
Ma continuo stoicamente a rifiutare l'aria condizionata. Che fa tanto americano. Forse per questo continueranno a non darmi la desiderata "green card". Sinceramente detesto questa avversione americana alla traspirazione. Sembra che sudare sia un peccato (capisco quando e' abbinato ad una puzza insopportabile, ma non e' sempre cosi'). Capisco che il caldo sia micidiale ma a casa, che chiamo casa per simpatia ma e' una stanza, ho un ventilatore girevole e domani me ne installano uno di quelli a soffitto, un deumidificatore e le finestre aperte... Insomma non sono proprio in un forno. Eppure so che molti non metteranno piede qui fino al prossimo Ringraziamento perche' intolleranti al caldo. Non sopporto l'intolleranza (accidenti, sono intollerante all'intolleranza) alle cose "naturali". Il caldo, il freddo, la pioggia ecc. Possono piacere o non piacere, e lo capisco ma trasformare le proprie case in igloo perche' la natura di un isola in mezzo al mare e' quella di essere umida, mi sembra esagerato. In piu' io con l'aria condizionata a palla mi ammalo dopo 10 secondi. Cosi' devo sempre andare in giro con una maglia e un foulard...
Stamattina poi, alle 9, ero gia' all'Apple Store. Ho percorso i 10 minuti che mi separano dal negozio, con un top scollato, pantaloni di cotone leggerissimi e sandali. Dorothy al guinzaglio arrancava, Entrambe avevamo le visioni e vedevamo Berlusconi intento a spazzare le strade della citta' con il suo capo che gli faceva un cicchetto perche' provava a barare.
Appena entrate all'Apple Store, sono stata ricoperta da una sottile coltre di neve. Dopo dieci minuti, giacchino infilato e abbottonato, ho avuto la visione di Steve Jobs che allenava gli Azzurri; dopo venti minuti, gli azzurri battevano la slovacchia 63 a 4 (4 autogol di Cannavaro per la gioia di chi lo ha messo in croce). Dopo un'ora avevo gli occhi stile giapponese, una fessura praticamente, nel tentativo di proteggere le pupille che ormai riproducevano scene "moralmente inopportune" (tipo: l'Italia senza Berlusconi, Bossi in Africa a pulire le case dei ex immigrati diventati miliardari, quello odioso ex radicale e ex tutto, praticamente una puttana, di cui pero' non mi ricordo il nome, ma avete capito perche' e' troppo odioso, lui a leccare il petrolio che la BP non riesce a togliere). Quando sono uscita, fra la gioia per il computer che funzionava e il congelamento arrivato al ginocchio, mi sono sentita leggera leggera.
La verita' e' che appena il cervello e' riuscito a rompere il ghiaccio e rifraternizzare con il resto del mio corpo, mi ha fatto pensare che, aria condizionata a parte, io amo troppo questa citta'. Al Genius Bar della Apple, dopo una serie di riparazioni (gratuire) ieri mi hanno cambiato l'hard drive e tutti i pezzi della carrozzeria: tastiera e video. Totale costo della riparazione 217$. Senza garanzia (scaduta) Totale costo pagato dalla sottoscritta: 0 dollari. La Apple ha gentilmento coperto tutte le spese perche' il problema era "persistente" e il computer non presentava segni di "cattiva manutenzione".
Io non so se cio' sia possibile in Italia. E quindi non faccio paragoni. Ma qui e' cosi. E quando ieri sera sono tornata a casa e non sono riuscita a ricaricarmi tutti i dati dalla memoria esterna e sono andata in panico, mi hanno detto che potevo andare all'Apple Store della Quinta strada a qualsiasi ora durante la notte e mi avrebbero sistemato tutto.
Ho aspettato le 9 del mattino perche', a volte, mi dico che uno non deve diventare troppo viziato ad avere TUTTO. E ho voluto far finta di essere in una citta' qualsiasi che la notte DORME.
New York, si dice, e' come una droga. Quando vivi qui, non ne sai fare a meno. Non so. Io so che la amo con tutta me stessa. Ma a volte per piccole cose: amo le banche aperte dalle 8.30 alle 7 (alcune 24 ore su 24, sette giorni su sette) e cosi' non ho MAI fatto la fila; amo il fatto che i negozi (TUTTI) mettano fuori una tazza con l'acqua per i cani (soprattutto in estate); che per usare una toilette (9 volte su 10) non sei costretto a prenderti un caffe' che non vuoi; che entri nei negozi e ti giri intorno, ti misuri cento cose e non ne prendi una e nessuno ti guarda con sguardo arcigno.
Amo New York. E vorrei vivere qui come un americano fa. Con tutte le opportunita', molte delle quali a me sono negate.
Amo New York, nonostante l'aria condizionata e i topi.
La amo tanto perche' ha sapore di liberta' e di civilta'. Ha sapore di buono. Quello che le nostre meravigliose citta' sembrano aver da tempo dimenticato.
Thursday, June 24, 2010
L'Italia che (se ne) va
Ho riguardato, senza alcun intendo masochista, un po' di video dello scorso mondiale, quello in cui "we are the champions".
Nessuna mia parola potrebbe essere altrettanto rappresentativa che "la foto del giorno" del New York Times, con due immagini di Fabio, quella vincente del 2006 e quella a testa bassa di oggi. In entrambe, lacrime negli occhi. Ma dal sapore cosi' diverso.
Ho sofferto a vedere l'Italia uscire cosi. Sebbene meritatamente. E so che i calciatori sono strapagati, viziati e idolatrati come se fossero tutti dei Premi Nobel e che, comunque, da domani, se ne andranno in vacanza con le loro barchette in qualche bel posto.
La verita', almeno secondo me, e' che i calciatori sono strapagati SEMPRE. E sempre in maniera disgustosa e offensiva nei confronti di tutti coloro che buttano sudore sui libri prima e in un ufficio/fabbrica dopo. La verita' e' che lo sdegno degli italiani dovrebbe oggi essere per Pomigliano, per la legge bavaglio e per un paese che e' sempre piu' l'ombra di se' stesso. Ma non e' cosi'.
Lo sdegno e' oggi per quegli 11 (o 22) che sabato torneranno a casa con la coda fra le gambe, consci di aver fatto una figura di merda di quelle epocali. Eppure oggi il sito di Repubblica, che pure io consulto continuamente e ritengo di ottimo livello, ha mantenuto per tutta la giornata la notizia della disfatta, mentre intorno succedevano altre 4 o 5 catastrofi decisamente piu' importanti. Ieri, nel pieno di due bufere, la destituzione del generale McChrystal e il riacutizzarsi della perdita di petrolio, anche l'Huffington Post ha dato l'apertura all'impresa dei ragazzi a stelle e strisce, con quel gol al 90 di Donovan. Per 15 minuti, forse 20, il sito ha titolato con un grande "GOOOOOOOOOOOOLLLLLLLLL" che poi e' diventata seconda notizia, poi terza, poi una delle tante. Il paese in cui vivo, fa dello sport e del suo marketing un'impresa da milioni di dollari. Nonostante tutto, in nessun campo, nemmeno nel football o nel baseball, ho visto mai gli "estremismi" che ho visto (e condiviso, perche' no) in Italia.
Quegli 11 ragazzi in mutande, da oggi ancor piu' in mutande, che senza ragione alcuna, se non la follia di chi continua a trattarli come degli eroi (e per un Cannavaro affondato oggi ce ne sara' un altro da strapagare domani), sono capaci di tenere tutta l'attenzione e di smuovere davvero gli animi, a me fanno, a distanza di quasi 24 ore, un'infinita tenerezza. E non mi sento di dirgli vergogna. Certo, che affrontino cio' che deve venire: perdita di sponsor, uscita dalla nazionale, abbattimento di statue.... Ma non carichiamo sulle loro spalle la vergogna altra di un paese che si rende quotidianamente ridicolo persino quando, per bocca dei suoi governanti, decide di non tifare per quel tricolore di cui a nessuno frega nulla ma che e' il nostro, il simbolo di una patria per cui, altri, scusatemi tanto, hanno buttato il sangue e non in maniera figurata.
Penso a Quagliarella che non riusciva a nascondere le lacrime. "Ho 31 anni ha detto" saperndo che la sua unica occasione di farsi onore con la maglia azzurra e' durata 25 minuti o poco piu'. Il suo omonimo, Cannavaro, a 36 (ma da difensore "pesano" meno) e' stato chiamato "vecchio" in tutti i modi possibili e sbeffeggiato (gratuitamente) da sedicenti giornalisti/e, che dovrebbero andare a lezione di stile da Vittorio Zucconi. Perche' si puo' prendere atto di una sconfitta e riconoscere che Fabio non e' quello di 4 anni fa, ma ci si puo' astenere dallo sputargli in faccia. Solo per una questione di stile. E non perche' Fabio e' mio amico. Io non riuscirei a sputare (metaforicamente) nemmeno a Gilardino che pure e' stato "inutile", perche' poi ti rendi conto che non c'era nessuno a passargli la palla e che lui non e' Quagliarella, in forma strepitosa e con idee intelligenti. Lui e' Gilardino e Lippi lo sapeva. Quando Lippi dice "E' tutta colpa mia" per una volta bisogna solo stare zitti e prenderne atto perche' e' cosi. Ma ora che lo ha detto lui, ritorneremo tutti a dargli addosso perche' avremo bisogno di "altri" colpevoli o di domande tipo "perche' hai sbagliato?". Ma cosa vuoi che risponda???
Mentre tutti sono in vacanza e nessuno parlera' di Pomigliano, si continuera' a parlare di questa "debacle" almeno fino all'autunno, con tiri al bersaglio verso i calciatori paparazzati in qualche posto di mare, perche' (chissa' perche') dovrebbero invece mettersi un cilicio o inginocchiarsi sui ceci. Abbiamo un governo che fa cose irripetibili, facendoci diventare lo zimbello (molto piu' seriamente) del resto del mondo, Ministri che se non erano ministri forse diventavano "galeotti"; Ministre che vogliono inserire il 'berlusconismo" (no, non come offesa) nei piani di studio, milionari che fanno evasione fiscale e che se gli sequestrano la barca fanno una cagnara perche' hanno "creature" che perdono il sonno, escort che senza nemmeno aver fatto troppi chilometri come toccava alla macchina della Ford, diventano consigliere, mezzobusto, attrici e chi piu' ne ha piu' ne metta. In un paese cosi, in cui tutto questo zoo, si trasferira' a giorni fra la Sardegna e Cortina (con un po' di Maremma) chissa' perche' 11 giovanotti in mutande, dovrebbero inginocchiarsi sui fagioli e chiedere scusa per la "vergogna" e toglierci una soddisfazione. Poi a settembre tutti pronti, portafogli alla mano, a ripagarli a peso d'oro: qualunque siano i loro nomi.
Per quanto mi riguarda da domani faccio il tifo contro Germania e Inghilterra (scusami ANNA): perche' i primi ci sfottono e lo sfotto' e' sempre inopportuno e i secondi hanno un allenatore oggettivamente molto piu' antipatico e presuntuoso di Lippi.
Per questioni di cuore tifero' Diego (ma anche perche' la squadra e' buona), i miei "compatrioti" americani e squadre come il Ghana che meriterebbero di alzare quella coppa se non altro per tutta la fame e la disperazione che ci sta dietro.
Per il resto, calcio a parte, tornero' a tifare per gli italiani che vorrei ritrovassero quella voglia di rivalsa che gli undici non hanno saputo trovare. Loro sono usciti, testa bassa, occhi lucidi e spalle pesanti. Noi ci avviamo ad uscire ma chissa' perche' continuaiamo a non accorgercene. Forse perche' il coach del paese e' piu' arrogante di Lippi ma senza aver mai nemmeno vinto una Coppa del Mondo?
Nessuna mia parola potrebbe essere altrettanto rappresentativa che "la foto del giorno" del New York Times, con due immagini di Fabio, quella vincente del 2006 e quella a testa bassa di oggi. In entrambe, lacrime negli occhi. Ma dal sapore cosi' diverso.
Ho sofferto a vedere l'Italia uscire cosi. Sebbene meritatamente. E so che i calciatori sono strapagati, viziati e idolatrati come se fossero tutti dei Premi Nobel e che, comunque, da domani, se ne andranno in vacanza con le loro barchette in qualche bel posto.
La verita', almeno secondo me, e' che i calciatori sono strapagati SEMPRE. E sempre in maniera disgustosa e offensiva nei confronti di tutti coloro che buttano sudore sui libri prima e in un ufficio/fabbrica dopo. La verita' e' che lo sdegno degli italiani dovrebbe oggi essere per Pomigliano, per la legge bavaglio e per un paese che e' sempre piu' l'ombra di se' stesso. Ma non e' cosi'.
Lo sdegno e' oggi per quegli 11 (o 22) che sabato torneranno a casa con la coda fra le gambe, consci di aver fatto una figura di merda di quelle epocali. Eppure oggi il sito di Repubblica, che pure io consulto continuamente e ritengo di ottimo livello, ha mantenuto per tutta la giornata la notizia della disfatta, mentre intorno succedevano altre 4 o 5 catastrofi decisamente piu' importanti. Ieri, nel pieno di due bufere, la destituzione del generale McChrystal e il riacutizzarsi della perdita di petrolio, anche l'Huffington Post ha dato l'apertura all'impresa dei ragazzi a stelle e strisce, con quel gol al 90 di Donovan. Per 15 minuti, forse 20, il sito ha titolato con un grande "GOOOOOOOOOOOOLLLLLLLLL" che poi e' diventata seconda notizia, poi terza, poi una delle tante. Il paese in cui vivo, fa dello sport e del suo marketing un'impresa da milioni di dollari. Nonostante tutto, in nessun campo, nemmeno nel football o nel baseball, ho visto mai gli "estremismi" che ho visto (e condiviso, perche' no) in Italia.
Quegli 11 ragazzi in mutande, da oggi ancor piu' in mutande, che senza ragione alcuna, se non la follia di chi continua a trattarli come degli eroi (e per un Cannavaro affondato oggi ce ne sara' un altro da strapagare domani), sono capaci di tenere tutta l'attenzione e di smuovere davvero gli animi, a me fanno, a distanza di quasi 24 ore, un'infinita tenerezza. E non mi sento di dirgli vergogna. Certo, che affrontino cio' che deve venire: perdita di sponsor, uscita dalla nazionale, abbattimento di statue.... Ma non carichiamo sulle loro spalle la vergogna altra di un paese che si rende quotidianamente ridicolo persino quando, per bocca dei suoi governanti, decide di non tifare per quel tricolore di cui a nessuno frega nulla ma che e' il nostro, il simbolo di una patria per cui, altri, scusatemi tanto, hanno buttato il sangue e non in maniera figurata.
Penso a Quagliarella che non riusciva a nascondere le lacrime. "Ho 31 anni ha detto" saperndo che la sua unica occasione di farsi onore con la maglia azzurra e' durata 25 minuti o poco piu'. Il suo omonimo, Cannavaro, a 36 (ma da difensore "pesano" meno) e' stato chiamato "vecchio" in tutti i modi possibili e sbeffeggiato (gratuitamente) da sedicenti giornalisti/e, che dovrebbero andare a lezione di stile da Vittorio Zucconi. Perche' si puo' prendere atto di una sconfitta e riconoscere che Fabio non e' quello di 4 anni fa, ma ci si puo' astenere dallo sputargli in faccia. Solo per una questione di stile. E non perche' Fabio e' mio amico. Io non riuscirei a sputare (metaforicamente) nemmeno a Gilardino che pure e' stato "inutile", perche' poi ti rendi conto che non c'era nessuno a passargli la palla e che lui non e' Quagliarella, in forma strepitosa e con idee intelligenti. Lui e' Gilardino e Lippi lo sapeva. Quando Lippi dice "E' tutta colpa mia" per una volta bisogna solo stare zitti e prenderne atto perche' e' cosi. Ma ora che lo ha detto lui, ritorneremo tutti a dargli addosso perche' avremo bisogno di "altri" colpevoli o di domande tipo "perche' hai sbagliato?". Ma cosa vuoi che risponda???
Mentre tutti sono in vacanza e nessuno parlera' di Pomigliano, si continuera' a parlare di questa "debacle" almeno fino all'autunno, con tiri al bersaglio verso i calciatori paparazzati in qualche posto di mare, perche' (chissa' perche') dovrebbero invece mettersi un cilicio o inginocchiarsi sui ceci. Abbiamo un governo che fa cose irripetibili, facendoci diventare lo zimbello (molto piu' seriamente) del resto del mondo, Ministri che se non erano ministri forse diventavano "galeotti"; Ministre che vogliono inserire il 'berlusconismo" (no, non come offesa) nei piani di studio, milionari che fanno evasione fiscale e che se gli sequestrano la barca fanno una cagnara perche' hanno "creature" che perdono il sonno, escort che senza nemmeno aver fatto troppi chilometri come toccava alla macchina della Ford, diventano consigliere, mezzobusto, attrici e chi piu' ne ha piu' ne metta. In un paese cosi, in cui tutto questo zoo, si trasferira' a giorni fra la Sardegna e Cortina (con un po' di Maremma) chissa' perche' 11 giovanotti in mutande, dovrebbero inginocchiarsi sui fagioli e chiedere scusa per la "vergogna" e toglierci una soddisfazione. Poi a settembre tutti pronti, portafogli alla mano, a ripagarli a peso d'oro: qualunque siano i loro nomi.
Per quanto mi riguarda da domani faccio il tifo contro Germania e Inghilterra (scusami ANNA): perche' i primi ci sfottono e lo sfotto' e' sempre inopportuno e i secondi hanno un allenatore oggettivamente molto piu' antipatico e presuntuoso di Lippi.
Per questioni di cuore tifero' Diego (ma anche perche' la squadra e' buona), i miei "compatrioti" americani e squadre come il Ghana che meriterebbero di alzare quella coppa se non altro per tutta la fame e la disperazione che ci sta dietro.
Per il resto, calcio a parte, tornero' a tifare per gli italiani che vorrei ritrovassero quella voglia di rivalsa che gli undici non hanno saputo trovare. Loro sono usciti, testa bassa, occhi lucidi e spalle pesanti. Noi ci avviamo ad uscire ma chissa' perche' continuaiamo a non accorgercene. Forse perche' il coach del paese e' piu' arrogante di Lippi ma senza aver mai nemmeno vinto una Coppa del Mondo?
Monday, June 21, 2010
e della famiglia
La mia cara amica Suorliana, commentando il mio precedente blog sugli "uomini e gli schiavi", ha lanciato una (gradita) "provocazione", sull'importanza della famiglia e del fatto che oggi, in qualche modo, se ne stiano minando le basi. Suorliana (con la quale abbiamo condiviso i banchi della scuola superiore), notava giustamente che io cito spessissimo la mia famiglia e che la mia "tribu' " ha contato moltissimo nella mia formazione e in quel mio sentirmi libera (o liberata).
Faccio un paio di piccole brevi premesse.
Ho detto spesso di non essere una "cattolica praticante", sono spesso critica con la Chiesa e, ultimamente, mi sento "a casa" nella Sinagoga alla funzione del venerdi' sera. Eppure, lungo il mio cammino, ho incontrato persone, preti, suore, religiosi che mi hanno sentire "fortemente" vicina al "loro" Dio perche' ne interpretavano cosi' bene le parole e i messaggi da non poter non esserne coinvolti. La dedizione, poi, di molti di loro alla carita', all'aiuto dei deboli e alla giustizia sociale e' encomiabile. Il fatto che ci sia chi "predica bene e razzola male" non deve spingerci a mettere tutto nello stesso cesto della spazzatura. Insomma, questo per dire che apprezzo molto Suorliana (e non solo per i ricordi di scuola che ci accomunano) e la sua voglia di confrontarsi, discutere e ascoltare con una volonta' che spesso manca ad altri che su quell'ascolto dovrebbe costruire il proprio lavoro. Inoltre, ascoltare e' fondamentale, anche se per replicare. Ascoltare con orecchie libere e sguardo attento. Senza distacco ne' pregiudizio.
L'altra premessa e' che la mia famiglia e' una di quelle "speciali" e non perche' e' la MIA, famiglia. In loro (e non intendo solo mia madre e mio padre) ho trovato la mie radici ma anche la linfa necessaria perche' mi crescessero dei rami forti in grado di reggere alla tormenta e capaci di accogliere e raccogliere la bellezza di quel cielo al quale, instancabilmente tendono.
La mia famiglia e' stata (ed e') lo specchio dove posso guardarmi ma, allo stesso tempo, noi siamo stati per loro la sfida per migliorarsi, per aprirsi e per non rimanere mai uguali a se' stessi. Mia madre e mio padre, per amore del nostro vivere felici, hanno chiuso in un cassetto il loro egoismo e le loro paure e ci hanno lasciato liberi. Pensate quanto sia stato difficile per mia madre amarmi cosi' come sono. Lei aspettava (considerato il periodo, non avendo io 20 anni) di vedermi crescere, sposarmi, aiutarmi a scegliere un corredo, darle dei nipoti e starle magari anche vicino per poter litigare. E invece si e' trovata di fronte me, che sono frutto di cio' che lei e mio padre mi hanno insegnato ma, sicuramente, diversa da cio' che la "normalita' " avrebbe voluto.
Quando si parla di famiglia, dunque, io non posso che essere d'accordo sul valore fondamentale che essa ha nella vita di qualcuno. La famiglia e' la base. Sono le mani che ti reggono quando inizi a reggerti in piedi, le braccia che ti accolgono quando sei stanco, le spalle che ti sostengono quando hai sonno, la coperta che ti copre quando hai freddo. La famiglia e' la casa e la fortezza inespugnabile dove nessuno puo' venire a farti del male.
La famiglia e' cio' che per primo conta nella crescita di un bambino e per questo io sono cosi incazzata verso coloro che fanno i figli per moda, per solitudine, per raddrizzare un matrimonio o per quella stronzata dell'orologio biologico che le case di pannolini si sono inventate per convincere le donne che devono fare figli per avere un senso. Io non ho figli e non ne voglio ma l'ho scelto e non ho mai sentito, nemmeno un solo momento, di non avere un senso.
E sono d'accordo sull'idea che avere un papa' e una mamma come i miei, e magari una zia come la mia e dei nonni come i miei e cugini come i miei e devo fermarmi altrimenti non la finisco piu', sia piu' salutare e formativo che essere andati ad Harvard (per quando avrei voluto andarci) ma credo anche che se da un lato vada difesa la famiglia come nucleo in cui si forma un individuo, cio' su cui temo di essere in (affettuoso) disaccordo con Suorliana e' il concetto di famiglia.
Parto da un esempio. Una mia amica qui, non americana, buon lavoro, testa sulle spalle, voleva un figlio e a breve ne avra' uno in adozione. Negli Stati Uniti l'adozione e' permessa sia per i single che per le coppie gay. Ovviamene la procedura e' lunga e seria e gli "assistenti sociali" vanno fino in fondo per capire se sei un genitore affidabile. Ora, mi chiedo, il giorno che la mia amica avra' quel bambino fra le braccia, lo nutrira', vestira' e accudira' e amera', non diventera' per lui/lei la sua famiglia? E la famiglia della mia amica che, ovviamente, amera' quel bambino/a con lo stesso amore che se fosse un figlio naturale, non diventera' "famiglia"?
Ricordo Cristian, mio nipote, una sera mi disse che lui non amava addormentarsi perche' sognava di "quando stava nella foresta al buio, prima che mamma, papa' e Serena andassero a salvarlo". Posso mai pensare che noi non siamo la SUA famiglia? O che lui non sia piu' felice oggi che in quei giorni?
Ieri, qui era la festa del papa' e il presidente Obama ha mandato una email per ricordare l'importanza di questo giorno. Ha raccontato, come fa spesso, di suo papa' che lo ha abbandonato quando era un bambino. "Nessuna carica governativa potra' colmare quel vuoto che mi sono portato dentro e che ancora non ho colmato". Eppure, come lui ricorda, e' stato cresciuto da una madre "eroica" e da nonni meravigliosi. Certo, resta il vuoto; ma oggi, credo che Barack Obama, prima che essere un grande Presidente sia un papa' affettuoso e premuroso perche' "comunque" ha avuto una famiglia prima di costruire la sua che ritiene, ovviamente, la cosa piu' preziosa.
Per questo, ancora una volta sono pienamente d'accordo con il MIO presidente quando, per la prima volta, ha allargato il significato del termine "papa' " dicendo che "Nurturing families come in many forms, and children may be raised by a father and mother, a single father, two fathers, a stepfather, a grandfather, or caring guardian," ("Allevare una famiglia puo' essere fatto in forme diverse e i bambini possono essere cresciuti da un padre e una madre, da un papa' single, da DUE papa', da un patrigno, da un nonno o da un tutore"
Saturday, June 19, 2010
uomini liberi e uomini schiavi
"Uno schiavo riconosce il potere del bastone; un uomo libero riconosce il potere della persuasione". Queste parole, pronunciate dal rabbino Koster (la mia amica Chava) durante il sermone del venerdi' sera nella Sinagoga del Village, mi sono sembrate sintesi di cio' che distingue un paese da un alro e un popolo da un altro.
Che sia piu' facile amministrare con il bastone che con la persuasione e' un dato di fatto. Per riuscire a persuadere altri esseri umani bisogna avere intelligenza, leadership, sensibilita' umana ma anche inflessibilita' per il rispetto della giustizia. Governare con il bastone e' facile. Tutto cio' che bisogna fare e' terrorizzare le persone. E se le persone sono state troppo use all'utilizzo della forza come punizione, e' ancora piu' facile. Hitler, pazzo e senza una sola visione di leader che sia possibile ricordare, ha tenuto per le palle tanta europa per tanto tempo. Con l'aiuto del suo fidato compagno di merende, Benito Mussolini, uno che in un paese di uomini liberi avrebbe al massimo ripulito le latrine di qualche discarica pubblica. Invece, con uno stupore che non riesco ancora a cancellare, continuo a sentire chi lo definisce uno statista o gli riconosce dei meriti ridicoli. E non posso non pensare a Massimo Troisi e al film "Le vie del Signore sono finite" e alla scena in cui l'orgogliosa signora fascista, esaltava il Duce per il fatto che "da quando c'era lui, i treni arrivavano in orario". "Basterebbe un buon capostazione", la stroncava il personaggio interpretato dall'indimenticabile Massimo. La verita' e' che Mussolini e' stato una tale piaga per il nostro paese, che ha umiliato, privato della liberta', costretto a guerre insulse, legato al nazismo e reso complice della strage degli ebrei, degli zingari e dei gay che bisognerebbe, ad essere uomini liberi, provare un senso di nausea persino a rivederne uno di quei ridicoli siparietti dal famoso balcone di piazza Venezia. Non dovrebbero poi esserci donne fasciste visto il dispregio e l'offesa con il quale lui le considerava e trattava, ridotte a semplici giocattoli di piacere da usare e buttare via.
Ora se e' vero che le figure di tiranni sono esistite ovunque, e' pur vero che altri popoli hanno legato quei nomi al dispregio e alla condanna totali. Insomma io non riesco a pensare ad un tedesco (a parte gli stronzi neonazisti, pazzi appunto come quell'altro) che tenti di riabilitare la figura di Hitler per qualche buona legge che magari (mi sfugge) ha pur fatto. In Germania, si vive la vergogna del nazismo con una dignita' che e' esemplare per un popolo che di quella vergogna, come uno schiavo, inebetito dal bastone, si e' reso complice.
Eppure gli schiavi possono diventare uomini liberi. Come ha insegnato il sogno del dottor King. Ma per farlo devono sentire fino dentro le viscere l'orrore e l'ingiustizia della schiavitu' e, anche, devono avere leader che sappiano persuaderli che c'e' un mondo migliore. Ma un leader, senza il popolo disposto a seguire la sua visone, non conta granche'. E un popolo che, in fondo, accetta di buon grado la sua schiavitu', non produrra' mai un vero leader.
Gli Stati Uniti d'America hanno, per otto anni, vissuto sotto la presidenza di George W. Bush. Dopo e' arrivato qualcuno che li ha "persuasi" a condividere una visione di mondo migliore e loro hanno scelto fra il bastone e la responsabilita' personale.
Ma, c'e' sempre un ma, accettare il bastone significa "solo" piegarsi pedissequamente agli ordini insulsi e irragionevoli di chi comanda. La silenziosa accondiscendenza tiene buono il padrone e fermo il bastone. E lo schiavo non prende colpi sulla schiena e arriva a sera, piegato come un somaro, ma senza lividi.
L'uomo che accetta la responsabilita', drizza la schiena e sa che quelle bastonate le puo' prendere anche in faccia. Ma un uomo e' nato per stare in piedi e con la schiena dritta e per guadare in faccia chi prova a piegarlo.
Il leader di un umo libero non prova a piegare quell'uomo ma lo educa, lo spinge, lo invita a guardarsi negli occhi e a discutere, sapendo che il futuro e' nelle piccole/grandi responsabilita' di ciascuno.
Educare. E' una delle parole che preferisco nel mio vocabolario. Quando eravamo piccoli, mio padre ci raccontava di mio nonno, Alfredo Vitaliano, contadino, che la sera, camminava dalla campagna al paese per andare a scuola. Prima di entrare, con un fazzoletto, si puliva le scarpe impolverate durante il tragitto. Mio nonno voleva imparare a leggere e scrivere perche' sapeva che altrimenti sarebbe stato sfruttato piu' facilmente dagli Azzeccagarbugli o dai ducetti di cui il mondo non e' mai privo. Mio nonno mori' a 41 anni per il diabete e mia nonna e le mie zie lavorarono sodo per mandare avanti la famiglia, mentre il paese moriva di fame e di vergogna per le "audaci" ridicolaggini di Mussolini. Mio padre dovette lasciare la scuola, con suo grande dolore ma ha studiato da solo, divorando libri. Mentre crescevamo ci ha insegnato, "persuadendoci", il valore dell'educazione e ha preteso sempre il massimo da noi. A casa, con mio padre e mia madre, e' iniziata la mia educazione di donna libera. Che non e' ancora terminata.
La liberta' pero' e' responsabilita'. Quotidiana e senza riposo. E con la schiena dritta e lo sgurado fiero, rivolto in avanti.
Due ministri di Obama, si dimisero poco dopo la nomina, per una vecchia questione di evasione fiscale (abbondantemente ripagata). Uno dei due, aveva mancato di pagare 180$ (forse meno) di contributi alla sua collaboratrice domestica. Meno di duecento dollari di contributi l'hanno fermata dall'essere un Ministro. Non ho nemmeno voglia di fare riferimenti all'attualita' di recenti nomine nel governo italiano. Da donna libera, quelli io non li ho mai votati. Benito Mussolini e Silvio Berlusconi sono l'immagine di una stessa medaglia che, ahime', continua ad avere un grande fascino sugli italiani. Pero' penso alla mia parte politica, al mio partito e a quell'assenza totale di spina dorsale che continua ad avere. E mi chiedo perche' Bersani abbia dovuto provare a persuadermi, alle ultime regionali, a votare un candidato pluriindagato, piuttosto che sforzarsi di persuadermi a votare un signor nessuno MA con una vita accettabilmente cristallina? Forse il sindaco De Luca sara' innocente. Forse. Ma al momento e' indagato per cose gravissime di cui addirittura si dice fiero.
Educare. Ecco cosa rende gli uomini liberi. Ecco perche' la Gelmini uccide la cultura e nessuno se ne frega.
Educare significa persuadere ad essere migliori. Non a farla franca.
Che sia piu' facile amministrare con il bastone che con la persuasione e' un dato di fatto. Per riuscire a persuadere altri esseri umani bisogna avere intelligenza, leadership, sensibilita' umana ma anche inflessibilita' per il rispetto della giustizia. Governare con il bastone e' facile. Tutto cio' che bisogna fare e' terrorizzare le persone. E se le persone sono state troppo use all'utilizzo della forza come punizione, e' ancora piu' facile. Hitler, pazzo e senza una sola visione di leader che sia possibile ricordare, ha tenuto per le palle tanta europa per tanto tempo. Con l'aiuto del suo fidato compagno di merende, Benito Mussolini, uno che in un paese di uomini liberi avrebbe al massimo ripulito le latrine di qualche discarica pubblica. Invece, con uno stupore che non riesco ancora a cancellare, continuo a sentire chi lo definisce uno statista o gli riconosce dei meriti ridicoli. E non posso non pensare a Massimo Troisi e al film "Le vie del Signore sono finite" e alla scena in cui l'orgogliosa signora fascista, esaltava il Duce per il fatto che "da quando c'era lui, i treni arrivavano in orario". "Basterebbe un buon capostazione", la stroncava il personaggio interpretato dall'indimenticabile Massimo. La verita' e' che Mussolini e' stato una tale piaga per il nostro paese, che ha umiliato, privato della liberta', costretto a guerre insulse, legato al nazismo e reso complice della strage degli ebrei, degli zingari e dei gay che bisognerebbe, ad essere uomini liberi, provare un senso di nausea persino a rivederne uno di quei ridicoli siparietti dal famoso balcone di piazza Venezia. Non dovrebbero poi esserci donne fasciste visto il dispregio e l'offesa con il quale lui le considerava e trattava, ridotte a semplici giocattoli di piacere da usare e buttare via.
Ora se e' vero che le figure di tiranni sono esistite ovunque, e' pur vero che altri popoli hanno legato quei nomi al dispregio e alla condanna totali. Insomma io non riesco a pensare ad un tedesco (a parte gli stronzi neonazisti, pazzi appunto come quell'altro) che tenti di riabilitare la figura di Hitler per qualche buona legge che magari (mi sfugge) ha pur fatto. In Germania, si vive la vergogna del nazismo con una dignita' che e' esemplare per un popolo che di quella vergogna, come uno schiavo, inebetito dal bastone, si e' reso complice.
Eppure gli schiavi possono diventare uomini liberi. Come ha insegnato il sogno del dottor King. Ma per farlo devono sentire fino dentro le viscere l'orrore e l'ingiustizia della schiavitu' e, anche, devono avere leader che sappiano persuaderli che c'e' un mondo migliore. Ma un leader, senza il popolo disposto a seguire la sua visone, non conta granche'. E un popolo che, in fondo, accetta di buon grado la sua schiavitu', non produrra' mai un vero leader.
Gli Stati Uniti d'America hanno, per otto anni, vissuto sotto la presidenza di George W. Bush. Dopo e' arrivato qualcuno che li ha "persuasi" a condividere una visione di mondo migliore e loro hanno scelto fra il bastone e la responsabilita' personale.
Ma, c'e' sempre un ma, accettare il bastone significa "solo" piegarsi pedissequamente agli ordini insulsi e irragionevoli di chi comanda. La silenziosa accondiscendenza tiene buono il padrone e fermo il bastone. E lo schiavo non prende colpi sulla schiena e arriva a sera, piegato come un somaro, ma senza lividi.
L'uomo che accetta la responsabilita', drizza la schiena e sa che quelle bastonate le puo' prendere anche in faccia. Ma un uomo e' nato per stare in piedi e con la schiena dritta e per guadare in faccia chi prova a piegarlo.
Il leader di un umo libero non prova a piegare quell'uomo ma lo educa, lo spinge, lo invita a guardarsi negli occhi e a discutere, sapendo che il futuro e' nelle piccole/grandi responsabilita' di ciascuno.
Educare. E' una delle parole che preferisco nel mio vocabolario. Quando eravamo piccoli, mio padre ci raccontava di mio nonno, Alfredo Vitaliano, contadino, che la sera, camminava dalla campagna al paese per andare a scuola. Prima di entrare, con un fazzoletto, si puliva le scarpe impolverate durante il tragitto. Mio nonno voleva imparare a leggere e scrivere perche' sapeva che altrimenti sarebbe stato sfruttato piu' facilmente dagli Azzeccagarbugli o dai ducetti di cui il mondo non e' mai privo. Mio nonno mori' a 41 anni per il diabete e mia nonna e le mie zie lavorarono sodo per mandare avanti la famiglia, mentre il paese moriva di fame e di vergogna per le "audaci" ridicolaggini di Mussolini. Mio padre dovette lasciare la scuola, con suo grande dolore ma ha studiato da solo, divorando libri. Mentre crescevamo ci ha insegnato, "persuadendoci", il valore dell'educazione e ha preteso sempre il massimo da noi. A casa, con mio padre e mia madre, e' iniziata la mia educazione di donna libera. Che non e' ancora terminata.
La liberta' pero' e' responsabilita'. Quotidiana e senza riposo. E con la schiena dritta e lo sgurado fiero, rivolto in avanti.
Due ministri di Obama, si dimisero poco dopo la nomina, per una vecchia questione di evasione fiscale (abbondantemente ripagata). Uno dei due, aveva mancato di pagare 180$ (forse meno) di contributi alla sua collaboratrice domestica. Meno di duecento dollari di contributi l'hanno fermata dall'essere un Ministro. Non ho nemmeno voglia di fare riferimenti all'attualita' di recenti nomine nel governo italiano. Da donna libera, quelli io non li ho mai votati. Benito Mussolini e Silvio Berlusconi sono l'immagine di una stessa medaglia che, ahime', continua ad avere un grande fascino sugli italiani. Pero' penso alla mia parte politica, al mio partito e a quell'assenza totale di spina dorsale che continua ad avere. E mi chiedo perche' Bersani abbia dovuto provare a persuadermi, alle ultime regionali, a votare un candidato pluriindagato, piuttosto che sforzarsi di persuadermi a votare un signor nessuno MA con una vita accettabilmente cristallina? Forse il sindaco De Luca sara' innocente. Forse. Ma al momento e' indagato per cose gravissime di cui addirittura si dice fiero.
Educare. Ecco cosa rende gli uomini liberi. Ecco perche' la Gelmini uccide la cultura e nessuno se ne frega.
Educare significa persuadere ad essere migliori. Non a farla franca.
Thursday, June 17, 2010
e dimmi che non vuoi morire....
Me lo diceva spesso. Ce lo diceva spesso che lei non voleva morire. Aveva una tale fame del mondo che nemmeno la Fao avrebbe potuto soddisfarla. Perche' le piaceva tutto, persino cio' che non le piaceva. Persino cio' di cui aveva paura. Perche', come me aveva paura di un sacco di cose. Dei topi, per esempio. Del buio.
Cosi' quando in questa stessa notte di tre anni fa, il buio e' sceso dietro i suoi occhi a spegnerne memorie, immagini, parole, emozioni e sorrisi, la prima reazione di ciascuno di noi e' stato il disappunto. Lei non voleva morire. Non lo aveva mai pensato nemmeno in silenzio per non farsi sentire; nemmeno in quei momenti cosi difficili come quando hai i vestiti bagnati addosso e fa freddo e i piedi ti fanno male e non sai dove ripararti. Nemmeno allora. Nemmeno sottovoce. Nemmeno in quella lingua strana, quelle con le "F" che usava quando non voleva che noi (piccoli) capissimo e che ci faceva piangere lacrime di puro divertimento.
L'abbiamo amata di un amore che spiegare non e' possibile perche' le nostre parole oggi, inevitabilmente, si interromperebbero, per quel maledetto nodo alla gola che ti ferma il respiro e ti costringe a fermarti. L'abbiamo amata perche' era bello vederla felice del nostro amore e perche' noi da lei abbiamo preso tutto cio' che era possibile prendere. L'abbiamo costantemente "saccheggiata" senza nemmeno chiedere il permesso: i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue foto che costantemente rimetteva in ordine, i suoi "che bello', le sue carezze, i suoi abbracci, il suo guradarci come fossimo perfette opere d'arte di fronte a cui rimanere incantati. L'abbiamo "saccheggiata" prendendoci tutto quell'amore per la vita che, pero', magicamente in lei ricresceva sempre. Come la coda delle lucertole.
L'abbiamo amata tanto che non ne possiamo parlare mai fra di noi. Perche' cadremmo in mille pezzi e ci verrebbe voglia di lasciarci andare e e faremmo male. Il suo nome e' poco pronunciato, quasi mai in maniera "incisiva", quasi di passaggio... perche' un suono troppo forte ne rivelerebbe in maniera insopportabile l'assenza.
Quando e' stata portata in ospedale, un giorno prima, sapevo che non l'avrei mai piu' rivista. Ero lontana. All'altro capo del mondo da soli tre mesi e lei mi stava abbandonando. Sono rimasta tutta la notte sul divano, con il cellulare in mano ad aspettare quel messaggio che arrivo' intorno alle due del mattino. Vincenzo. Chi se non lui. Quello che butta tutto in scherzo. Solo lui poteva trovare la forza di digitare quelle parole. Io non so come ho avuto la forza di leggerle. Ho odiato me stessa per essermene andata cosi' lontano. Ho odiato chi mi aveva spinto a stare li', nel Queens, senza un fottuto dollaro per salire su un aereo e tornare ad abbracciarla. Dio, quanto avrei voluto farlo. Ho odiato tutto cio' che mi circondava e me stessa. E me stessa ancora per non essere stata capace di accettare le umiliazioni e lo schifo del mio paese ed essermene andata. Lontano, senza un fottuto dollaro per salire su un fottuto aereo e dirle addio. Quando state per dirmi "beata te", soprattutto se siete parte di coloro che anche solo "per vie traverse" mi hanno buttata nel cesso per favorire qualcuno piu' stupido, meno bravo ma piu' accondiscendente, mordetevi la lingua. Perche' io quel giorno non lo dimentico per tutta la vita. Perche' ho smesso di odiare me e New York e la casa del Queens e il non avere un fottuto dollaro. Ma non ho perdonato voi. E non lo voglio fare per conservare ben impresso nella mia mente il perche' io non torno.
Dorothy mi salto' in braccio e mi lecco' la faccia. Non lo fa quasi mai. Ma lei sa. Lei sapeva che io stavo per crollare. Quando venne Dena mi abbraccio' forte e io presi la metro e andai a Central Park, mi tolsi le scarpe e mi sdraiai a guardare il cielo e le chiesi scusa per non esserle vicino.
Con lei mori' per sempre una parte di me. Una parte di noi, i suoi amati "piccoli". Diedi la notizia via mail ad "amici" americani e italiani tramite uno scritto di Michael che in quel biglietto, unito ai fiori che da New York le fece arrivare si firmo' "tuo figlio". Quanti figli aveva. Capisco quanto sia stato difficile per le sue vere figlie doverla "condividere" sempre con tutti gli altri. Con noi che non potevamo starle lontano e ci moltiplicavamo, con figli, fidanzati, mariti, mogli, amici. Michael la saluto' dicendo "tuo figlio Michael" e in ufficio ha sempre la sua foto sulla scrivania. Loro due si incontrarono tramite me. Lei, 79 anni e nemmeno una parola di inglese; lui, afro americano, capelli lunghi rasta e nemmeno una parola di Italiano. Lei si offri' di ospitarlo, ovviamente. La prima mattina mi chiamo' e mi chiese "a che ora devo chiamare i ragazzi?" (erano in due). Io risposi "non abbiamo progetti" e lei disse, con quella voce birichina come quella di bambini che hanno fatto una monelleria "sai sono andati a letto tardi perche' abbiamo parlato fino alle 3 del mattino". "Parlato???" chiesi io sapendo che non avevano una lingua in comune. "Parlato" disse lei stupita della mia obiezione. Parlarono tutte le notti per una settimana. D'amore soprattutto e si capirono. Quando Michael parti', lei pianse come una bambina rimasta sola in un orfanatrofio, eppure eravamo tutti con lei. Quando l'anno dopo, per i suoi 80 anni, le organizzarono una festa a sorpresa, Michael volo' per prenderla in braccio e lei lo baciava e rideva come faceva sempre davanti ai regali di Natale.
Per settimane ho sentito la sua voce che mi parlava. Ogni volta che le lacrime, ovunque mi trovassi, cominciavano a solcarmi il viso, le mi diceva "Piccola... mannaggia al demonio". Lo diceva sempre... era la piu' grande "bestemmia" "mannaggia al demonio". Quando era proprio furiosa, aggiungeva "porco" - mannaggia a quel porco demonio!!!
Se non avesse continuato a parlarmi non sarei qui. Non scriverei per lei.
Spesso mi dicono che le somiglio. Lo spero molto. Soprattutto lo spero perche', se mai dovessi dimenticarlo, voglio che lei mi ricordi sempre la meraviglia del vivere. La pienezza di un percorso attraversato con quella dolcezza incantata e leggera che lei aveva.
Sono tre anni e non fa meno male. Nemmeno un po'. Tutto cio' che siamo riusciti a fare e' trovare un posto dentro di noi dove lei, con la sua sediolina, puo' starsene seduta a lavorare all'uncinetto e a raccontare storie.
Per quanto mi riguarda lei e' nel mio cantare mentre sono spaventata, nel mio intenerirmi a guardare Dorothy, nel mio adorare i miei nipoti, nel mio scrivere, nelle mie lacrime per cio' che mi spezza il cuore. La sua assenza e' spettrale come le stanze di un castello abbandonato ma la luce che ci ha dato ci illumina senza che ce ne rendiamo nemmeno conto.
Elena Vitaliano (in Vitale) era mia zia. E io la amo e mi manca. E non c'e' eta' ne' giudizio ne' lontananza per questo.
e della liberta' di opinione...
Molti spettatori, fra quelli che martedi' sera hanno seguito il discorso di Barack Obama e poi i commenti critici di Keith Olbermann, hanno protestato vivamente contro il giornalista che ha risposto, via Tweet, quanto segue:
"Barack Obama e' certamente il leader politico piu' in gamba che io abbia mai visto, cosi' come e' il migliore oratore che io abbia mai ascoltato. In piu', lo scorso ottobre, ho avuto il privilegio, insieme ad altri 11 giornalisti, di trascorrere 2 ore con lui durante le quali mostro' una padronanza assoluta su ciascuno dei 12 argomenti di dibattito politico che noi gli "sparammo" in ordine sparso. Lasciai la stanza chiedendomi se avessimo mai, prima di ora, eletto davvero un presidente che fosse una fra le 1000 persone piu' intelligenti del paese (o forse 100 o 10) come abbiamo fatto ora. Io credo in lui e nella sua presidenza e lui ha ottenuto spesso dei successi (particolarmente nella riforma sanitaria) facendo cio' per cui io invece lo avevo criticato. Io spero che anche questo sia lo stesso caso perche' il Discorso sul Golfo non e' stato all'altezza dei suoi standards, ne' ha espresso pienamente la sua padronanza politica. E se voi smetterete di guardare il mio show perche' ho detto questo, mi dispiacera' molto, ma significa anche che mi seguivate per le ragioni sbagliate. Io non sono, non sono mai stato e non saro' mai il portavoce di nessun politico e di nessun presidente"
Ora pensate per qualche minuto al panorama dell'informazione in Italia, soprattutto televisiva, e tiratemi fuori uno cosi. Se lo trovate, ditemi anche se ha ancora una "voce" (a me vengono in mente Enzo Biagi e Indro Montanelli... ma la "voce" gli e' stata tolta prima che calasse il sipario della vita). E gia' che vi trovate, tiratemi fuori un leader che corrisponda alla descrizione che Olbermann fa di Obama (no, non mi riferisco solo a Berlusconi)
Un paese libero non e' solo frutto di un leader. Un paese libero e' fatto soprattutto da un popolo che si sente tale e non si accontenta e non punta il dito contro gli altri e non si crede migliore degli altri e non trova giustifiche nel fatto che ci siano luoghi in cui si sta anche peggio. Ci sono popoli che guardano in avanti e popoli che, come don Abbondio, camminano con lo sguardo rivolto a terra, scansando con i piedi i ciottoli che gli rendono la strada accidentata.
"Barack Obama e' certamente il leader politico piu' in gamba che io abbia mai visto, cosi' come e' il migliore oratore che io abbia mai ascoltato. In piu', lo scorso ottobre, ho avuto il privilegio, insieme ad altri 11 giornalisti, di trascorrere 2 ore con lui durante le quali mostro' una padronanza assoluta su ciascuno dei 12 argomenti di dibattito politico che noi gli "sparammo" in ordine sparso. Lasciai la stanza chiedendomi se avessimo mai, prima di ora, eletto davvero un presidente che fosse una fra le 1000 persone piu' intelligenti del paese (o forse 100 o 10) come abbiamo fatto ora. Io credo in lui e nella sua presidenza e lui ha ottenuto spesso dei successi (particolarmente nella riforma sanitaria) facendo cio' per cui io invece lo avevo criticato. Io spero che anche questo sia lo stesso caso perche' il Discorso sul Golfo non e' stato all'altezza dei suoi standards, ne' ha espresso pienamente la sua padronanza politica. E se voi smetterete di guardare il mio show perche' ho detto questo, mi dispiacera' molto, ma significa anche che mi seguivate per le ragioni sbagliate. Io non sono, non sono mai stato e non saro' mai il portavoce di nessun politico e di nessun presidente"
Ora pensate per qualche minuto al panorama dell'informazione in Italia, soprattutto televisiva, e tiratemi fuori uno cosi. Se lo trovate, ditemi anche se ha ancora una "voce" (a me vengono in mente Enzo Biagi e Indro Montanelli... ma la "voce" gli e' stata tolta prima che calasse il sipario della vita). E gia' che vi trovate, tiratemi fuori un leader che corrisponda alla descrizione che Olbermann fa di Obama (no, non mi riferisco solo a Berlusconi)
Un paese libero non e' solo frutto di un leader. Un paese libero e' fatto soprattutto da un popolo che si sente tale e non si accontenta e non punta il dito contro gli altri e non si crede migliore degli altri e non trova giustifiche nel fatto che ci siano luoghi in cui si sta anche peggio. Ci sono popoli che guardano in avanti e popoli che, come don Abbondio, camminano con lo sguardo rivolto a terra, scansando con i piedi i ciottoli che gli rendono la strada accidentata.
Tuesday, June 15, 2010
Commander in chief
Alle 8 di sera, Barack Obama ha tenuto il suo primo discorso alla nazione dallo Studio Ovale. Una scelta che racconta, di per se' l'importanza del momento. Tanto per dire, Bush uso' l'ufficio Ovale, nel suo discorso alla nazione in occasione dell'11 settembre. L'immagine del presidente, seduto dietro la sua scrivania, li' dove l'immaginario collettivo e la realta', vogliono che vengano prese le decisioni piu' importanti per il paese, serve a dire, prima di tutto, agli americani, io ci sono e sono il vostro comandante in capo e per questo vi dico come stanno le cose. Non tutti i presidenti hanno avuto la necessita' di fare discorsi dallo Studio Ovale, per scelta o per "fortuna" perche' flagellati da eventi meno disastrosi dell'attentato alle torri gemelle e al Pentagono o dal disastro della marea nera. Suscitando le proteste dei familiari delle vittime dell'11 settembre, Obama ha detto che la tragedia del golfo ha una portata drammatica pari a quella che in quell'azzurro mattino cambio' per sempre la percezione degli americani circa la propria invulnerabilita'.
Barack Obama, che ha ereditato una delle situazioni piu' catastrofiche della storia di questo paese e una politica di relazioni internazionali completamente da ricostruire, si e' rivolto spesso alla nazione, sebbene da altri luoghi. Lui che ha costruito il suo consenso sul supporto popolare, sa che deve dire agli americani cosa succede e perche'. E sembra che nemmeno sia abbastanza. L'idea che Barack Obama stia in qualche modo disattendendo le attese e' spesso percepibile. Eppure se si guarda il sito PoliticFact, vincitore del premio Pulitzer (mica fuffa) si vede che fino ad ora il presidente ha mantenuto 114 promesse fatte in campagna elettorale, ha raggiunto 35 compromessi importanti e la sua amministrazione e' attivamente al lavoro su altre 251 leggi. Quelle disattese finora sono solo 19. Eppure sembrano tante. Dopo otto anni di George Bush il paese sembra affamato di "cose" che possano ridargli quella forza e quel potere al quale era abituato. Fra le promesse mantenute da Obama c'e', ovviamente, la riforma sanitaria, molti provvedimenti che regolano la tassazione e tengono a bada le follie di Wall street, provvedimenti per ampliare l'assistenza domiciliare per le famiglie povere, investimenti per le scuole che raggiungono livelli di eccellenza e molto ancora. A breve sara' approvata l'abolizione del "don't ask don't tell", legge approvata in epoca Clinton che consente ai gay di arruolarsi nell'esercito a patto di non fare outing sulla loro sessualita'. Un provvedimento che fu un enorme passo avanti durante la presidenza di Clinton ma che, con la svolta di Obama, consentira' ai gay e alle lesbiche di servire la patria conservando la dignita' del proprio essere.
E ppure la Fox (di destra) massacra Obama senza riserve e anche il resto della stampa non gliene fa passare una liscia. Anche stasera dopo il discorso, Keith Olbermann (che adoro), uno dei giornalisti piu' liberali e anti repubblicani del panorama televisivo, ha stroncato il discorso del presidente considerandolo "debole". Eppure Obama ha spiegato cosa succede e quanto tempo ci vorra' per venire a capo di tutto e, soprattutto, ha ribadito che la BP paghera' fino all'ultimo dollaro per il danno provocato (va sottolineato che la BP era stata messa in guardia sulla possibile esplosione per alcune basilari misure di sicurezza che non venivano rispettate per ridurre i costi). Domani mattina (mercoledi) il presidente incontrera' i vertici della BP per stabilire le modalita' del risarcimento e della spesa necessaria per riparare il danno. Per concludere il presidente ha detto che questo e' il momento per iniziare ad investire in fonti di energia alternative, pulite e sicure. E che sara' fatto, in qualsiasi modo e nonostante tutti gli scettici.
Mentre il mio adorato Olbermann massacrava il mio adorato presidente ho pensato a quando e' stata, nel mio paese, l'ultima volta che abbiamo sentito un discorso cosi' importante e fino a quando sara' possibile, a poche sparse voci, manifestare il proprio dissenso. Ci tengo a precisare che Santoro, confrontato ad Olbermann e' un moderato e che Floris e' di destra. Tanto per capirci sull'intensita' degli interventi. Eppure l'altezza del leader corrisponde esattamente all'altezza di un'informazione che sa cio' che dice e lo dice senza preamboli, ne servilismi ne' filtri.
E mi sono chiesta anche se in Italia potra' mai esserci un Obama e, purtroppo la risposta e' no. Barack Obama e' un "nero", figlio di madre single, non ricco, al quale il suo paese, l'America, ha dato, nonostante i suoi (della nazione) limiti e le sue imperfezioni, la possibilita' di studiare ad altissimi livelli, di lavorare e di diventare il 44mo presidente. Quando Michelle Obama era a Princeton, la mamma di una sua compagna di camera, chiese al consiglio di amministrazione dell'universita' di dare a sua figlia una nuova stanza perche' non voleva che la dividesse con una "nera". Michelle Robinson Obama oggi e' alla Casa Bianca ma prima ancora e' stata un avvocato di successo e una madre e una moglie. La First Lady arriva da South Chicago, non dall'Upper East Side. Nessuno dei due in Italia avrebbe fatto cio' che ha fatto. Un mio amico del Congo belga, laurato in Italia a pieni voti, e' fortunato ad aver trovato un lavoro di operaio e speesso subisce le "molestie" di chi a Verona, magari senza nemmeno aver letto mai un libro, in autobus non gli si siede di fianco.
E ppure in questi anni ha governato George Bush padre, Bill Clinton e George W. Bush figlio. Non si puo' dire che al governo ci sia stato Martin Luther King. Ma qui, in America, il virus della civilta' si espande piu' veloce di una febbre e se ne frega se alla Casa Bianca c'e' uno con gli speroni ai piedi che va in giro a dichiarare guerre preventive. Il virus non si ferma e questo popolo continua, fra uno scossone e l'altro, ad inseguire sempre la sua vera stella che e' quella della liberta' e della civilta'.
Barack Obama in Italia lavorerebbe in una cartiera di Verona (con tutto il rispetto per le cartiere) e Keith Olbermann avrebbe subito qualche editto che gli avrebbe tolto la parola. Eppure, quando qualcuno, in qualche intervista, lo ha definito "un liberale", lui ha candidamente risposto "Io non sono un liberale, io sono un americano". Con diritto di parola, aggiungo io, e con il sogno di un paese migliore. Sempre.
Barack Obama, che ha ereditato una delle situazioni piu' catastrofiche della storia di questo paese e una politica di relazioni internazionali completamente da ricostruire, si e' rivolto spesso alla nazione, sebbene da altri luoghi. Lui che ha costruito il suo consenso sul supporto popolare, sa che deve dire agli americani cosa succede e perche'. E sembra che nemmeno sia abbastanza. L'idea che Barack Obama stia in qualche modo disattendendo le attese e' spesso percepibile. Eppure se si guarda il sito PoliticFact, vincitore del premio Pulitzer (mica fuffa) si vede che fino ad ora il presidente ha mantenuto 114 promesse fatte in campagna elettorale, ha raggiunto 35 compromessi importanti e la sua amministrazione e' attivamente al lavoro su altre 251 leggi. Quelle disattese finora sono solo 19. Eppure sembrano tante. Dopo otto anni di George Bush il paese sembra affamato di "cose" che possano ridargli quella forza e quel potere al quale era abituato. Fra le promesse mantenute da Obama c'e', ovviamente, la riforma sanitaria, molti provvedimenti che regolano la tassazione e tengono a bada le follie di Wall street, provvedimenti per ampliare l'assistenza domiciliare per le famiglie povere, investimenti per le scuole che raggiungono livelli di eccellenza e molto ancora. A breve sara' approvata l'abolizione del "don't ask don't tell", legge approvata in epoca Clinton che consente ai gay di arruolarsi nell'esercito a patto di non fare outing sulla loro sessualita'. Un provvedimento che fu un enorme passo avanti durante la presidenza di Clinton ma che, con la svolta di Obama, consentira' ai gay e alle lesbiche di servire la patria conservando la dignita' del proprio essere.
E ppure la Fox (di destra) massacra Obama senza riserve e anche il resto della stampa non gliene fa passare una liscia. Anche stasera dopo il discorso, Keith Olbermann (che adoro), uno dei giornalisti piu' liberali e anti repubblicani del panorama televisivo, ha stroncato il discorso del presidente considerandolo "debole". Eppure Obama ha spiegato cosa succede e quanto tempo ci vorra' per venire a capo di tutto e, soprattutto, ha ribadito che la BP paghera' fino all'ultimo dollaro per il danno provocato (va sottolineato che la BP era stata messa in guardia sulla possibile esplosione per alcune basilari misure di sicurezza che non venivano rispettate per ridurre i costi). Domani mattina (mercoledi) il presidente incontrera' i vertici della BP per stabilire le modalita' del risarcimento e della spesa necessaria per riparare il danno. Per concludere il presidente ha detto che questo e' il momento per iniziare ad investire in fonti di energia alternative, pulite e sicure. E che sara' fatto, in qualsiasi modo e nonostante tutti gli scettici.
Mentre il mio adorato Olbermann massacrava il mio adorato presidente ho pensato a quando e' stata, nel mio paese, l'ultima volta che abbiamo sentito un discorso cosi' importante e fino a quando sara' possibile, a poche sparse voci, manifestare il proprio dissenso. Ci tengo a precisare che Santoro, confrontato ad Olbermann e' un moderato e che Floris e' di destra. Tanto per capirci sull'intensita' degli interventi. Eppure l'altezza del leader corrisponde esattamente all'altezza di un'informazione che sa cio' che dice e lo dice senza preamboli, ne servilismi ne' filtri.
E mi sono chiesta anche se in Italia potra' mai esserci un Obama e, purtroppo la risposta e' no. Barack Obama e' un "nero", figlio di madre single, non ricco, al quale il suo paese, l'America, ha dato, nonostante i suoi (della nazione) limiti e le sue imperfezioni, la possibilita' di studiare ad altissimi livelli, di lavorare e di diventare il 44mo presidente. Quando Michelle Obama era a Princeton, la mamma di una sua compagna di camera, chiese al consiglio di amministrazione dell'universita' di dare a sua figlia una nuova stanza perche' non voleva che la dividesse con una "nera". Michelle Robinson Obama oggi e' alla Casa Bianca ma prima ancora e' stata un avvocato di successo e una madre e una moglie. La First Lady arriva da South Chicago, non dall'Upper East Side. Nessuno dei due in Italia avrebbe fatto cio' che ha fatto. Un mio amico del Congo belga, laurato in Italia a pieni voti, e' fortunato ad aver trovato un lavoro di operaio e speesso subisce le "molestie" di chi a Verona, magari senza nemmeno aver letto mai un libro, in autobus non gli si siede di fianco.
E ppure in questi anni ha governato George Bush padre, Bill Clinton e George W. Bush figlio. Non si puo' dire che al governo ci sia stato Martin Luther King. Ma qui, in America, il virus della civilta' si espande piu' veloce di una febbre e se ne frega se alla Casa Bianca c'e' uno con gli speroni ai piedi che va in giro a dichiarare guerre preventive. Il virus non si ferma e questo popolo continua, fra uno scossone e l'altro, ad inseguire sempre la sua vera stella che e' quella della liberta' e della civilta'.
Barack Obama in Italia lavorerebbe in una cartiera di Verona (con tutto il rispetto per le cartiere) e Keith Olbermann avrebbe subito qualche editto che gli avrebbe tolto la parola. Eppure, quando qualcuno, in qualche intervista, lo ha definito "un liberale", lui ha candidamente risposto "Io non sono un liberale, io sono un americano". Con diritto di parola, aggiungo io, e con il sogno di un paese migliore. Sempre.
Monday, June 14, 2010
Isole
Credo che Manhattan sia l' isola meno isolata di quelle in cui mi sia mai capitato di stare. Anche in questo ci somigliamo. Nell'essere pezzi di terra con tutto in torno il mare ma, come giĆ detto, tanti e tanti ponti per permettere a tutti di entrare e uscire. Anche Manhattan, come me, non confonde il dare l'accesso a tutti con il dare un posto a tutti. Quel posto bisogna conquistarselo. A volte, ci si rinuncia, scegliendo di vivere per sempre nel Queens o a Brooklyn, limitando il proprio contatto con la cittĆ a quelle ore passate in ufficio in cui ci si riesce a restare distanti persino dal riflesso che ti rimbalza in faccia dalla meravigliosa cima del Chrysler, il mio grattacielo preferito.
Manhattan ĆØ un'isola dove perĆ² ĆØ davvero difficile sentirsi isolati. Per la solitudine ĆØ diverso. Quella ĆØ una malattia atroce che ti si insinua sotto la pelle e di cui ĆØ difficile liberarsi. Per amare la solitudine bisogna amare profondamente sĆØ stessi e ciĆ² che si ĆØ. Bisogna amare quel silenzio che ci avvolge come un abbraccio ma che, se non ne cogliamo la dolcezza, ci puĆ² apparire come stretta mortale.
Per amare la solitudine bisogna anche aver capito che distrarsi non ĆØ sempre il meglio che possiamo fare. La distrazione ci allontana temporaneamente dai problemi o dal dolore ma anche da noi stessi e dalla nostra capacitĆ , non dico di risolverli ma almeno di guardarli in faccia e capire che ci si puĆ² convivere.
Ho paura di molte cose nelle mie lunghe giornate, in quelle in cui non riesco a vedere una via d'uscita. Ho paura quasi di tutto ma come il bambino del libro di Ammainiti, mi ripeto, con gli occhi chiusi e i pugni stretti °io non ho paura, io non ho paura°. Ho paura di tante cose con cui ho imparato a convivere, sebbene a volte vorrei farle scomparire e prendermi il lusso di sentire il mio cuore finalmente con battito regolare, abbandonarsi alla vita senza la spettrale freddezza di quell'ombra che odiosamente continua a volteggiare sopra il mio cielo, ho paura di tante cose dicevo ma non della solitudine. PerchĆ© so di non essere un'isola nonostante il mare, spesso burrascoso che mi circonda.
Manhattan ĆØ un'isola dove perĆ² ĆØ davvero difficile sentirsi isolati. Per la solitudine ĆØ diverso. Quella ĆØ una malattia atroce che ti si insinua sotto la pelle e di cui ĆØ difficile liberarsi. Per amare la solitudine bisogna amare profondamente sĆØ stessi e ciĆ² che si ĆØ. Bisogna amare quel silenzio che ci avvolge come un abbraccio ma che, se non ne cogliamo la dolcezza, ci puĆ² apparire come stretta mortale.
Per amare la solitudine bisogna anche aver capito che distrarsi non ĆØ sempre il meglio che possiamo fare. La distrazione ci allontana temporaneamente dai problemi o dal dolore ma anche da noi stessi e dalla nostra capacitĆ , non dico di risolverli ma almeno di guardarli in faccia e capire che ci si puĆ² convivere.
Ho paura di molte cose nelle mie lunghe giornate, in quelle in cui non riesco a vedere una via d'uscita. Ho paura quasi di tutto ma come il bambino del libro di Ammainiti, mi ripeto, con gli occhi chiusi e i pugni stretti °io non ho paura, io non ho paura°. Ho paura di tante cose con cui ho imparato a convivere, sebbene a volte vorrei farle scomparire e prendermi il lusso di sentire il mio cuore finalmente con battito regolare, abbandonarsi alla vita senza la spettrale freddezza di quell'ombra che odiosamente continua a volteggiare sopra il mio cielo, ho paura di tante cose dicevo ma non della solitudine. PerchĆ© so di non essere un'isola nonostante il mare, spesso burrascoso che mi circonda.
Saturday, June 12, 2010
GOL
Ero in palestra, a salire le mie scale e sudare quando Dempsey tira e Green, pensando di giocare a pallavolo, ha fatto rimbalzare la palla dentro la porta...
Tripudio.... cauto... salire le scale, correre su un tappeto, sollevare pesi e gioire non e' facilissimo... ma lo abbiamo fatto... non tutti ma alcuni.
Gli Stati Uniti sono il mio secondo team, dopo l'Italia, ovviamente, perche' qui e' la mia casa e questo e' il mio paese ora e anche perche' mi piace l'impegno di questa squadra che non ha molte chances ma non si arrende. E poi, onestamente, Capello non mi e' simpatico.
La mia terza squadra del cuore e' l'Argentina per Diego e per quella parte di una Napoli vincente che sempre lui portera' nel sorriso beffardo e in quella incontenibile gioia cosi' poco controllata ma che amo. Diego e' cosi', ti piace da matti o lo detesti. io lo amo, contraddizioni e abiti che gli stanno male compresi. Per dire questo, per dire che l'abito gli stava male, la signora Rodota' e' pagata. Io ve lo dico gratis ma vi dico anche che di quell'abito che gli stava male a me non frega nulla. Ho da poco scritto del burqa e di cio' che penso di chi giudica dagli abiti che si indossano.
Maradona e' stato un funambolo. E' stato il cuore di una citta' sempre sul punto di morire ma che si aggrappa a tutto per sopravvivere. Maradona e' stato, come detto milioni di volte, il genio e la sregolatezza. L'affetto dei suoi compagni di spogliatoio, il rispetto di tanti che lo hanno conosciuto racconta parte di quest'uomo che e' morto e risorto e che nasconde dietro una folta barba le rughe di un passato di disfacimento e brutture.
Diego e la sua palla attaccata al piede. A me non serve altro. Tutto il resto e' parte della sua vita e di quei conti che la vita, puntualmente, gli ha gettato in faccia fino quasi ad abbandonarlo. Morto... quasi morto e poi di nuovo vivo.
Quella gioia, quella platealita', quell'essere sui generis non mi stupisce ne' mi sorprende. E' Diego. Chi lo critica oggi non lo ha mai amato ieri per come si puo' amare il genio di una palla.
Ho conosciuto Diego. In un giugno magico. Era il mio compleanno e lui tornava a Napoli dopo 14 anni. Dopo l'inferno. Dopo cento purgatori e dopo il baratro. Dopo la morte.
Tornava per un amico, per Ciro Ferrara che dava l'addio al calcio. Nessuno cedeva che sarebbe arrivato. Eppure tutti aspettavano assiepati all'aeroporto, all'Hotel Majestic, ad ogni possibile angolo di strada dove la sua auto poteva passare.
Ciro mi aveva chiesto di stare li', nei suoi "paraggi" nel caso avesse bisogno di qualcosa (nonostante le mille persone disposte a dargli tutto cio' che voleva).
Sono stata io ad aver bisogno di qualcosa da lui. L'allora governatore della Campania, Bassolino, voleva che lui scrivesse una nota per napoli e i Napoletani e a me il compito di chiedergliela. Avevo il cuore in gola, il battito frenetico e le parole nei tacchi delle scarpe. Gli dissi "Diego.... ecc ecc" e lui mi risponde rivolgendosi con il "lei". Era un uomo gentile e rispettoso che mi parlava con educazione. Rimasi cosi colpita e gli chiesi scusa per quel "tu" che avevo usato. Lui mi disse che volendo potevamo darci del tu. Durante quella giornata, poi, abbiamo avuto diverse occasioni per parlare e la sera, alla festa all'Arenile, quando il mio lavoro "ufficiale" era completato, gli dissi, prima che le guardie del corpo accompagnassero me e il governatore fuori dal suo "prive' ", "Diego oggi e' il mio compleanno, fammi gli auguri". Pensavo mi avrebbe ignorato o al massimo gettato in faccia un augurio frettoloso e annoiato. Si alzo' e mi abbraccio' e mi disse "Buon compleanno Angela e grazie di tutto". Arrivo' anche Careca e tutti mi abbracciavano mentre il governatore aspettava me per andar via. "Grazie", Diego Armando Maradona mi disse grazie e con Antonio Careca mi augurarono buon compleanno.
Fu un bel compleanno. Maradona era la mia gioventu' e quegli scudetti, e quella citta' impazziata e la sensazione di contare qualcosa in un'Italia che ci guardava sempre con una smorfia di schifo.
Anni dopo, l'Espresso (credo) parlando di Antonio Bassolino, in copertina, titolo' "Diego Armando Bassolino".
Napoli ha il pregio e la condanna di avere eroi che durano il tempo di una stagione.
Ho conosciuto Diego Armando Maradona e sono felice che la vita gli sia tornata addosso, anche se sotto forma di un vestito che alla signora Rodota' non piace. Tifo Cannavaro, tifo Dempsey e tifo Maradona e me ne frego se per qualcuno sanno un po' di stantio.
Tripudio.... cauto... salire le scale, correre su un tappeto, sollevare pesi e gioire non e' facilissimo... ma lo abbiamo fatto... non tutti ma alcuni.
Gli Stati Uniti sono il mio secondo team, dopo l'Italia, ovviamente, perche' qui e' la mia casa e questo e' il mio paese ora e anche perche' mi piace l'impegno di questa squadra che non ha molte chances ma non si arrende. E poi, onestamente, Capello non mi e' simpatico.
La mia terza squadra del cuore e' l'Argentina per Diego e per quella parte di una Napoli vincente che sempre lui portera' nel sorriso beffardo e in quella incontenibile gioia cosi' poco controllata ma che amo. Diego e' cosi', ti piace da matti o lo detesti. io lo amo, contraddizioni e abiti che gli stanno male compresi. Per dire questo, per dire che l'abito gli stava male, la signora Rodota' e' pagata. Io ve lo dico gratis ma vi dico anche che di quell'abito che gli stava male a me non frega nulla. Ho da poco scritto del burqa e di cio' che penso di chi giudica dagli abiti che si indossano.
Maradona e' stato un funambolo. E' stato il cuore di una citta' sempre sul punto di morire ma che si aggrappa a tutto per sopravvivere. Maradona e' stato, come detto milioni di volte, il genio e la sregolatezza. L'affetto dei suoi compagni di spogliatoio, il rispetto di tanti che lo hanno conosciuto racconta parte di quest'uomo che e' morto e risorto e che nasconde dietro una folta barba le rughe di un passato di disfacimento e brutture.
Diego e la sua palla attaccata al piede. A me non serve altro. Tutto il resto e' parte della sua vita e di quei conti che la vita, puntualmente, gli ha gettato in faccia fino quasi ad abbandonarlo. Morto... quasi morto e poi di nuovo vivo.
Quella gioia, quella platealita', quell'essere sui generis non mi stupisce ne' mi sorprende. E' Diego. Chi lo critica oggi non lo ha mai amato ieri per come si puo' amare il genio di una palla.
Ho conosciuto Diego. In un giugno magico. Era il mio compleanno e lui tornava a Napoli dopo 14 anni. Dopo l'inferno. Dopo cento purgatori e dopo il baratro. Dopo la morte.
Tornava per un amico, per Ciro Ferrara che dava l'addio al calcio. Nessuno cedeva che sarebbe arrivato. Eppure tutti aspettavano assiepati all'aeroporto, all'Hotel Majestic, ad ogni possibile angolo di strada dove la sua auto poteva passare.
Ciro mi aveva chiesto di stare li', nei suoi "paraggi" nel caso avesse bisogno di qualcosa (nonostante le mille persone disposte a dargli tutto cio' che voleva).
Sono stata io ad aver bisogno di qualcosa da lui. L'allora governatore della Campania, Bassolino, voleva che lui scrivesse una nota per napoli e i Napoletani e a me il compito di chiedergliela. Avevo il cuore in gola, il battito frenetico e le parole nei tacchi delle scarpe. Gli dissi "Diego.... ecc ecc" e lui mi risponde rivolgendosi con il "lei". Era un uomo gentile e rispettoso che mi parlava con educazione. Rimasi cosi colpita e gli chiesi scusa per quel "tu" che avevo usato. Lui mi disse che volendo potevamo darci del tu. Durante quella giornata, poi, abbiamo avuto diverse occasioni per parlare e la sera, alla festa all'Arenile, quando il mio lavoro "ufficiale" era completato, gli dissi, prima che le guardie del corpo accompagnassero me e il governatore fuori dal suo "prive' ", "Diego oggi e' il mio compleanno, fammi gli auguri". Pensavo mi avrebbe ignorato o al massimo gettato in faccia un augurio frettoloso e annoiato. Si alzo' e mi abbraccio' e mi disse "Buon compleanno Angela e grazie di tutto". Arrivo' anche Careca e tutti mi abbracciavano mentre il governatore aspettava me per andar via. "Grazie", Diego Armando Maradona mi disse grazie e con Antonio Careca mi augurarono buon compleanno.
Fu un bel compleanno. Maradona era la mia gioventu' e quegli scudetti, e quella citta' impazziata e la sensazione di contare qualcosa in un'Italia che ci guardava sempre con una smorfia di schifo.
Anni dopo, l'Espresso (credo) parlando di Antonio Bassolino, in copertina, titolo' "Diego Armando Bassolino".
Napoli ha il pregio e la condanna di avere eroi che durano il tempo di una stagione.
Ho conosciuto Diego Armando Maradona e sono felice che la vita gli sia tornata addosso, anche se sotto forma di un vestito che alla signora Rodota' non piace. Tifo Cannavaro, tifo Dempsey e tifo Maradona e me ne frego se per qualcuno sanno un po' di stantio.
della liberta'
A New York il 90% dei palazzi (il 100% di quelli di vecchia costruzione) non hanno le lavatrici negli appartamenti. E non e' consentito averne. Di quel 90%, una parte hanno un "basement" dove ci sono lavatrici e asciugatrici a disposizione degli inquilini; altri non hanno nemmeno quello e l'alternativa e' caricarsi il sacco di biancheria in spalla e recarsi alla piu' vicina lavanderia a gettoni... si' proprio come si vede nei film. Ogni volta che penso di cambiare casa, sono fortemente attratta dai nuovi edifici con lavatrice e asciugatrice in ogni unita' abitativa. Potrei cambiare casa per quello... per una lavatrice....
La lavanderia comune ha i suoi vantaggi, pero'. Se sei fortunato puoi incontrare gente simpatica che vive nel tuo stesso palazzo e con la quale altrimenti non ti incroceresti mai (nel mio palazzo siamo circa 800 persone... difficile conoscerci tutti).
Ed, in effetti, ho incontrato persone carine con le quali ci vediamo per un caffe' o un bicchiere di vino, quando possibile.
Fra queste c'e' una giovane donna araba che, nel rispetto della sua cultura, va in giro completamente coperta tranne che per il viso.
A New York, anche una persona come me, convinta di essere assolutamente esente dal virus del razzismo, si rende conto che quella e' una patologa che si insinua molto piu' facilmente di quanto vorremmo pensare. Soprattutto se la maggior parte della vita e' trascorsa in un paese dove una serata fra amici era "internazionale" se c'era un milanese o un palermitano. Oggi le cose sono un po' diverse ma resta difficile trovare quel melting pot di culture, razze e colori che, invece, qui e' la norma.
Mi era gia' capitato una volta di pensare "accidenti che razzista che sono" quando l'agente di polizia con il quale stavo compilando una denuncia per molestie a carico della mia vicina pazza, mi aveva chiesto della sua etnicita' dicendo una cosa tipo "colore"... La mia risposta era stata "castana" non considerando proprio che la domanda potesse essere riferita alla "razza" del soggetto... cosi' ho scoperto di essere di avere ua etnicita' che non e' l'unica al mondo.
In effetti ero stata decisamente razzista un'altra volta quando, all'invito di un mio amico per un drink in un posto che non conoscevo, avevo risposto "e' un gay bar?" e lui, senza mezze misure, aveva puntualizzato "io non ti chiedo, quando mi inviti, se andiamo in un posto etero o gay".
Bene. Nonostante tutto il razzismo e' li' sempre in agguato sebbene in forme piu' lievi o che potrebbero sembrare, apparentemente, innocue.
A New York impari molto, dicevo perche', a meno che non sei uno di quegli immigrati (italiani, greci o cinesi... o altro) che vivono ogni minuto solo con persone della loro etnicita', a volte senza nemmeno parlare l'inglese, non puoi non "mescolarti" a tutti gli altri e scordarti che ci sono colori e tratti fisici diversi. Ho conosciuto una ragazza italiana che faceva uno stage presso la tv italiana qui. Mi ha detto "il mio inglese e' pessimo perche' parlo sempre italiano, perche' sono sempre con italiani". Sinceramente mi sono chiesta perche', dato l'attaccamento, non tornasse in italia. Se anche lavori con italiani, in un posto italiano, fuori c'e' tutto un mondo che ti aspetta.
L'altra sera al mio compleanno, come sempre, la mia tavola, a parte Francesco, era assolutamente priva di Italiani: ebrei, cristiani, coreani, europei, latini, australiani.... tutto il mondo, in pace, intorno ad un tavolo a dividere sorrisi. E fanculo le guerre.
Tornando alla mia vicina egiziana, pero', devo ammettere che anche in quel primo incontro ho sentito riaffiorare un pizzico di razzismo quando mi sono accorta che la stavo fissando per il fatto che era coperta da capo a piedi. Poi abbiamo iniziato a a parlare e mi sono concentrata sui suoi bellissimi occhi e su quel sorriso che irradiava di luce tutto intorno e ho dimenticato i suoi abiti e cio' che rappresentavano. Ho visto al sua bellezza, la sua intelligenza e la sua vitalita' anche attraverso quei veli e da allora, ogni volta, quando la incontro, mi sento contagiata da quel suo sorriso e quella sua gentilezza.
E ho pensato, allora se sia davvero il caso di "proibire" alle donne di indossare il burqa. Innanzitutto, il fatto che la Santanche' sostenga questa ipotesi, mi fa essere istintivamente contraria. Ci sono poche femmine urlanti e sgraziate che mi fanno venire voglia di imbalsamarle e riportarle al tempo in cui, al massimo potevano parlare con le pentole dentro casa, come la signora Santanche'. Ogni sua apertura di bocca corrisponde ad un getto di odio gratuito e irriverente. Onestamente, la trovo fastidiosa come la Palin ed essendo una femmina, anche piu' fastidiosa di Bush o di Calderoli.
Ovviamente con questo non dico che il burqa sia giusto o che lo siano tanti "precetti" musulmani. Penso solo che sarebbe meglio che le donne fossero rese prima di tutto libere di studiare, conoscere e capire e poi decidere liberamente cosa fare e come vestire. Sono certa che molte di loro non indosserebbero piu' il velo ma lo farebbero senza sentirlo come un (altro) obbligo imposto per legge. Una legge poi, quasi sempre, scritta dai maschi.
Parlando di questo, ieri ho fatto un esempio alle mie amiche dicendo che se vediamo una suora, non lo troviamo fastidioso o andiamo in giro dicendo che ci spaventano i bambini. Eppure anche le suore vanno in giro coperte tranne che per il velo al viso (come molte arabe comprese la mia vicina). La verita' e' che per me una suora potrebbe essere una bravissima servitrice di Dio anche con i jeans MA so che quel vestirsi e coprirsi e' parte di una regola che loro sentono di rispettare. E io rispetto questa loro scelta se e' cio' che desiderano.
Quando lavoravo in Italia, uno dei miei tanti lavori, avevo come capo una femmina che comincio' a mettermi in disparte perche' non amava il mio modo di vestire. Eppure io pensavo di portare una specie di divisa, con i miei abiti blu o neri o marroni... ma lo stile e' stile e quindi diciamo che il mio stile non le piaceva. Non ero una bamboletta tutta perfettina e tirata a lucido, con i bigodini sempre pronti in borsa.
E mi chiedo ancora oggi: cosa c'e' di diverso dall'essere messi in disparte per un vestito che non e' considerato "appropriato" (da qualcuno poi il cui gusto io trovavo orrido) rispetto all'obbligo di donne che devono coprirsi per poter essere "accettate" in societa'???
La diversita' sta nel fatto che per le donne arabe le leggi (assolutamente contestabili) sono scritte da uomini. In Italia, spesso le discriminazioni verso le donne sono messe in atto proprio da donne che sicuramente non rivolgerebbero la parola alla mia vicina ma che sono assolutamente a immagine e somiglianza del modello per loro creato da uomini uguali a quelli arabi, spesso persino piu' bassi e piu' ridicoli.
La lavanderia comune ha i suoi vantaggi, pero'. Se sei fortunato puoi incontrare gente simpatica che vive nel tuo stesso palazzo e con la quale altrimenti non ti incroceresti mai (nel mio palazzo siamo circa 800 persone... difficile conoscerci tutti).
Ed, in effetti, ho incontrato persone carine con le quali ci vediamo per un caffe' o un bicchiere di vino, quando possibile.
Fra queste c'e' una giovane donna araba che, nel rispetto della sua cultura, va in giro completamente coperta tranne che per il viso.
A New York, anche una persona come me, convinta di essere assolutamente esente dal virus del razzismo, si rende conto che quella e' una patologa che si insinua molto piu' facilmente di quanto vorremmo pensare. Soprattutto se la maggior parte della vita e' trascorsa in un paese dove una serata fra amici era "internazionale" se c'era un milanese o un palermitano. Oggi le cose sono un po' diverse ma resta difficile trovare quel melting pot di culture, razze e colori che, invece, qui e' la norma.
Mi era gia' capitato una volta di pensare "accidenti che razzista che sono" quando l'agente di polizia con il quale stavo compilando una denuncia per molestie a carico della mia vicina pazza, mi aveva chiesto della sua etnicita' dicendo una cosa tipo "colore"... La mia risposta era stata "castana" non considerando proprio che la domanda potesse essere riferita alla "razza" del soggetto... cosi' ho scoperto di essere di avere ua etnicita' che non e' l'unica al mondo.
In effetti ero stata decisamente razzista un'altra volta quando, all'invito di un mio amico per un drink in un posto che non conoscevo, avevo risposto "e' un gay bar?" e lui, senza mezze misure, aveva puntualizzato "io non ti chiedo, quando mi inviti, se andiamo in un posto etero o gay".
Bene. Nonostante tutto il razzismo e' li' sempre in agguato sebbene in forme piu' lievi o che potrebbero sembrare, apparentemente, innocue.
A New York impari molto, dicevo perche', a meno che non sei uno di quegli immigrati (italiani, greci o cinesi... o altro) che vivono ogni minuto solo con persone della loro etnicita', a volte senza nemmeno parlare l'inglese, non puoi non "mescolarti" a tutti gli altri e scordarti che ci sono colori e tratti fisici diversi. Ho conosciuto una ragazza italiana che faceva uno stage presso la tv italiana qui. Mi ha detto "il mio inglese e' pessimo perche' parlo sempre italiano, perche' sono sempre con italiani". Sinceramente mi sono chiesta perche', dato l'attaccamento, non tornasse in italia. Se anche lavori con italiani, in un posto italiano, fuori c'e' tutto un mondo che ti aspetta.
L'altra sera al mio compleanno, come sempre, la mia tavola, a parte Francesco, era assolutamente priva di Italiani: ebrei, cristiani, coreani, europei, latini, australiani.... tutto il mondo, in pace, intorno ad un tavolo a dividere sorrisi. E fanculo le guerre.
Tornando alla mia vicina egiziana, pero', devo ammettere che anche in quel primo incontro ho sentito riaffiorare un pizzico di razzismo quando mi sono accorta che la stavo fissando per il fatto che era coperta da capo a piedi. Poi abbiamo iniziato a a parlare e mi sono concentrata sui suoi bellissimi occhi e su quel sorriso che irradiava di luce tutto intorno e ho dimenticato i suoi abiti e cio' che rappresentavano. Ho visto al sua bellezza, la sua intelligenza e la sua vitalita' anche attraverso quei veli e da allora, ogni volta, quando la incontro, mi sento contagiata da quel suo sorriso e quella sua gentilezza.
E ho pensato, allora se sia davvero il caso di "proibire" alle donne di indossare il burqa. Innanzitutto, il fatto che la Santanche' sostenga questa ipotesi, mi fa essere istintivamente contraria. Ci sono poche femmine urlanti e sgraziate che mi fanno venire voglia di imbalsamarle e riportarle al tempo in cui, al massimo potevano parlare con le pentole dentro casa, come la signora Santanche'. Ogni sua apertura di bocca corrisponde ad un getto di odio gratuito e irriverente. Onestamente, la trovo fastidiosa come la Palin ed essendo una femmina, anche piu' fastidiosa di Bush o di Calderoli.
Ovviamente con questo non dico che il burqa sia giusto o che lo siano tanti "precetti" musulmani. Penso solo che sarebbe meglio che le donne fossero rese prima di tutto libere di studiare, conoscere e capire e poi decidere liberamente cosa fare e come vestire. Sono certa che molte di loro non indosserebbero piu' il velo ma lo farebbero senza sentirlo come un (altro) obbligo imposto per legge. Una legge poi, quasi sempre, scritta dai maschi.
Parlando di questo, ieri ho fatto un esempio alle mie amiche dicendo che se vediamo una suora, non lo troviamo fastidioso o andiamo in giro dicendo che ci spaventano i bambini. Eppure anche le suore vanno in giro coperte tranne che per il velo al viso (come molte arabe comprese la mia vicina). La verita' e' che per me una suora potrebbe essere una bravissima servitrice di Dio anche con i jeans MA so che quel vestirsi e coprirsi e' parte di una regola che loro sentono di rispettare. E io rispetto questa loro scelta se e' cio' che desiderano.
Quando lavoravo in Italia, uno dei miei tanti lavori, avevo come capo una femmina che comincio' a mettermi in disparte perche' non amava il mio modo di vestire. Eppure io pensavo di portare una specie di divisa, con i miei abiti blu o neri o marroni... ma lo stile e' stile e quindi diciamo che il mio stile non le piaceva. Non ero una bamboletta tutta perfettina e tirata a lucido, con i bigodini sempre pronti in borsa.
E mi chiedo ancora oggi: cosa c'e' di diverso dall'essere messi in disparte per un vestito che non e' considerato "appropriato" (da qualcuno poi il cui gusto io trovavo orrido) rispetto all'obbligo di donne che devono coprirsi per poter essere "accettate" in societa'???
La diversita' sta nel fatto che per le donne arabe le leggi (assolutamente contestabili) sono scritte da uomini. In Italia, spesso le discriminazioni verso le donne sono messe in atto proprio da donne che sicuramente non rivolgerebbero la parola alla mia vicina ma che sono assolutamente a immagine e somiglianza del modello per loro creato da uomini uguali a quelli arabi, spesso persino piu' bassi e piu' ridicoli.
Wednesday, June 9, 2010
(Ri)nata
Si nasce e poi si rinasce molte volte in una stessa vita. Si muore anche molte volte in una stessa vita. Forse questo dovrebbe spingerci a non aver paura della morte. PerchƩ sappiamo che, in un modo o nell'altro rinasceremo.
Io vorrei rinascere acqua di mare.
Per ora rinasco Angela, ancora una volta. Me lo ha scritto il mio amico Nicola in uno dei tantissimi auguri che da ieri alle 6 pm, mezzanotte in Italia, mi stanno avvolgendo come un abbraccio e tirandomi su, in un giorno in cui ĆØ spesso possibile sentirsi "blue". Nicola mi ha visto qui, ha guardato il mio vivere, il mio combattere, il mio incazzarmi e il mio commuovermi. Ha visto il mio essere sfinita. E mi ha scritto che sono rinata. Non posso che dargli ragione. Sono rinata dalle ceneri di me stessa (o anche dalle scorie visto che avevo consentito che i veleni di gente velenosa mi possedessero quasi completamente) e non sto dicendo che sono rinata migliore o peggiore di prima. Solo sono viva ancora e di nuovo dopo che un cuore incartapecorito e occhi azzerati di luce mi avevano fatto sentire davvero come morta.
Qualcuno, una di quelle persone che non ti aspetti, con le quali hai provato a parlare mille volte, a proporti centomila volte, oggi mi ha mandato gli auguri dicendomi "beata te che sei lontana da questo grigiore". Ironico, so che a Napoli oggi c'ĆØ un magnifico sole mentre qui, a casa mia, il cielo ĆØ grigio e il freddo ha allontanato improvvisamente la percezione dell'estate che ci aveva reso felici come bambini, liberi di correre con i piedi nella sabbia, pantaloni bianchi arrotolati ai polpacci e capelli arricciati dal sale. Il meraviglioso disordine della bellezza scomposta e libera. Per questo voglio rinascere acqua di mare. Per godere eternamente della bellezza scomposta e libera.
Eppure colei che mi parlava del grigiore italiano lo faceva con cognizione di causa. Basterebbe pensare alle uscite di ieri del capo del governo per sentire vergogna. Confesso di non aver voluto leggere nulla. So senza necessita' di sapere. La deriva di quell'uomo ĆØ spaventosa ma ancor piu' spaventoso mi appare l'idea che intorno ci sia piĆ¹ indifferenza che reale preoccupazione.
°Beata te°. Per chi di voi mi legge, sa che detesto quando mi si dice °beata te°. Il fatto che io sia andata oltre, che io viva dove dovevo vivere e che combatta ogni giorno una battaglia inane per resistere non significa che io possa o debba oggi assolvere. I giudici assolvono o condannano. Io non sono un giudice. Sono un essere umano che ĆØ stato ferito e umiliato dall'indifferenza di coloro che mi hanno brutalmente rifiutato come si rifiuta un mal di denti, se fosse possibile rifiutare un mal di denti. So, so bene, so benissimo che ci sono molti, tanti, troppi giovani ai quali non viene nemmeno data la possibilitĆ di farsi conoscere, di presentarsi... figuriamoci di essere rifiutati. Nel mio caso, invece, sono stata rifiutata, considerata inutile e nemmeno rottamata. Ci si puĆ² sentire annichiliti.
Ci si puĆ² sentire morti.
Ma si rinasce. E si torna a questa vita ancora una volta strillando come pazzi, brutti e pieni di rughe e con le manine tese quasi a respingere altri attacchi. Si rinasce come si nasce: coperti di sangue, mai bellissimi, lanciando urla che risuonano come campane in una valle deserta a dire "io ci sono, sono ancora qui"
Sono ancora qui. E le rughe si sono addolcite e la bocca ĆØ passata dall'urlo al sorriso. Se ci sono lacrime, sono silenziose, non di rabbia, non di umiliazione. Sono lacrime di stanchezza spesso. O di paura. O di incertezza. O di tristezza. Sono le lacrime di chi oggi, come tante volte, avrebbe voluto svegliarsi nel suo letto di bambina, papa' pronto con il caffĆØ, mamma con il menu' speciale del giorno e il telefono che non si ferma. Vorrei oggi essere con mia madre e mio padre. Questo vorrei, NĆØ Manolo, nĆØ Laboutin, ma essere con i mie genitori come quel giorno di tanti anni fa in cui sono arrivata a scompigliargli la vita.
Non sono beata ad essere lontana. Ma sono viva, viva come in Italia non mi era piĆ¹ consentito. Non si ĆØ beati mai. Si ĆØ vivi o morti o indifferenti. Io sono viva e di questo ne siamo certi.
A New York funziona diversamente che in Italia: non e' il festeggiato che offre agli amici ma esattamente il contrario. Il festeggiato viene celebrato perchĆ© il compleanno ĆØ il ricordo del momento in cui si nasce e si ĆØ troppo piccoli per potersi occupare di una qualsiasi cosa. Sono gli altri intorno che si occupano di te. Questa cittĆ non riesce a deludermi in nulla.
Eppure ieri e stamattina rileggendo tutti gli auguri, per lo piu' fra le lacrime, ho davvero sentito un amore profondo intorno a me. A parte quelli di qualcuno assolutamente °estraneo° che manda auguri indifferentemente a tutti quelli che sono sulla lista di FB, la quasi totalitĆ erano parole, musica e abbracci che arrivavano da chi nella mia vita ha un nome, un cognome e un posto in prima fila.
Oggi rinasco. In maniera ufficiale. E ho sogni e paure, sorrisi e lacrime, inquietudini e serenitĆ , silenzi e borbottii proprio come quel martedi di giugno in cui mia zia annuncio' gioiosa a mio padre °ĆØ femmina°.
Arrivai in una casa dove c'era un principe, mio fratello, chiamato cosi per quanto era bello con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri e il viso delicato. Per tanto tempo non sono riuscita a sentirmi una principessa ma oggi, piĆ¹ che mai, so di esserlo stato.
La principessa di mondo perfetto dove erano autorizzati i sogni, i pensieri, le parole e i colori. E di questo non saro' mai abbastanza grata a mia madre e mio padre.
Un giorno, spero lontano, voglio rinascere acqua di mare.
Oggi rinasco Angela, ancora una volta
Io vorrei rinascere acqua di mare.
Per ora rinasco Angela, ancora una volta. Me lo ha scritto il mio amico Nicola in uno dei tantissimi auguri che da ieri alle 6 pm, mezzanotte in Italia, mi stanno avvolgendo come un abbraccio e tirandomi su, in un giorno in cui ĆØ spesso possibile sentirsi "blue". Nicola mi ha visto qui, ha guardato il mio vivere, il mio combattere, il mio incazzarmi e il mio commuovermi. Ha visto il mio essere sfinita. E mi ha scritto che sono rinata. Non posso che dargli ragione. Sono rinata dalle ceneri di me stessa (o anche dalle scorie visto che avevo consentito che i veleni di gente velenosa mi possedessero quasi completamente) e non sto dicendo che sono rinata migliore o peggiore di prima. Solo sono viva ancora e di nuovo dopo che un cuore incartapecorito e occhi azzerati di luce mi avevano fatto sentire davvero come morta.
Qualcuno, una di quelle persone che non ti aspetti, con le quali hai provato a parlare mille volte, a proporti centomila volte, oggi mi ha mandato gli auguri dicendomi "beata te che sei lontana da questo grigiore". Ironico, so che a Napoli oggi c'ĆØ un magnifico sole mentre qui, a casa mia, il cielo ĆØ grigio e il freddo ha allontanato improvvisamente la percezione dell'estate che ci aveva reso felici come bambini, liberi di correre con i piedi nella sabbia, pantaloni bianchi arrotolati ai polpacci e capelli arricciati dal sale. Il meraviglioso disordine della bellezza scomposta e libera. Per questo voglio rinascere acqua di mare. Per godere eternamente della bellezza scomposta e libera.
Eppure colei che mi parlava del grigiore italiano lo faceva con cognizione di causa. Basterebbe pensare alle uscite di ieri del capo del governo per sentire vergogna. Confesso di non aver voluto leggere nulla. So senza necessita' di sapere. La deriva di quell'uomo ĆØ spaventosa ma ancor piu' spaventoso mi appare l'idea che intorno ci sia piĆ¹ indifferenza che reale preoccupazione.
°Beata te°. Per chi di voi mi legge, sa che detesto quando mi si dice °beata te°. Il fatto che io sia andata oltre, che io viva dove dovevo vivere e che combatta ogni giorno una battaglia inane per resistere non significa che io possa o debba oggi assolvere. I giudici assolvono o condannano. Io non sono un giudice. Sono un essere umano che ĆØ stato ferito e umiliato dall'indifferenza di coloro che mi hanno brutalmente rifiutato come si rifiuta un mal di denti, se fosse possibile rifiutare un mal di denti. So, so bene, so benissimo che ci sono molti, tanti, troppi giovani ai quali non viene nemmeno data la possibilitĆ di farsi conoscere, di presentarsi... figuriamoci di essere rifiutati. Nel mio caso, invece, sono stata rifiutata, considerata inutile e nemmeno rottamata. Ci si puĆ² sentire annichiliti.
Ci si puĆ² sentire morti.
Ma si rinasce. E si torna a questa vita ancora una volta strillando come pazzi, brutti e pieni di rughe e con le manine tese quasi a respingere altri attacchi. Si rinasce come si nasce: coperti di sangue, mai bellissimi, lanciando urla che risuonano come campane in una valle deserta a dire "io ci sono, sono ancora qui"
Sono ancora qui. E le rughe si sono addolcite e la bocca ĆØ passata dall'urlo al sorriso. Se ci sono lacrime, sono silenziose, non di rabbia, non di umiliazione. Sono lacrime di stanchezza spesso. O di paura. O di incertezza. O di tristezza. Sono le lacrime di chi oggi, come tante volte, avrebbe voluto svegliarsi nel suo letto di bambina, papa' pronto con il caffĆØ, mamma con il menu' speciale del giorno e il telefono che non si ferma. Vorrei oggi essere con mia madre e mio padre. Questo vorrei, NĆØ Manolo, nĆØ Laboutin, ma essere con i mie genitori come quel giorno di tanti anni fa in cui sono arrivata a scompigliargli la vita.
Non sono beata ad essere lontana. Ma sono viva, viva come in Italia non mi era piĆ¹ consentito. Non si ĆØ beati mai. Si ĆØ vivi o morti o indifferenti. Io sono viva e di questo ne siamo certi.
A New York funziona diversamente che in Italia: non e' il festeggiato che offre agli amici ma esattamente il contrario. Il festeggiato viene celebrato perchĆ© il compleanno ĆØ il ricordo del momento in cui si nasce e si ĆØ troppo piccoli per potersi occupare di una qualsiasi cosa. Sono gli altri intorno che si occupano di te. Questa cittĆ non riesce a deludermi in nulla.
Eppure ieri e stamattina rileggendo tutti gli auguri, per lo piu' fra le lacrime, ho davvero sentito un amore profondo intorno a me. A parte quelli di qualcuno assolutamente °estraneo° che manda auguri indifferentemente a tutti quelli che sono sulla lista di FB, la quasi totalitĆ erano parole, musica e abbracci che arrivavano da chi nella mia vita ha un nome, un cognome e un posto in prima fila.
Oggi rinasco. In maniera ufficiale. E ho sogni e paure, sorrisi e lacrime, inquietudini e serenitĆ , silenzi e borbottii proprio come quel martedi di giugno in cui mia zia annuncio' gioiosa a mio padre °ĆØ femmina°.
Arrivai in una casa dove c'era un principe, mio fratello, chiamato cosi per quanto era bello con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri e il viso delicato. Per tanto tempo non sono riuscita a sentirmi una principessa ma oggi, piĆ¹ che mai, so di esserlo stato.
La principessa di mondo perfetto dove erano autorizzati i sogni, i pensieri, le parole e i colori. E di questo non saro' mai abbastanza grata a mia madre e mio padre.
Un giorno, spero lontano, voglio rinascere acqua di mare.
Oggi rinasco Angela, ancora una volta
Saturday, June 5, 2010
Fratelli d'Italia
Ascoltando "Fratelli d'Italia" non si puo' non ripensare a Massimo Troisi e alla sua "versione" di uno degli inni piu' brutti fra tutti quelli esistenti al mondo. Nel film "Non ci resta che piangere", lo canticchia a una "giuliva" Amanda Sandrelli, sottolineandone l'orrenda caratteristica di marcetta militare, impunturata di parole incomprensibili. Niente a che vedere con il pathos della Marsigliese o di altri inni le cui parole sono conosciute anche da persone di diversa nazionalita'. Il cuore di Massimo smise di battere il 4 giugno del 1994, durante il sonno, il sonno di tutti gli italiani che furono risvegliati brutalmente dall'annuncio pomeridiano del telegiornale. Massimo Troisi se n'era andato senza nemmeno dire che forse non si sentiva bene, se non a coloro che gli erano piu' vicini. Tipico del suo stile. Lo stile di uno di quei napoletani che ti fanno ricordare perche' si puo' chiudere gli occhi, rivedere la strada che da Posilipo ti conduce, curva dopo curva, verso quel mare che dall'alto ti ipnotizza lo sguardo, ed essere fieri di essere napoletani. Essere napoletani senza parlare ad alta voce, senza ascoltare musica neomelodica, senza buttare carte per strada, senza ignorare le regole, senza essere in ritardo, senza andare in autobus senza biglietto, senza girare in Vespa senza casco, senza fumare sui treni. Essere napoletani ed essere civili, di quella civilta' che respira all'unisono con la cultura, con il genio che non e' strafottente e con la bravura che non e' furbizia. Si puo' essere napoletani senza doversene vergognare. Con una fierezza che ti permette il lusso di commuoverti ascoltando "Era di maggio" e di rifiutare Gigi D'Alessio anche ora che e' sdoganato da chi decide chi e' santo e chi e' eroe. Massimo Troisi e' la mia Napoli. Quella che io con orgoglio amo e che mi ha tolto il cellophane dal cuore permettendogli di respirare la vita e la sua bellezza. La mia Napoli molti non la conoscono perche' non la vogliono vedere. E molti ne occupano le strade e le case, assestando colpi alla magnificenza di una bellezza sempre piu' celata. Come quel cristo velato che amavo andae a guardare. Napoli. Alla merce' dei lazzari che si credono invincibili.
Massimo canticchiava quell'inno facendoci sorridere. Perche' il nostro inno e' davero brutto. Eppure e' il nostro inno e dovremmo amarlo come quella bandiera a tre colori che oggi ha sventolato piu' in alto di tutte per Francesca Schiavone, una donna il cui grido mi ha dato l'energia che solo le grandi imprese ti sanno dare. Francesca che oggi chiamiamo per nome come se fosse nostra sorella ma che fino a ieri era una sconosciuta e che un po' tornera' ad esserlo perche' in Italia conta solo il calcio. E anche li', gli eroi durano poco. Il mio amico Fabio e' stato l'eroe degli ultimi mondiali ma oggi, prima ancora del primo fischio della prima partita, e' gia' il responsabile della debacle dell'Italia.
Siamo un paese cosi', dai facili amori e dalle altrettanto facili disillusioni. Per questo bisogna dare atto a Berlusconi di avere un potere quasi magico a restare al suo posto da tanto tempo, ancora considerato, nonostante l'evidenza, un eroe.
Francesca ha messo il cuore in una mano e ha ribattuto ogni palla con la forza di chi ha mangiato terra amara e oggi vuole rimangiarla ma solo per capire che il sapore puo' essere dolce. Francesca ha accarezzato e baciato la coppa come si fa con un bambino, perche' qulla coppa era la sua bambina, frutto del suo amore incondizionato per quello sport che oggi l'ha resa famosa: la prima donna in Italia a salire cosi' in alto.
E guardando la premiazione e ascoltando il nostro inno ho pensato al signor Renzo Bossi e al suo non commuoversi per il tricolore. Ci fa storcere il naso il signor Bossi, che pure da quel tricolore e da una costituzione, frutto del sangue dei partigiani, deriva il suo cospicuo obolo mensile, per quel suo "ignorare' il tricolore. Eppure, non e' solo. E questo la dice lunga sul nostro disinteresse per il paese stampato sulla nostra carta d'identita'. Sono stata alle celebrazioni del 2 giugno organizzate dal Consolato italiano di New York. Come si usa qui, la serata si e' aperta con l'esecuzione degli inni, peraltro cantati da un coro di bambini. Inno americano: un insopportabile vociare che sovrastava le voci del coro; rumori di piatti, bicchieri, un fracasso di gente che sembrava non aver visto cibo dall'istaurazione della repubblica, appunto. La cosa mi ha gia' infastidito. Sia chiaro, non per spirito nazionalista ma perche' credo che ci siano dei momenti in cui il silenzio esprime un rispetto necessario. Se io vado in chiesa, resto in silenzio e spengo il telefono non perche' sono cattolica ma perche' "rispetto" chi rispetta quella liturgia. Ho pensato che il silenzio sarebbe calato all'esecuzione dell'inno di Mameli, ma mi sbagliavo. Nessuno ha alzato gli occhi a guardare il tricolore, ne' smesso per un secondo di riempire i piatti come se stesse per scoppiare un'atomica e dovessimo correre nei bunker.
Vorrei portarvi con me in uno stadio, uno di quelli giganti, diciamo il Madison Square Garden qui a New York. Ventimila persone che mangiano, bevono, fanno un gran casino in attesa della partita... poi l'inno.... il silenzio che cala nello stadio in una frazione di secondo e' incredibile... puoi essere un extra terrestre ma se hai sangue che circola nelle vene, senti un brivido. Se non lo senti allora sei sordo all'emozione. Perche' l'emozione non e' una condivisione di un'opinione. L'emozione e' un momento in cui ti sposti dalla tua dimensione e la guardi dall'alto e la vedi magnifica, qualsiasi cosa essa sia.
Sento dire spesso che noi "fuggitivi", che abbiamo lasciato il nostro paese perche' ci aveva spezzato il cuore e piu' del cuore le reni e le gambe e dato bacchettate sulle mani ogni volta che avevamo provato a tenderle per afferrare qualcosa che pure di diritto ci apparteneva, non amiamo l'Italia. Beh, io faccio il tifo per gli azzurri (e per il mio amico Cannavaro), mi sono commossa per Francesca e ascolto l'inno in silenzio. Ho insegnato alla mia amica rabbina "Era de maggio" (che canta perfettamete) e alla festa del 2 giugno ero vestita di bianco, rosso e verde.
Sono italiana e napoletana. Per dirla con dei nomi sono Francesca e Massimo. E come Francesca e Massimo, mangio spesso terra perche' inseguo un sogno. Ma, nonostante ami l'inno americano (che e' il mio secondo, ovviamente) sogno un giorno di salire finalmente sul podio della mia vita e di ascoltare, con le lacrime agli occhi, e la mano sul cuore, qulla stupida marcetta, maschilista (fratelli) e pomposa che e' l'inno del mio paese, il paese che amo e che non mi ha cacciato. A cacciarmi sono stati i lazzari che si riempiono i piatti mentre sventola il tricolore.
Massimo canticchiava quell'inno facendoci sorridere. Perche' il nostro inno e' davero brutto. Eppure e' il nostro inno e dovremmo amarlo come quella bandiera a tre colori che oggi ha sventolato piu' in alto di tutte per Francesca Schiavone, una donna il cui grido mi ha dato l'energia che solo le grandi imprese ti sanno dare. Francesca che oggi chiamiamo per nome come se fosse nostra sorella ma che fino a ieri era una sconosciuta e che un po' tornera' ad esserlo perche' in Italia conta solo il calcio. E anche li', gli eroi durano poco. Il mio amico Fabio e' stato l'eroe degli ultimi mondiali ma oggi, prima ancora del primo fischio della prima partita, e' gia' il responsabile della debacle dell'Italia.
Siamo un paese cosi', dai facili amori e dalle altrettanto facili disillusioni. Per questo bisogna dare atto a Berlusconi di avere un potere quasi magico a restare al suo posto da tanto tempo, ancora considerato, nonostante l'evidenza, un eroe.
Francesca ha messo il cuore in una mano e ha ribattuto ogni palla con la forza di chi ha mangiato terra amara e oggi vuole rimangiarla ma solo per capire che il sapore puo' essere dolce. Francesca ha accarezzato e baciato la coppa come si fa con un bambino, perche' qulla coppa era la sua bambina, frutto del suo amore incondizionato per quello sport che oggi l'ha resa famosa: la prima donna in Italia a salire cosi' in alto.
E guardando la premiazione e ascoltando il nostro inno ho pensato al signor Renzo Bossi e al suo non commuoversi per il tricolore. Ci fa storcere il naso il signor Bossi, che pure da quel tricolore e da una costituzione, frutto del sangue dei partigiani, deriva il suo cospicuo obolo mensile, per quel suo "ignorare' il tricolore. Eppure, non e' solo. E questo la dice lunga sul nostro disinteresse per il paese stampato sulla nostra carta d'identita'. Sono stata alle celebrazioni del 2 giugno organizzate dal Consolato italiano di New York. Come si usa qui, la serata si e' aperta con l'esecuzione degli inni, peraltro cantati da un coro di bambini. Inno americano: un insopportabile vociare che sovrastava le voci del coro; rumori di piatti, bicchieri, un fracasso di gente che sembrava non aver visto cibo dall'istaurazione della repubblica, appunto. La cosa mi ha gia' infastidito. Sia chiaro, non per spirito nazionalista ma perche' credo che ci siano dei momenti in cui il silenzio esprime un rispetto necessario. Se io vado in chiesa, resto in silenzio e spengo il telefono non perche' sono cattolica ma perche' "rispetto" chi rispetta quella liturgia. Ho pensato che il silenzio sarebbe calato all'esecuzione dell'inno di Mameli, ma mi sbagliavo. Nessuno ha alzato gli occhi a guardare il tricolore, ne' smesso per un secondo di riempire i piatti come se stesse per scoppiare un'atomica e dovessimo correre nei bunker.
Vorrei portarvi con me in uno stadio, uno di quelli giganti, diciamo il Madison Square Garden qui a New York. Ventimila persone che mangiano, bevono, fanno un gran casino in attesa della partita... poi l'inno.... il silenzio che cala nello stadio in una frazione di secondo e' incredibile... puoi essere un extra terrestre ma se hai sangue che circola nelle vene, senti un brivido. Se non lo senti allora sei sordo all'emozione. Perche' l'emozione non e' una condivisione di un'opinione. L'emozione e' un momento in cui ti sposti dalla tua dimensione e la guardi dall'alto e la vedi magnifica, qualsiasi cosa essa sia.
Sento dire spesso che noi "fuggitivi", che abbiamo lasciato il nostro paese perche' ci aveva spezzato il cuore e piu' del cuore le reni e le gambe e dato bacchettate sulle mani ogni volta che avevamo provato a tenderle per afferrare qualcosa che pure di diritto ci apparteneva, non amiamo l'Italia. Beh, io faccio il tifo per gli azzurri (e per il mio amico Cannavaro), mi sono commossa per Francesca e ascolto l'inno in silenzio. Ho insegnato alla mia amica rabbina "Era de maggio" (che canta perfettamete) e alla festa del 2 giugno ero vestita di bianco, rosso e verde.
Sono italiana e napoletana. Per dirla con dei nomi sono Francesca e Massimo. E come Francesca e Massimo, mangio spesso terra perche' inseguo un sogno. Ma, nonostante ami l'inno americano (che e' il mio secondo, ovviamente) sogno un giorno di salire finalmente sul podio della mia vita e di ascoltare, con le lacrime agli occhi, e la mano sul cuore, qulla stupida marcetta, maschilista (fratelli) e pomposa che e' l'inno del mio paese, il paese che amo e che non mi ha cacciato. A cacciarmi sono stati i lazzari che si riempiono i piatti mentre sventola il tricolore.
Wednesday, June 2, 2010
Signori si nasce...
Ieri ho ricevuto una mail in risposta ad una mia inviata solo poche ore prima. Il nome del mittente, per una come me che fa la giornalista (o vorrebbe fare...) era uno di quelli che ti fa istintivamente venire voglia di sistemarti il vestito e darti un tono. Siccome ero in pantaloncini e scarpette, a passeggio con Dorothy, mi sono limitata a sgranare gli occhi e chiudere la bocca per evitare un via vai di mosche (che come tutto il resto a New York sono giganti). Ho letto e riletto il testo di quella mail, come sempre faccio quando qualcosa sembra troppo bella per essere vera. Se poi da una mano hai un cane/principessa in crisi di ansia da temporale, e l'altra ti suda tanto da richiare che fantozzianamente il telefono ti sguisci, schizzando sull'aiuola di fronte, tutto diventa piu' complicato. Nel tumulto di sentimenti che mi ha aggrovigliato lo stomaco, annebbiato il cervello e congelato le mascelle, sono riuscita a sentire la gioia di quel "si" con cui iniziava la mail. Un si e' sempre un bell'inizio. E' una porta che si apre, un arcobaleno che compare fra le nuvole, la bilancia che segna due chili in meno, il conto in banca che non e' in rosso, una casa improvvisamente piu' grande. Un si' e' bello. E' come una nota di gioia, il tocco di biccheri che brindano e ti viene da pensarlo associato ad un sorriso. Per quanto abbia dovuto imparare a dire no, amo i "si".
Una mail di un giornalista di quelli con tutte le lettere maiuscole poi, che inizi con un si', e' uno spettacolo di quelli rari e da godersi come se fosse unico. Perche' anche se quel si' ancora non vuol dire nulla di preciso, nulla di definito e nulla che ti cambi la vita a trecentosessanta gradi e' pur sempre un si' che e' diverso da "sei la luce dei nostri occhi ma NO". No e' come chiuderti la porta sulla faccia quando sei troppo vicino e ti spacchi un labbro. No e' come mangiare finocchi e sedano e non perdere un grammo. No e' come guardarsi allo specchio e scoprirsi le rughe ma non la saggezza per sopportarle. No e' come il rintocco sordo di una campana a morto in una chiesa gotica di notte.
Il "si" che apriva la mail, dunque, e' stato il primo, breve, chiaro elemento di gioia. Il mio "quel momento della mia vita, quel piccolo momento, possiamo chiamarlo felicita' ".
Un istante dopo, forse due, dopo aver riletto il resto del testo della mail che si concludeva come se fossimo vecchi amici, mi ha fatto pensare che signori si nasce. Perche' per quanto il mio amico Nicola e tanti altri come lui continuino a dirmi che succede sempre cosi', io proprio non riesco ad ingoiare l'indifferenza di chi non si degna mai di rispondere a una tua mail, anche solo con un no. Anche solo con un "mi fai schifo". Perche' il silenzio e' come un "mi fai talmente schifo che non mi degno nemmeno di pigiare le mie dita su questa tastiera per scrivertelo, ne' lo chiedo alla mia segretaria che pure si sta facendo il manicure".
Se un giorno diventero' famosa ;) prometto solennemente che rispondero' a chi mi scrivera'. Perche' se mai qualcuno mi scrivera' vorra' dire che mi avra' letta e per questo merita il mio rispetto. Il fatto e' che non e' che non ti scrivono solo quelli a cui chiedi un lavoro, una collaborazione, un umiliante - spesso - obolo di sopravvivenza. Non ti rispondono nemmeno quelli per cui lavori, che ti commissionano articoli e ai quali chiedi solo che ti venga detto se va bene e quando viene pubblicato. Ho fatto una prova, per digitare "esce domani" ci vogliono 5 secondi, per inviare una mail, dunque, 10 secodi in totale. In due pagine (che normalmente un caporedattore controlla) ci sono dai due ai 5- 6 pezzi, totale 60 secondi per 6 email.... sei giornalisti che riempiono quelle pagine per cifre a volte vergognose, non valgono nemmeno 1 minuto del tempo prezioso di chi, con il culo appiccicato a quella sedia, se ne frega di tutto e di tutti perche' e' "unto dal signore".
Dallo scorso settembre collaboro con il quotidiano "Il Fatto". Sono stata messa alla prova senza avere "padrini". Il mio "capo" si chiama Stefano (Citati) ed e' un "signore" di quelli che ti fanno passare persino la voglia di restarci male se un pezzo viene cancellato. Stefano usa quotidianamente termini ad altri sconosciuti come "grazie" "scusa" "buon lavoro" "buona giornata" "il pezzo era buono". Come dovrebbe essere sempre, fra persone civili, anche se tu sei il capo e l'altro per te non e' nulla.
La verita' e' che il fatto che io sappia scrivere o meno, conta poco, pochissimo per alcuni. Io sono 60, 70, 80 righe che riempiono uno spazio che 100 altri sono pronti a riempire, a prezzi piu' bassi, condizioni peggiori e senza mai aspettarsi un grazie. L'occupazione di un posto coincide spesso con la convinzione di essere "superiori" e dunque autorizzati a far sentire gli altri come se fossero delle inutilita' fastidiose.
Io non so se quel "si" di quel giornalista con tutte le lettere maiuscole si trasformera' in qualcosa piu' di un si', ma lo ringrazio perche' quando gli ho risposto (dopo essermi data una bella calmata) ringraziandolo, lui mi ha riscritto dicendo "grazie a te".
In un paese dove il presidente del consiglio dopo essersi arrogato il diritto di offendere un po' di gente in una trasmissione, sbatte il telefono senza aspettare la replica e gli italiani non si sentono insultati perche' quel comportamento fa schifo, sfortunatamente il mio capo e il giornalista con tutte le lettere maiuscole, sono delle rarita'. Ma vivendo a New York, dove nemmeno il sindaco Bloomberg potrebbe MAI consentirsi una cosa come quella accaduta ieri a Ballaro' (per non parlare del resto) capisci che l'arroganza esiste perche' c'e' chi la consente. Signori si nasce. Sia nell'agire che nel ricevere. Ignavi, purtroppo, ci si diventa quando quell'arroganza volgare e pacchiana non trova oppositori e se te ne lamenti ti si dice "ovunque e' cosi' "
Non e' vero. Non e' cosi' ovunque. E i giornalisti con le lettere tutte maiuscole, sanno dire grazie.
Una mail di un giornalista di quelli con tutte le lettere maiuscole poi, che inizi con un si', e' uno spettacolo di quelli rari e da godersi come se fosse unico. Perche' anche se quel si' ancora non vuol dire nulla di preciso, nulla di definito e nulla che ti cambi la vita a trecentosessanta gradi e' pur sempre un si' che e' diverso da "sei la luce dei nostri occhi ma NO". No e' come chiuderti la porta sulla faccia quando sei troppo vicino e ti spacchi un labbro. No e' come mangiare finocchi e sedano e non perdere un grammo. No e' come guardarsi allo specchio e scoprirsi le rughe ma non la saggezza per sopportarle. No e' come il rintocco sordo di una campana a morto in una chiesa gotica di notte.
Il "si" che apriva la mail, dunque, e' stato il primo, breve, chiaro elemento di gioia. Il mio "quel momento della mia vita, quel piccolo momento, possiamo chiamarlo felicita' ".
Un istante dopo, forse due, dopo aver riletto il resto del testo della mail che si concludeva come se fossimo vecchi amici, mi ha fatto pensare che signori si nasce. Perche' per quanto il mio amico Nicola e tanti altri come lui continuino a dirmi che succede sempre cosi', io proprio non riesco ad ingoiare l'indifferenza di chi non si degna mai di rispondere a una tua mail, anche solo con un no. Anche solo con un "mi fai schifo". Perche' il silenzio e' come un "mi fai talmente schifo che non mi degno nemmeno di pigiare le mie dita su questa tastiera per scrivertelo, ne' lo chiedo alla mia segretaria che pure si sta facendo il manicure".
Se un giorno diventero' famosa ;) prometto solennemente che rispondero' a chi mi scrivera'. Perche' se mai qualcuno mi scrivera' vorra' dire che mi avra' letta e per questo merita il mio rispetto. Il fatto e' che non e' che non ti scrivono solo quelli a cui chiedi un lavoro, una collaborazione, un umiliante - spesso - obolo di sopravvivenza. Non ti rispondono nemmeno quelli per cui lavori, che ti commissionano articoli e ai quali chiedi solo che ti venga detto se va bene e quando viene pubblicato. Ho fatto una prova, per digitare "esce domani" ci vogliono 5 secondi, per inviare una mail, dunque, 10 secodi in totale. In due pagine (che normalmente un caporedattore controlla) ci sono dai due ai 5- 6 pezzi, totale 60 secondi per 6 email.... sei giornalisti che riempiono quelle pagine per cifre a volte vergognose, non valgono nemmeno 1 minuto del tempo prezioso di chi, con il culo appiccicato a quella sedia, se ne frega di tutto e di tutti perche' e' "unto dal signore".
Dallo scorso settembre collaboro con il quotidiano "Il Fatto". Sono stata messa alla prova senza avere "padrini". Il mio "capo" si chiama Stefano (Citati) ed e' un "signore" di quelli che ti fanno passare persino la voglia di restarci male se un pezzo viene cancellato. Stefano usa quotidianamente termini ad altri sconosciuti come "grazie" "scusa" "buon lavoro" "buona giornata" "il pezzo era buono". Come dovrebbe essere sempre, fra persone civili, anche se tu sei il capo e l'altro per te non e' nulla.
La verita' e' che il fatto che io sappia scrivere o meno, conta poco, pochissimo per alcuni. Io sono 60, 70, 80 righe che riempiono uno spazio che 100 altri sono pronti a riempire, a prezzi piu' bassi, condizioni peggiori e senza mai aspettarsi un grazie. L'occupazione di un posto coincide spesso con la convinzione di essere "superiori" e dunque autorizzati a far sentire gli altri come se fossero delle inutilita' fastidiose.
Io non so se quel "si" di quel giornalista con tutte le lettere maiuscole si trasformera' in qualcosa piu' di un si', ma lo ringrazio perche' quando gli ho risposto (dopo essermi data una bella calmata) ringraziandolo, lui mi ha riscritto dicendo "grazie a te".
In un paese dove il presidente del consiglio dopo essersi arrogato il diritto di offendere un po' di gente in una trasmissione, sbatte il telefono senza aspettare la replica e gli italiani non si sentono insultati perche' quel comportamento fa schifo, sfortunatamente il mio capo e il giornalista con tutte le lettere maiuscole, sono delle rarita'. Ma vivendo a New York, dove nemmeno il sindaco Bloomberg potrebbe MAI consentirsi una cosa come quella accaduta ieri a Ballaro' (per non parlare del resto) capisci che l'arroganza esiste perche' c'e' chi la consente. Signori si nasce. Sia nell'agire che nel ricevere. Ignavi, purtroppo, ci si diventa quando quell'arroganza volgare e pacchiana non trova oppositori e se te ne lamenti ti si dice "ovunque e' cosi' "
Non e' vero. Non e' cosi' ovunque. E i giornalisti con le lettere tutte maiuscole, sanno dire grazie.
Tuesday, June 1, 2010
Giugno
Oggi inizia giugno. Oggi inizia il mese che preferisco nell'anno, quello del mio compleanno. Quello della primavera che diventa estate. Quello della scuola che finisce e del costume da tirare fuori. Quello delle pioggie all'improvviso e delle ciliege rosse. Quello delle giornate lunghe lunghe e delle notti che sono piene di stelle. Giugno. Ne pronuncio il nome e mi viene voglia di gelato con la panna e piedi nella sabbia.
A giugno rinasco. Come in quel martedi' di qualche anno fa (diciamo 21 altrimenti non mi servono alcolici qui) qundo alle 11.45 del mattino decisi di fare la mia apparizione in questo mondo mentre mia madre era al telefono. Non ho quasi aspettato di essere in sala parto che gia' ero fuori, affamata di vita. Mia madre lo ricorda come il parto piu' veloce di cui abbia mai sentito. Quel giorno non le ho dato dolore. In tutta onesta' credo di non avergliene mai dati di troppo insopportabili, se non in quell'essere cosi' "diversa" dalle "figlie" che conosceva, quelle delle amiche, sposate, con figli, con belle case e capelli sempre a posto. Quando ho deciso di partire mio padre che mi ha sempre sostenuto, ha provato a fermarmi in tutti i modi. Cedo che la mia lontananza e precarieta' siano ancora oggi in qualche ragione della sua depressione che, pero', nemmeno da vicino potrei curare. Non io. Quando ho deciso di partire, mia madre, che pure mi aveva spesso contestato mi ha detto: "vai, lo vedo che qui non sei felice e io voglio che tu sia felice". Quattro anni fa mia madre e' stata operata di urgenza al cuore. Le sono stata accanto in ogni momento. Si e' addormentata, prima di entrare in sala operatoria, stringendo la mia mano. Ho aspettato il suo ritorno e alleviato come potevo la disperazione di mio padre. Quando e' tornata a casa abbiamo affrontato la sua depressione, tipica di chi subisce un'operazione a cuore aperto. Io, provando a far girare tutto liscio, mio padre andando a piangere nel bagno e mai davanti a lei e Dorohy, l'unica vera saggia della famiglia, stesa sempre ai suoi piedi aspettando un suo gesto per una carezza. Dorothy ama i suoi nonni come ama me. Quando mia madre e' tornata dall'ospedale si e' limitata a scodinzolare e piangere, non le e' saltata addosso per manifestare la sua gioia come era solita fare. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a capire. Dorothy ha vissuto in simbiosi con mia madre per settimane. Solo di sera veniva a dormire di fianco al mio letto sul suo cuscino. Di giorno non esisteva nessuno se non mia madre. Non vi meravigliate mai se lascio una festa un po' prima per tornare da Dorothy, perche' non voglio che stia troppo a lungo da sola. Non vi stupite.
Dopo l'operazione, mia madre ed io siamo state molto piu' unite e nonostante tutto, o forse proprio per quello, lei mi disse di partire, perche' voleva che fossi felice.
Nella follia dei miei giorni posso sempre dirle, con sincerita', che anche se non ho ancora raggiunto la felicita', sono sulla strada giusta.
Giugno e' il mio mese. Il mese in cui sono nata alla vita e in cui ritorno ad innamorarmi della vita senza stancarmi mai, senza sentirne la noia, nonostante la fatica; senza sentirne il vuoto, nonostante le paure; senza sentirne l'inutilita' nonostante quei desideri che non riesco a realizzare. Capisco perche' quel giorno volessi nascere cosi' in fretta. Ho sempre avuto fretta. Come se sapessi da sempre che, per quanto lungo sara', il tempo non sara' mai abbastanza. Perche' ci sara' sempre uno sguardo che non cogliero' o un sorriso' che mi perdero'. Sono golosa della vita. Ne vorrei molta e sempre in piu'. Se a volte sento il cuore trafitto come un puntaspilli e' solo perche' alcune cose della quotidianeita' si trasformano come catene pesanti ai piedi che mi impediscono di compiere un passo in avanti, o me lo consentono ma a costo di una fatica inumana.
Sono nata in Giugno. Lo stesso mese in cui mia zia, con un gesto leggero della mano e un sorriso, ci ha salutati. Scriveva bigliettini che appiccicava ovunque per non dimenticare di essere la prima a chiamarmi.
Sono nata in giugno e nasco ogni anno in giugno una volta di piu' e sempre la prima.
In giugno New York e' semplicemente meravigliosa. New York. Quanta fatica per arrivare fin qui. Quanti dolori. Quanti schiaffi in faccia. New York, il luogo dove era scritto che io continuassi a nascere.
A New York ho scoperto che puo' essere giugno molte volte in un anno. E torno a nascere ogni giorno con lo stesso, per molti incomprensibile, sorriso.
A giugno rinasco. Come in quel martedi' di qualche anno fa (diciamo 21 altrimenti non mi servono alcolici qui) qundo alle 11.45 del mattino decisi di fare la mia apparizione in questo mondo mentre mia madre era al telefono. Non ho quasi aspettato di essere in sala parto che gia' ero fuori, affamata di vita. Mia madre lo ricorda come il parto piu' veloce di cui abbia mai sentito. Quel giorno non le ho dato dolore. In tutta onesta' credo di non avergliene mai dati di troppo insopportabili, se non in quell'essere cosi' "diversa" dalle "figlie" che conosceva, quelle delle amiche, sposate, con figli, con belle case e capelli sempre a posto. Quando ho deciso di partire mio padre che mi ha sempre sostenuto, ha provato a fermarmi in tutti i modi. Cedo che la mia lontananza e precarieta' siano ancora oggi in qualche ragione della sua depressione che, pero', nemmeno da vicino potrei curare. Non io. Quando ho deciso di partire, mia madre, che pure mi aveva spesso contestato mi ha detto: "vai, lo vedo che qui non sei felice e io voglio che tu sia felice". Quattro anni fa mia madre e' stata operata di urgenza al cuore. Le sono stata accanto in ogni momento. Si e' addormentata, prima di entrare in sala operatoria, stringendo la mia mano. Ho aspettato il suo ritorno e alleviato come potevo la disperazione di mio padre. Quando e' tornata a casa abbiamo affrontato la sua depressione, tipica di chi subisce un'operazione a cuore aperto. Io, provando a far girare tutto liscio, mio padre andando a piangere nel bagno e mai davanti a lei e Dorohy, l'unica vera saggia della famiglia, stesa sempre ai suoi piedi aspettando un suo gesto per una carezza. Dorothy ama i suoi nonni come ama me. Quando mia madre e' tornata dall'ospedale si e' limitata a scodinzolare e piangere, non le e' saltata addosso per manifestare la sua gioia come era solita fare. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a capire. Dorothy ha vissuto in simbiosi con mia madre per settimane. Solo di sera veniva a dormire di fianco al mio letto sul suo cuscino. Di giorno non esisteva nessuno se non mia madre. Non vi meravigliate mai se lascio una festa un po' prima per tornare da Dorothy, perche' non voglio che stia troppo a lungo da sola. Non vi stupite.
Dopo l'operazione, mia madre ed io siamo state molto piu' unite e nonostante tutto, o forse proprio per quello, lei mi disse di partire, perche' voleva che fossi felice.
Nella follia dei miei giorni posso sempre dirle, con sincerita', che anche se non ho ancora raggiunto la felicita', sono sulla strada giusta.
Giugno e' il mio mese. Il mese in cui sono nata alla vita e in cui ritorno ad innamorarmi della vita senza stancarmi mai, senza sentirne la noia, nonostante la fatica; senza sentirne il vuoto, nonostante le paure; senza sentirne l'inutilita' nonostante quei desideri che non riesco a realizzare. Capisco perche' quel giorno volessi nascere cosi' in fretta. Ho sempre avuto fretta. Come se sapessi da sempre che, per quanto lungo sara', il tempo non sara' mai abbastanza. Perche' ci sara' sempre uno sguardo che non cogliero' o un sorriso' che mi perdero'. Sono golosa della vita. Ne vorrei molta e sempre in piu'. Se a volte sento il cuore trafitto come un puntaspilli e' solo perche' alcune cose della quotidianeita' si trasformano come catene pesanti ai piedi che mi impediscono di compiere un passo in avanti, o me lo consentono ma a costo di una fatica inumana.
Sono nata in Giugno. Lo stesso mese in cui mia zia, con un gesto leggero della mano e un sorriso, ci ha salutati. Scriveva bigliettini che appiccicava ovunque per non dimenticare di essere la prima a chiamarmi.
Sono nata in giugno e nasco ogni anno in giugno una volta di piu' e sempre la prima.
In giugno New York e' semplicemente meravigliosa. New York. Quanta fatica per arrivare fin qui. Quanti dolori. Quanti schiaffi in faccia. New York, il luogo dove era scritto che io continuassi a nascere.
A New York ho scoperto che puo' essere giugno molte volte in un anno. E torno a nascere ogni giorno con lo stesso, per molti incomprensibile, sorriso.
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