L'aria profuma di estate oggi. Di un'estate mediterranea piuttosto che nord americana: con brezze di vento e biancori di luce. New York ha una forza nella sua bellezza che puoi solo cogliere del tutto o mancare in assoluto. Perche' non e' nulla di simile a cio' cui il nostro occhio europeo, viziato dalle perfezioni antiche e millenarie, e' abituato. New York ha una bellezza tutta sua. Diversa dal resto dell'America, cui sembra quasi appartenere per sbaglio e diversa dal resto del mondo. New York ha una bellezza simbolica: che non e' mai insieme ma dettaglio, non e' mai sguardo ma panoramica, non è mai un rumore ma suoni scomposti in cui puoi riconoscere una melodia.
Stasera, ero alle spalle del World Trade Center, dove sono rinati i grattacieli, per riallungare le ombre in uno spazio improvvisamente pieno di luce e spazio. I grattacieli che sul lato ovest della città sovrastano una piccola baia piena di barche a vela che stasera, data la brezza, andavano e venivano senza interrompere il mormorio dell'acqua.
In un momento, ho guardato l'orizzonte e uno dei tramonti più belli si si è parato dinanzi, con la meravigliosa sorpresa che ti arriva solo dall'inatteso.
Ho socchiuso gli occhi e un attimo prima che fossero del tutto serrati, ma rischiarati dal rosso che li trafiggeva, in un piccolo frammento di quel mare ho rivisto Capri, la bella addormentata, e il suo inconfondibile profilo. Ho respirato profondamente il profumo salato che mi portava la brezza e ho sorriso: sono a casa, qui è casa mia. Ci sono vie di Napoli, da cui non riesci a vedere Capri nemmeno se ti fa un fischio e agita la mano. Io vivo a New York, su un'altra isola, ma se socchiudo gli occhi ancora so vedere Capri.
Spero che tanti turisti, soprattutto italiani, abbiano guardato il mio stesso tramonto e lo abbiano amato perdutamente.
one day, I finally decided that I wanted to be happy. And I moved to New York, with few stuff and the love of my life: Dorothy. My journey is still amazingly challenging but I learnt that I am unstoppable. And everybody should be the same.
Monday, May 31, 2010
Sunday, May 30, 2010
Facile.
C'era, mi ricordo, una pubblicita' che diceva (credo che fosse un'auto), "facile da amare". Non so se lei lo fosse. Le uniche auto che abbia mai posseduto sono state nell'ordine: una 127 color amaranto in condivisione con mio fratello, una Uno color canna di fucile che mi hanno rubato a Napoli, in strada, come altri lazzari mi hanno derubato di altre cose, e una 127 celeste "ereditata" da mia zia e rottamata prima di partire per gli Stati Uniti. Dopo il furto della mia UNO ho giurato che non avrei acquistato (beh era un regalo di mio padre) altre auto e cosi' e' stato. L'insolenza del furto e' per me insopportabile. Quando hanno rubato la mia prima Vespa, aveva oltre 15, ho pianto per ore senza tregua. Ho sinceramente capito cosa fosse l'odio. Quella furia cieca che, se avessi un'arma, ti farebbe premere un grilletto. Per questo sono FERMAMENTE contraria alle armi. Perche' uccidere non ha MAI senso e MAI ragione. Non ho mai piu' amato una Vespa come avevo amato quella, regalo di mia cognata Nicle e mio instancabile Ronzinante. Al suo posto ho preso il motorino piu' brutto e inappetibile che ci fosse. E quando e' morto mio padre mi ha regalato un Liberty nuovo di zecca. Il mio primo mezzo di locomozione tutto nuovo e tutto mio. L'ho tenuto per oltre un anno dopo la mia partenza. Separarmene per me e' stato un altro di quei momenti che ti si incrinano le poche certezze che hai e ti chiedi "ma cosa sto facendo?" Un giorno, prima di una casa, prima di un paio di Manolo, prima di un vestito di Armani, comprero' un'altra Vespa, qui, usata, gialla come i miei stivali per la pioggia e, mentre attraversero' il parco da ovest ad est, il vento in faccia mi stendera' la pelle facendomi risentire come se avessi vent'anni e sorridero'.
Non so, dicevo, se quell'auto fosse facile da amare come diceva la pubblicita'. So, pero', con certezza matematica che io non lo sono. Non sono facile e non rendo facile amarmi. Ho una ruvidezza che, spesso, allontana la mano di chi tenta di farmi una carezza. Non e' stato sempre cosi'. Scrivere e' l'unico luogo in cui mostro il "blind side", il lato debole e facilmente attaccabile. Quando scrivo, scavo fino in fondo alle vene, incido, apro falle e abbatto muri per lasciare uscire cio' che c'e'. Per questo quando finisco sono spossata e non riesco nemmeno a rileggere cio' che e' uscito dalla mia "penna". Quando scrivo, come un porcospino, ritraggo le spine alla mia stessa mano e lascio che le parole mi accarezzino, mi curino, mi medichino, anche se questo puo' dare , a volte, la stessa sensazione che mettere alcol su una ferita.
Nell'altra vita, pero', quella che attraverso ogni giorno come attraversassi un campo di battaglia, ho le mie trincee: alte e solide. Molto solide. Ho impiegato anni a costruirle. E non voglio liberarmene. Esporsi alla battaglia senza trincea e' da stupidi, da veri folli che hanno una visione romantica del vivere che non e' la mia. Il mio romanticismo e' pregno di un salutare e benefico illuminismo che mi fa dare alle cose il loro nome. Forse suona strano per una che si "vende" dicendo che sta costruendo un sogno. Ma fra sogno e illusione c'e' una differenza. Il sogno e' quella visione che ti spinge a rimboccarti le maniche e a lavorare senza sentire la fatica che ti uccide, ingoiando umiliazioni e difficolta' e inebriandoti di ogni piccolo passo in avanti, di ogni impercettibile segno della concretezza di quella visione. L'illusione e' fingersi cio' che non e' e non sara' mai. L'illusione e' andare in battaglia senza la trincea. Puoi sopravvivere perche' hai una botta di culo ma non stai seriamente combattendo per realizzare il sogno. Chi sogna e' un essere umano, chi si illude e' un martire.
I sognatori hanno trincee. E non sono facili da amare. A meno che tu non voglia farlo davvero, fino in fondo, amandoli anche senza accettarne la vita, amandoli anche senza volerli comprare, amandoli anche detestandoli. Allora si' che le trincee mostrano i varchi attraverso cui entrare dove quella ruvidezza non e' piu' necessaria, dove si puo' stare in silenzio tenendosi per mano.
A New York ho scoperto la forza degli abbracci. All'inizio mi ritraevo un po'. Poi ne ho scoperto il valore. Da noi ci si abbraccia poco e lo si fa con un certo distacco. Qui ci si abbraccia molto. Moltissimo. Per infinite e diverse ragioni. Ci si abbraccia fra donne, fra uomini, fra amici e conoscenti. E ci si stringe forte. Non sono mai abbracci accennati o appena mimati. Sono abbracci veri. Un giorno il mio portiere ha abbracciato la mia amica che aveva perso la mamma. Li guardavo e mi sono commossa. Non hanno detto una sola parola. Lui, un afro americano ha detto "Lisa" e ha stretto a se' una donna bianca, alta e con gli occhi azzurri pieni di lacrime e sono stati cosi' per alcuni secondi. Un abbraccio sa dire tanto. Forse mi sbaglio, ma non ricordo che in Italia ci sia quest'abitudine all'abbraccio. C'e' l'abitudine alle "parole" ma non ai gesti d'amore.
Qui si parla meno. Il tempo e' denaro e le persone inseguono visioni e, quindi, hanno trincee. Proprio come me. Ma per molti di loro ho aperto varchi e abbassato ponti levatoi. Quando non hanno avuto timore delle mie spine.
Ho delle amiche in Italia da una vita, dai banchi di scuola. Rosanna, Antonella, Tina, Lina, Suorliana. Loro sono porti sicuri in cui posso tornare mille e mille volte senza nemmeno mettermi gli anfibi ai piedi. Con loro posso dimenticare di essere un soldato. Sono e saro' sempre la compagna di classe un po' cicciotella e piena di ricci. E loro sono il divano di fianco alla finestra, dove ti siedi a bere una tazza di te', con un plaid sulle gambe, socchiudendo gli occhi al sole che ti riscalda. Senza difenderti da nulla.
E c'e' un'amica con cui ho diviso i fiocchi ed i grembiuli. Mimma era la mia amica di classe all'Istituto Matteo Mari di Salerno. Ricordo poco ma ricordo che era la mia AMICA. Ci siamo perse come spesso avviene. Ma lei mi ha ritrovato con Facebook e la ringrazio per questo perche' con lei ho ritrovato anche quella bambina che ero e che rischiavo di dimenticare. Mimma suona e mi sembra di sentire le sue note anche da qui. Anche senza averle mai ascoltate. Perche' ci sono le trincee e ci sono i ponti levatoi tirati su e, a volte, il cuore e' chiuso dentro l'ultima stanza, nella torre piu' alta del castello, ma non smette mai di ascoltare e di sentire chi sa suonare le note giuste.
Non so, dicevo, se quell'auto fosse facile da amare come diceva la pubblicita'. So, pero', con certezza matematica che io non lo sono. Non sono facile e non rendo facile amarmi. Ho una ruvidezza che, spesso, allontana la mano di chi tenta di farmi una carezza. Non e' stato sempre cosi'. Scrivere e' l'unico luogo in cui mostro il "blind side", il lato debole e facilmente attaccabile. Quando scrivo, scavo fino in fondo alle vene, incido, apro falle e abbatto muri per lasciare uscire cio' che c'e'. Per questo quando finisco sono spossata e non riesco nemmeno a rileggere cio' che e' uscito dalla mia "penna". Quando scrivo, come un porcospino, ritraggo le spine alla mia stessa mano e lascio che le parole mi accarezzino, mi curino, mi medichino, anche se questo puo' dare , a volte, la stessa sensazione che mettere alcol su una ferita.
Nell'altra vita, pero', quella che attraverso ogni giorno come attraversassi un campo di battaglia, ho le mie trincee: alte e solide. Molto solide. Ho impiegato anni a costruirle. E non voglio liberarmene. Esporsi alla battaglia senza trincea e' da stupidi, da veri folli che hanno una visione romantica del vivere che non e' la mia. Il mio romanticismo e' pregno di un salutare e benefico illuminismo che mi fa dare alle cose il loro nome. Forse suona strano per una che si "vende" dicendo che sta costruendo un sogno. Ma fra sogno e illusione c'e' una differenza. Il sogno e' quella visione che ti spinge a rimboccarti le maniche e a lavorare senza sentire la fatica che ti uccide, ingoiando umiliazioni e difficolta' e inebriandoti di ogni piccolo passo in avanti, di ogni impercettibile segno della concretezza di quella visione. L'illusione e' fingersi cio' che non e' e non sara' mai. L'illusione e' andare in battaglia senza la trincea. Puoi sopravvivere perche' hai una botta di culo ma non stai seriamente combattendo per realizzare il sogno. Chi sogna e' un essere umano, chi si illude e' un martire.
I sognatori hanno trincee. E non sono facili da amare. A meno che tu non voglia farlo davvero, fino in fondo, amandoli anche senza accettarne la vita, amandoli anche senza volerli comprare, amandoli anche detestandoli. Allora si' che le trincee mostrano i varchi attraverso cui entrare dove quella ruvidezza non e' piu' necessaria, dove si puo' stare in silenzio tenendosi per mano.
A New York ho scoperto la forza degli abbracci. All'inizio mi ritraevo un po'. Poi ne ho scoperto il valore. Da noi ci si abbraccia poco e lo si fa con un certo distacco. Qui ci si abbraccia molto. Moltissimo. Per infinite e diverse ragioni. Ci si abbraccia fra donne, fra uomini, fra amici e conoscenti. E ci si stringe forte. Non sono mai abbracci accennati o appena mimati. Sono abbracci veri. Un giorno il mio portiere ha abbracciato la mia amica che aveva perso la mamma. Li guardavo e mi sono commossa. Non hanno detto una sola parola. Lui, un afro americano ha detto "Lisa" e ha stretto a se' una donna bianca, alta e con gli occhi azzurri pieni di lacrime e sono stati cosi' per alcuni secondi. Un abbraccio sa dire tanto. Forse mi sbaglio, ma non ricordo che in Italia ci sia quest'abitudine all'abbraccio. C'e' l'abitudine alle "parole" ma non ai gesti d'amore.
Qui si parla meno. Il tempo e' denaro e le persone inseguono visioni e, quindi, hanno trincee. Proprio come me. Ma per molti di loro ho aperto varchi e abbassato ponti levatoi. Quando non hanno avuto timore delle mie spine.
Ho delle amiche in Italia da una vita, dai banchi di scuola. Rosanna, Antonella, Tina, Lina, Suorliana. Loro sono porti sicuri in cui posso tornare mille e mille volte senza nemmeno mettermi gli anfibi ai piedi. Con loro posso dimenticare di essere un soldato. Sono e saro' sempre la compagna di classe un po' cicciotella e piena di ricci. E loro sono il divano di fianco alla finestra, dove ti siedi a bere una tazza di te', con un plaid sulle gambe, socchiudendo gli occhi al sole che ti riscalda. Senza difenderti da nulla.
E c'e' un'amica con cui ho diviso i fiocchi ed i grembiuli. Mimma era la mia amica di classe all'Istituto Matteo Mari di Salerno. Ricordo poco ma ricordo che era la mia AMICA. Ci siamo perse come spesso avviene. Ma lei mi ha ritrovato con Facebook e la ringrazio per questo perche' con lei ho ritrovato anche quella bambina che ero e che rischiavo di dimenticare. Mimma suona e mi sembra di sentire le sue note anche da qui. Anche senza averle mai ascoltate. Perche' ci sono le trincee e ci sono i ponti levatoi tirati su e, a volte, il cuore e' chiuso dentro l'ultima stanza, nella torre piu' alta del castello, ma non smette mai di ascoltare e di sentire chi sa suonare le note giuste.
Friday, May 28, 2010
The pursuit of happiness
Ci sono sempre film che vorresti vedere, libri che ameresti leggere o musica che vorresti ascoltare. E ci sono azioni mancate, senza nemmeno una ragione speciale. anzi senza ragione e punto.
A volte, pero', questi film, questi libri, questa musica, te li ritrovi li', giusto di fronte, quando non c'e' nessun posto dove andare, nessuna incombenza da assolvere, nessun impegno da mantenere. Magari sei in aereo, in alta quota, sorvolando l'oceano che ti separa fra la vita di ieri e quella di domani e vorresti dormire ma se chiudi gli occhi senti il battito del cuore troppo forte, allora meglio guardare il film. Will Smith e' uno dei miei attori preferiti dal tempo in cui giocava a fare il principe a Bel Air. Muccino e' l'ultimo bacio e quindi la pesante leggerezza di una gioventu' che saluta dopo un'estate meravigliosa e prende il numero di telefono e l'indirizzo, "per tenersi in contatto", ma poi lo sai che non la rivedrai piu'. "La ricerca della felicita' " mi ha aspettato su quell'aereo, mentre iniziavo la mia di corsa senza nemmeno sapere quanto avesse corso un giorno Chris Gadner. Non ricordo nemmeno di aver respirato mentre guardavo il film. Ero troppo occupata a correre con Chris che, a sua volta, era occupato a rincorrere il suo sogno. Ho rivisto infinite volte la fine di quel film, quel momento piccolo e magnifico in cui il capo lo chiama per dirgli che il lavoro e' suo. Non c'era espressione di quel volto che non mi fosse familiare. Non c'era lacrima ricacciata in gola che non avesse ferito la mia gola. Non c'era voglia di urlare a squarciagola che non mi avesse contagiato. "Quel momento, quel piccolo momento della mia vita, possiamo chiamarlo felicita' ". Per una che sta sospesa fra il blu del cielo e del mare, alla ricerca di quella stessa, identica felicita', quei minuti di pellicola sono come un'iniezione di pura adrenalina.
Oggi parlavo con due amiche di quel film. "The pursuit of happiness" e mi hanno chiesto la traduzione del titolo in italiano: pursuit=ricerca. Pur sapendo di essere nel giusto ho "sentito" che fra le due parole c'erano mondi diversi, culture diverse e la storia di popoli che "corrono" e popoli che " stanziano". In inglese, la parola "pursuit", che pure si puo' tradurre con l'italiano "ricercare", ha sostanzialmente un significato molto piu' vicino al tedesco "streben". Lo "streben" e' quello spirito che ci fa "tendere a" qualcosa, con l'intento di raggiungerla. "Tendere a" e' oggettivamente diverso da "ricercare" che da' immediatamente il senso di uno che sta seduto e cerca fra altre cose quella giusta. Ricercare significa anche non trovare. Streben, pursuit o "tendere a", sono piuttosto focalizzati sull'importanza stessa dell'azione del provare ad ottenere qualcosa. in quel tendere c'e' l'unicita' dell'essere umano. In quel "tendere a" c'e' la ragione di una vita intera. Streben e pursuit non hanno un verbo italiano che possa tradurli in maniera appropriata. Tanto che persino Muccino ha usato "ricerca". Credo che nella diversita' delle lingue, ci sia il riflesso di una inclinazione filosofica, di un modo di vedersi e di volersi vedere che distingue le civilita'. Nel film, cosi come nella vita reale di Gardner, lo streben, il tendere a, sono la ragione essenziale di uno sforzo titanico che molti di noi avrebbero interrotto mille volte. Perche' in italiano, noi "ricerchiamo" e spesso non troviamo perche' manchiamo di quel vero senso necessario al raggiungimento di un obiettivo che e' lo "streben". Non che tutta l'America sia uguale, ma a New York sicuramente respiri in ogni istante la sensazione che se "tendi a" puoi arrivare a cio' a cui stavi tendendo.La mia sensazione, vivendo a Napoli, e' stata troppo spesso che si e' schiavi dell'idea che, invece, nessun cambiamento sia possibile, nessuna vittoria raggiungibile, nessun miglioramento perseguibile.
A volte credo davvero che siamo i nemici di noi stessi. Cresciuti con l'idea dell'accontentarci prima che la vita, fatta per quelli con le giuste conoscenze, ci deluda piu' di quello che comunque ci deludera'. Accontentarsi e, forse, di tanto in tanto, ricercare qualcosa che ci dia un po' di ottimismo, prima di mettere da parte anche quello ripetendoci "tanto tutto e' lo stesso".
C'e' una trasmissione qui in tv che fa vedere tutti quelli che poveri in canna (compresi i senza tetto) sono diventati miliardari. Si resta a bocca aperta. Perche' bisogna oggettivamente ammettere che da noi, forse, si contano sulle dita di una mano.
E non e' solo per la ricchezza in senso economico. Leggere la biografia di Sonya Sotomayor o di Elena Kagan, nominate da Obama alla Corte Suprema, e' come rivedere il film di Muccino. Entrambe figlie di immigrati, con vite piene di sacrifici e difficolta' e oggi alla Corte Suprema. E (ri)penso alle nostre Ministre, a tante deputate e senatrici, di entrambi gli schieramenti, e mi viene ancora una rabbia, la stessa che il film di Muccino comincio' a sciogliere, con le lacrime che mi colavano sul viso, in un aereo sospesa fra l'azzurro del mare e quello del cielo.
E' difficile sentirsi felici con tanta stanchezza addosso ma posso con certezza dire che ho dentro di me la pura gioia di chi ha ricominciato a "tendere a" e con questo a sentire che la vita ha anche un sapore buono, come un frullato di banane e fragole o un frappe' come quello che faceva mio padre quando eravamo piccoli, a casa di zia Elena, di ritorno chissa' da dove, e ce ne toccava una tazzina mentre guardavamo Gian Burrasca.
A volte, pero', questi film, questi libri, questa musica, te li ritrovi li', giusto di fronte, quando non c'e' nessun posto dove andare, nessuna incombenza da assolvere, nessun impegno da mantenere. Magari sei in aereo, in alta quota, sorvolando l'oceano che ti separa fra la vita di ieri e quella di domani e vorresti dormire ma se chiudi gli occhi senti il battito del cuore troppo forte, allora meglio guardare il film. Will Smith e' uno dei miei attori preferiti dal tempo in cui giocava a fare il principe a Bel Air. Muccino e' l'ultimo bacio e quindi la pesante leggerezza di una gioventu' che saluta dopo un'estate meravigliosa e prende il numero di telefono e l'indirizzo, "per tenersi in contatto", ma poi lo sai che non la rivedrai piu'. "La ricerca della felicita' " mi ha aspettato su quell'aereo, mentre iniziavo la mia di corsa senza nemmeno sapere quanto avesse corso un giorno Chris Gadner. Non ricordo nemmeno di aver respirato mentre guardavo il film. Ero troppo occupata a correre con Chris che, a sua volta, era occupato a rincorrere il suo sogno. Ho rivisto infinite volte la fine di quel film, quel momento piccolo e magnifico in cui il capo lo chiama per dirgli che il lavoro e' suo. Non c'era espressione di quel volto che non mi fosse familiare. Non c'era lacrima ricacciata in gola che non avesse ferito la mia gola. Non c'era voglia di urlare a squarciagola che non mi avesse contagiato. "Quel momento, quel piccolo momento della mia vita, possiamo chiamarlo felicita' ". Per una che sta sospesa fra il blu del cielo e del mare, alla ricerca di quella stessa, identica felicita', quei minuti di pellicola sono come un'iniezione di pura adrenalina.
Oggi parlavo con due amiche di quel film. "The pursuit of happiness" e mi hanno chiesto la traduzione del titolo in italiano: pursuit=ricerca. Pur sapendo di essere nel giusto ho "sentito" che fra le due parole c'erano mondi diversi, culture diverse e la storia di popoli che "corrono" e popoli che " stanziano". In inglese, la parola "pursuit", che pure si puo' tradurre con l'italiano "ricercare", ha sostanzialmente un significato molto piu' vicino al tedesco "streben". Lo "streben" e' quello spirito che ci fa "tendere a" qualcosa, con l'intento di raggiungerla. "Tendere a" e' oggettivamente diverso da "ricercare" che da' immediatamente il senso di uno che sta seduto e cerca fra altre cose quella giusta. Ricercare significa anche non trovare. Streben, pursuit o "tendere a", sono piuttosto focalizzati sull'importanza stessa dell'azione del provare ad ottenere qualcosa. in quel tendere c'e' l'unicita' dell'essere umano. In quel "tendere a" c'e' la ragione di una vita intera. Streben e pursuit non hanno un verbo italiano che possa tradurli in maniera appropriata. Tanto che persino Muccino ha usato "ricerca". Credo che nella diversita' delle lingue, ci sia il riflesso di una inclinazione filosofica, di un modo di vedersi e di volersi vedere che distingue le civilita'. Nel film, cosi come nella vita reale di Gardner, lo streben, il tendere a, sono la ragione essenziale di uno sforzo titanico che molti di noi avrebbero interrotto mille volte. Perche' in italiano, noi "ricerchiamo" e spesso non troviamo perche' manchiamo di quel vero senso necessario al raggiungimento di un obiettivo che e' lo "streben". Non che tutta l'America sia uguale, ma a New York sicuramente respiri in ogni istante la sensazione che se "tendi a" puoi arrivare a cio' a cui stavi tendendo.La mia sensazione, vivendo a Napoli, e' stata troppo spesso che si e' schiavi dell'idea che, invece, nessun cambiamento sia possibile, nessuna vittoria raggiungibile, nessun miglioramento perseguibile.
A volte credo davvero che siamo i nemici di noi stessi. Cresciuti con l'idea dell'accontentarci prima che la vita, fatta per quelli con le giuste conoscenze, ci deluda piu' di quello che comunque ci deludera'. Accontentarsi e, forse, di tanto in tanto, ricercare qualcosa che ci dia un po' di ottimismo, prima di mettere da parte anche quello ripetendoci "tanto tutto e' lo stesso".
C'e' una trasmissione qui in tv che fa vedere tutti quelli che poveri in canna (compresi i senza tetto) sono diventati miliardari. Si resta a bocca aperta. Perche' bisogna oggettivamente ammettere che da noi, forse, si contano sulle dita di una mano.
E non e' solo per la ricchezza in senso economico. Leggere la biografia di Sonya Sotomayor o di Elena Kagan, nominate da Obama alla Corte Suprema, e' come rivedere il film di Muccino. Entrambe figlie di immigrati, con vite piene di sacrifici e difficolta' e oggi alla Corte Suprema. E (ri)penso alle nostre Ministre, a tante deputate e senatrici, di entrambi gli schieramenti, e mi viene ancora una rabbia, la stessa che il film di Muccino comincio' a sciogliere, con le lacrime che mi colavano sul viso, in un aereo sospesa fra l'azzurro del mare e quello del cielo.
E' difficile sentirsi felici con tanta stanchezza addosso ma posso con certezza dire che ho dentro di me la pura gioia di chi ha ricominciato a "tendere a" e con questo a sentire che la vita ha anche un sapore buono, come un frullato di banane e fragole o un frappe' come quello che faceva mio padre quando eravamo piccoli, a casa di zia Elena, di ritorno chissa' da dove, e ce ne toccava una tazzina mentre guardavamo Gian Burrasca.
Wednesday, May 26, 2010
silenzio
Ci sono momenti in cui si lascia parlare il silenzio per quello che puo' dire e perche' sara' comunque meglio di cio' che queste dita stanche potrebbero digitare su un'altrettanto stanca tastiera.
Oggi le parole sono come pietre in un sacco vuoto e mi tengono attaccata al fondale senza nemmeno riuscire a respirare.Le parole vorrei fossero, silenziosamente, la mia voce ma anche il mio mestire, l'agire quotidiano che ti consente di vivere piu' o meno dignitosamente. Vorrei. Ma non e' cosi'. Le mie parole, in fondo, non sembrano interessare abbastanza da essere sulle pagine di un giornale una volta di piu'. Sempre una volta di meno. Ogni giorno di meno. Sarebbe meglio smettere di scrivere. Forse.
E lasciare spazio a chi su quotidiani patinati fa letteratua parlando di baldracche che si credono sante solo perche' hanno partorito o analizza film (con quello che c'e' da analizzare in Sex and the City) sbagliando persino i nomi dei protagonisti (e dopo sei serie e un altro film ci vuole dello stomaco e della sciatteria da record)
E' mezzanotte. Dopo una giornata da Cenerentola prima di avere la botta di culo, me ne vado a dormire. Sperando in una notte senza sogni. Che almeno mi riposo. E domani mi vado a guardare il film in cui AIDEN e non HAYDEN, rincontra la sua Carrie e fanculo tutti i radical chic con la puzza sotto al naso che si occupano di cio' che e' cultura con la CUL maiuscola.
Oggi le parole sono come pietre in un sacco vuoto e mi tengono attaccata al fondale senza nemmeno riuscire a respirare.Le parole vorrei fossero, silenziosamente, la mia voce ma anche il mio mestire, l'agire quotidiano che ti consente di vivere piu' o meno dignitosamente. Vorrei. Ma non e' cosi'. Le mie parole, in fondo, non sembrano interessare abbastanza da essere sulle pagine di un giornale una volta di piu'. Sempre una volta di meno. Ogni giorno di meno. Sarebbe meglio smettere di scrivere. Forse.
E lasciare spazio a chi su quotidiani patinati fa letteratua parlando di baldracche che si credono sante solo perche' hanno partorito o analizza film (con quello che c'e' da analizzare in Sex and the City) sbagliando persino i nomi dei protagonisti (e dopo sei serie e un altro film ci vuole dello stomaco e della sciatteria da record)
E' mezzanotte. Dopo una giornata da Cenerentola prima di avere la botta di culo, me ne vado a dormire. Sperando in una notte senza sogni. Che almeno mi riposo. E domani mi vado a guardare il film in cui AIDEN e non HAYDEN, rincontra la sua Carrie e fanculo tutti i radical chic con la puzza sotto al naso che si occupano di cio' che e' cultura con la CUL maiuscola.
Monday, May 24, 2010
Dell'amore
Dell'amore non si finira' di parlare mai. L'amore masticato, accarezzato, sputato, urlato, cantato, declamato, consacrato, separato, dimenticato, abbandonato e spesso non capito. L'amore ammappiciato, come la faccia al mattino quando hai dormito male e ti vedi tutte quelle rughe che poi si allentano e scompaiono. Come pure l'amore scompare. Se non e' amore.
Oggi l'amore mi ha dato tormento senza amare. O per troppo amore. Per quel segno caratteristico che ormai mi porto addosso come i miei due tatuaggi: indelebili. O come una condanna. Perche' non so amare a meta', a stagioni, a riserva, con il freno a mano tirato, con un obiettivo. Ma nemmeno so amare dopo cinque minuti, cinque secondi, cinque giorni... Ho bisogno di tempo, di fidarmi, di sentirmi ricambiata.
Il mio problema e' che non limito questo atteggiamento alle relazioni personali ma a tutto cio' che attraversa la mia vita e a cui mi degno di dare attenzione. C'e' stato un tempo in cui, l'onnipotenza della gioventu', mi faceva amare febbrilmente qualsiasi cosa e sempre. Persino, quasi, le unghie dei carnefici che, con dolore, mi affondavano nella carne. Ma poi i giorni e i mesi depositano saggezza che se la sai cogliere come un regalo, ti sa rendere giovane piu' di un lifting perche' ti libera dall'inutile sofferenza dello spreco di te stessa.
Cio' che io oggi sono e' tutto nell'amore che ho saputo cogliere e nelle ferite che ho saputo perdonarmi. Le ferite ti arrivano perche' tu ti fermi a guardare il tuo nemico armato di coltello nella sciocca convinzione che non lo afforndera'. Si pensa che amare significhi essere riamati ed comportarsi bene significhi essere salvi dalla sofferenza. La vita sarebbe di una noia mortale se fosse cosi'. L'amore e' qualcosa che nasce solo ed esclusivamente quando quel gesto di dare viene immediatamente ricambiato da un gesto di ricevere. Altrimenti e' qualcosa di diverso. L'amore non manipola, non richiede strategia, o regole, o tattiche o stupidaggini simili. L'amore e' semplice perche' cosi' complicato che non ne devi discuterne, non devi analizzarlo, non ne devi parlare con le amiche. L'amore lo respiri. L'amore c'e' o non c'e' e tu lo sai sempre e se ti sei sbagliato e' perche' non hai voluto vedere quei segni che c'erano tutti. Non li hai voluti vedere perche' a volte, abbiamo talmente tanto bisogno di qualcosa che ci riempia il cuore da non accorgerci che stiamo gonfiando un salvagente bucato che ci lascera' affogare appena prenderemo il largo. L'amore poi non e', per me, solo quello che ha a che fare con l'altro con cui condividi un pezzo (corto o lungo che sia) della tua vita. Per me l'amore e' la discriminante che mi fa sorridere o essere indifferente. Credo di avere forza nell'affrontare le tante difficolta' della mia vita attuale perche' riesco a rendermi indifferente alcune cose ma allo stesso tempo ne amo molto altre che mi ricambiano. Amo la politica. Amo il mio presidente. Per questo motivo oggi un "amico" mi ha attaccato ferocemente via mail, senza ragione se non aver postato ieri una cosa su Obama. Con tre lunghissime mail ha provato a chiarirmi perche' i democratici fanno schifo, perche' Obama e' inutile e Bush e la Palin dei grandi e perche' noi di sinistra siamo tutti incazzati e facciamo dell'ironia GRATUITA sull'ex presidente degli stati uniti e sulla signora delle foche (Palin). Mentre mi bombardava con queste mail, io ero in banca a cercare di far quadrane i conti che sono ancora lungi dal quadrare e mi chiedevo "ma de che????". Pero' non riuscivo a non rispondere perche' ditemi tutto, ma chiamarmi Obama "useless"???? Allora vuoi una lite.... Chiamarmi la signora delle foche, che vuole uccidere tutti gli immigrati e fa piu' errori di grammatica che scorregge, un esempio di madre di famiglia.... beh allora vuoi lo scontro... Ecco in quel momento un po' meno amore per la politica mi avrebbe fatto comodo per non replicare e concentrarmi sul conteggio dei dollari.
Ma l'amore e' amore. Pensare che quando sono partita dall'Italia, dopo aver lavorato per anni PER la politica, me ne era venuto il disgusto. Pero', appunto, l'amore vero, quando sei ricambiata non muore mai. E si e' riacceso subito durante la campagna elettorale per Obama. Dire che mi ha salvato la vita e' troppo. Ma siccome in questo caso nemmeno il troppo e' abbastanza, lo dico. Se mai un giorno avro' l'onore di incontrare il presidente gli diro' che mi ha salvato la vita facendomi accorgere che l'amore non era morto. Che non ero solo piana di rabbia e dolore e disgusto, che non erano quelli che mi reggevano in piedi. A reggermi c'erano quelle emozioni che tutta quella rabbbia e quel dolore e quel disgusto non avevano cancellato. A sostenermi c'era una Mostra D'Oltremare piena come mai piu' nella storia, e un uomo gentile la cui voce arrivo' alle mie orecchie di bambina come la musica del pifferaio magico. Enrico Berlinguer era un uomo gentile che e' stato disonorato come tanta parte di questo paese gentile. C'erano il 25 aprile e il 1 maggio e lo zio partigiano e "in alto a sinistra". C'era l'amore per una politica che ti riamava perche' ti arrivava al cuore. Ho amato Obama dal primo discorso che ho ascoltato e non ho ancora smesso di amarlo. Amo l'idea di un mondo migliore che lui ha. E so che non la realizzara', non in pieno. Perche' lo fermeranno o rallenteranno. Ma la sua visione e' stata una visione d'amore che non potevi non ricambiare. Ed io l'ho fatto.
Poi c'e' l'amore che si cerca come se senza la vita dovesse finire domani. O finire fra cent'anni ed essere inutile. Qull'amore che e' fatto di anelli, bambini, case, e nomi vicini a farne uno nuovo in una dimensione nuova. Un amore che mi sono resa conto di non volere e non cercare da molto tempo. Ma che quando lo dici, ti guardano strano, come quella sfigata che dice cosi' perche' non ha lo straccio di un fidanzato ed e' troppo vecchia per i figli. E questa e' l'altra parte delle insolenze dell'amore in questa giornata. La mia amica non si rassegna al mio essere cio' che sono e potremmo parlare per decenni ma mai la convincerei che cio' che io intendo per amore non ha nemmeno un punto in comune con quello che lei intende. Che non significa che il mio sia buono e il suo cattivo. Il mio amore, quello che iio chiamo amore, non ha bisogno di vicinanza, non ha bisogno di quotidianeita', ne' di bambini o di conti in comune eppure divide tutto. Una volta un uomo mi ha detto "Tu non sei l'amore della mia vita, tu sei l'amore". E quello lo puoi trovare in tante persone, in tanti modi, in tante circostanze, ma lo devi riconoscere. Devi lasciarlo invadere ogni piccola parte del tuo essere sapendo che quando sara' andato non dovrai solo sopravvivere ma vivere ancora, fieramente come se nulla fosse accaduto. L'amore ti sfibra e dilania a volte ma se e' stato vero amore ti resta in un gesto, di quelli teneri, che magari fai mentre raddrizzi il cappello sulla testa di un bambino.
Posso fare 8 ore di viaggio in un giorno per andare a Boston a pranzo con qualcuno che riesce a parlarmi in silenzio ma non posso sopportare 8 fermate di metropolitana per una cena con chi mi parla senza dirmi nulla che crei stupore.
Ecco. Il mio amore si chiama stupore.
Oggi l'amore mi ha dato tormento senza amare. O per troppo amore. Per quel segno caratteristico che ormai mi porto addosso come i miei due tatuaggi: indelebili. O come una condanna. Perche' non so amare a meta', a stagioni, a riserva, con il freno a mano tirato, con un obiettivo. Ma nemmeno so amare dopo cinque minuti, cinque secondi, cinque giorni... Ho bisogno di tempo, di fidarmi, di sentirmi ricambiata.
Il mio problema e' che non limito questo atteggiamento alle relazioni personali ma a tutto cio' che attraversa la mia vita e a cui mi degno di dare attenzione. C'e' stato un tempo in cui, l'onnipotenza della gioventu', mi faceva amare febbrilmente qualsiasi cosa e sempre. Persino, quasi, le unghie dei carnefici che, con dolore, mi affondavano nella carne. Ma poi i giorni e i mesi depositano saggezza che se la sai cogliere come un regalo, ti sa rendere giovane piu' di un lifting perche' ti libera dall'inutile sofferenza dello spreco di te stessa.
Cio' che io oggi sono e' tutto nell'amore che ho saputo cogliere e nelle ferite che ho saputo perdonarmi. Le ferite ti arrivano perche' tu ti fermi a guardare il tuo nemico armato di coltello nella sciocca convinzione che non lo afforndera'. Si pensa che amare significhi essere riamati ed comportarsi bene significhi essere salvi dalla sofferenza. La vita sarebbe di una noia mortale se fosse cosi'. L'amore e' qualcosa che nasce solo ed esclusivamente quando quel gesto di dare viene immediatamente ricambiato da un gesto di ricevere. Altrimenti e' qualcosa di diverso. L'amore non manipola, non richiede strategia, o regole, o tattiche o stupidaggini simili. L'amore e' semplice perche' cosi' complicato che non ne devi discuterne, non devi analizzarlo, non ne devi parlare con le amiche. L'amore lo respiri. L'amore c'e' o non c'e' e tu lo sai sempre e se ti sei sbagliato e' perche' non hai voluto vedere quei segni che c'erano tutti. Non li hai voluti vedere perche' a volte, abbiamo talmente tanto bisogno di qualcosa che ci riempia il cuore da non accorgerci che stiamo gonfiando un salvagente bucato che ci lascera' affogare appena prenderemo il largo. L'amore poi non e', per me, solo quello che ha a che fare con l'altro con cui condividi un pezzo (corto o lungo che sia) della tua vita. Per me l'amore e' la discriminante che mi fa sorridere o essere indifferente. Credo di avere forza nell'affrontare le tante difficolta' della mia vita attuale perche' riesco a rendermi indifferente alcune cose ma allo stesso tempo ne amo molto altre che mi ricambiano. Amo la politica. Amo il mio presidente. Per questo motivo oggi un "amico" mi ha attaccato ferocemente via mail, senza ragione se non aver postato ieri una cosa su Obama. Con tre lunghissime mail ha provato a chiarirmi perche' i democratici fanno schifo, perche' Obama e' inutile e Bush e la Palin dei grandi e perche' noi di sinistra siamo tutti incazzati e facciamo dell'ironia GRATUITA sull'ex presidente degli stati uniti e sulla signora delle foche (Palin). Mentre mi bombardava con queste mail, io ero in banca a cercare di far quadrane i conti che sono ancora lungi dal quadrare e mi chiedevo "ma de che????". Pero' non riuscivo a non rispondere perche' ditemi tutto, ma chiamarmi Obama "useless"???? Allora vuoi una lite.... Chiamarmi la signora delle foche, che vuole uccidere tutti gli immigrati e fa piu' errori di grammatica che scorregge, un esempio di madre di famiglia.... beh allora vuoi lo scontro... Ecco in quel momento un po' meno amore per la politica mi avrebbe fatto comodo per non replicare e concentrarmi sul conteggio dei dollari.
Ma l'amore e' amore. Pensare che quando sono partita dall'Italia, dopo aver lavorato per anni PER la politica, me ne era venuto il disgusto. Pero', appunto, l'amore vero, quando sei ricambiata non muore mai. E si e' riacceso subito durante la campagna elettorale per Obama. Dire che mi ha salvato la vita e' troppo. Ma siccome in questo caso nemmeno il troppo e' abbastanza, lo dico. Se mai un giorno avro' l'onore di incontrare il presidente gli diro' che mi ha salvato la vita facendomi accorgere che l'amore non era morto. Che non ero solo piana di rabbia e dolore e disgusto, che non erano quelli che mi reggevano in piedi. A reggermi c'erano quelle emozioni che tutta quella rabbbia e quel dolore e quel disgusto non avevano cancellato. A sostenermi c'era una Mostra D'Oltremare piena come mai piu' nella storia, e un uomo gentile la cui voce arrivo' alle mie orecchie di bambina come la musica del pifferaio magico. Enrico Berlinguer era un uomo gentile che e' stato disonorato come tanta parte di questo paese gentile. C'erano il 25 aprile e il 1 maggio e lo zio partigiano e "in alto a sinistra". C'era l'amore per una politica che ti riamava perche' ti arrivava al cuore. Ho amato Obama dal primo discorso che ho ascoltato e non ho ancora smesso di amarlo. Amo l'idea di un mondo migliore che lui ha. E so che non la realizzara', non in pieno. Perche' lo fermeranno o rallenteranno. Ma la sua visione e' stata una visione d'amore che non potevi non ricambiare. Ed io l'ho fatto.
Poi c'e' l'amore che si cerca come se senza la vita dovesse finire domani. O finire fra cent'anni ed essere inutile. Qull'amore che e' fatto di anelli, bambini, case, e nomi vicini a farne uno nuovo in una dimensione nuova. Un amore che mi sono resa conto di non volere e non cercare da molto tempo. Ma che quando lo dici, ti guardano strano, come quella sfigata che dice cosi' perche' non ha lo straccio di un fidanzato ed e' troppo vecchia per i figli. E questa e' l'altra parte delle insolenze dell'amore in questa giornata. La mia amica non si rassegna al mio essere cio' che sono e potremmo parlare per decenni ma mai la convincerei che cio' che io intendo per amore non ha nemmeno un punto in comune con quello che lei intende. Che non significa che il mio sia buono e il suo cattivo. Il mio amore, quello che iio chiamo amore, non ha bisogno di vicinanza, non ha bisogno di quotidianeita', ne' di bambini o di conti in comune eppure divide tutto. Una volta un uomo mi ha detto "Tu non sei l'amore della mia vita, tu sei l'amore". E quello lo puoi trovare in tante persone, in tanti modi, in tante circostanze, ma lo devi riconoscere. Devi lasciarlo invadere ogni piccola parte del tuo essere sapendo che quando sara' andato non dovrai solo sopravvivere ma vivere ancora, fieramente come se nulla fosse accaduto. L'amore ti sfibra e dilania a volte ma se e' stato vero amore ti resta in un gesto, di quelli teneri, che magari fai mentre raddrizzi il cappello sulla testa di un bambino.
Posso fare 8 ore di viaggio in un giorno per andare a Boston a pranzo con qualcuno che riesce a parlarmi in silenzio ma non posso sopportare 8 fermate di metropolitana per una cena con chi mi parla senza dirmi nulla che crei stupore.
Ecco. Il mio amore si chiama stupore.
Sunday, May 23, 2010
Rosa Parks
Il 1 dicembre del 1955, a Montgomery, cittadina dell'Alabama, Rosa Louise McCauley Parks, 42 anni e tanta stanchezza nelle gambe, rifiuto' di alzarsi per lasciare il suo posto ad un passeggero bianco. Il 4 novembre del 2008, Barack Obama, afro americano, diventa il 44mo presidente degli Stati Uniti.
La storia e' fatta di grandi azioni e di piccoli gesti di cui ognuno puo' diventare protagonista. Ieri sono stata in una scuola elementare di Harlem: 148ma strada, ai confini della Manhattan dei grattacieli, dall'altra parte di Wall Street e del World Trade Center. Dall'altra parte di tanti di noi che raramente ci avviciniamo ad un mondo che, diciamolo, continua a spaventarci. Nell'auditorium della scuola c'erano le premiazioni per un torneo di scacchi organizzato fra le varie scuole elementari cittadine. Nell'attraversare i corridoi che portavano alla bella sala/teatro, sono passata davanti a tante aule. Barack Obama era li, appeso alle porte, con le copertine dei giornali che raccontavano la sua elezione e quel giorno in cui per ciascuno di questi bambini che la mattina siedono nei banchi studiano algebra e geografia, si e' aperta una nuova speranza. Ricordo di aver pianto come da tempo non mi capitava in quella notte magica ma anche con il pudore di chi sa che quella vittoria era meno mia di quanto non lo fosse per tutti coloro il cui colore della pelle racconta, urla, denuncia ogni sacrosanto giorno una storia di schiavitu' e di diritti negati. Quella vittoria, per quanto dovuta a tutti gli americani che sanno ancora credere nella forza della speranza e del lavoro, e' stata soprattutto la loro vittoria. Il prezzo, nemmeno intero, che la storia gli doveva. Nell'auditorium, sulle due grandi pareti laterali c'erano i disegni a matita, giganti, di Malcom X, Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, Barack Obama e di Rosa Parks. Gli uomini e le donne che hanno creduto in un mondo migliore e sono rimasti al loro posto per questo: su un autobus, o alla Casa Bianca, o nelle strade, raccontando di quel sogno che come un virus ha contagiato milioni di persone in tutto il mondo. Sull'altra parete, fiero, Geronimo guardava i figli di coloro che avevano distrutto e macellato la sua gente e mi chiedevo se quell'essere in una stessa sala, fra i "grandi" bastasse a pacificare la memoria di un popolo cacciato via dalla sua terra. Il mio sguardo andava da Geronimo a Rosa Parks e l'emozione mi ha incollato a quella poltrona e mi ha fatto sentire fiera di vivere in un paese che ha sulle sue spalle crimini atroci e peccati mortali ma che ha anche, forte, la forza dell'ideale e della fierezza. Amo l'America non perche' sia un paese perfetto. Ma perche' pur nella sua profonda imperfezione non ha cancellato la dignita' di chi, ostinatamente, resta al proprio posto.
E sbaglia chi crede che sia semplice. Che un gesto rivoluzionario debba diventare rivoluzione. Prima di Rosa Parks altre donne erano rimaste sedute: Irene Morgan nel 1946, Sarah Louise Keys nel 1955 e Claudette Colvin di soli 15 anni. Non sempre i piccoli gesti diventano grandi rivoluzioni. E non e' per quello che vanno fatti. Vanno fatti perche' si e' stanchi di subire, essere conniventi e assistere inerti ad un'ingiustizia. Rosa Parks sapeva che non c'era nemmeno l'ombra della giustizia nel cedere il posto a quelcuno solo perche' la sua pelle era bianca. Rosa Parks era stanca morta e disposta a morire per quella sua stanchezza. A volte bisogna essere davvero stanchi prima di diventare dei rivoluzionari.
Diciotto anni fa, Giovanni Falcone e sua moglie e gli uomini della sua scorta sono morti a Capaci. Uccisi dalla mafia e dalla connivenza di un paese indifferente e ripiegato su se' stesso. Quel paese che Peppino Impastato attaccava da un microfono fino a che non gli hanno tolto la voce. Il silenzio uccide. Peppino parlava e combatteva chi a "cento passi" di distanza fingeva di non sapere e non vedere. Combatteva loro, i conniventi, prima ancora che i mafiosi.
Eppure la mafia non si combatte solo come hanno fatto Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e tanti altri. La mafia si combatte dicendo di no ad un sistema mafioso che ormai si e' allargato alla quotidianeita' del vivere. Per ogni volta che per ricevere un servizio che ci e' dovuto abbiamo bisogno di chiedere "all'amico", noi stiamo sostenendo la mafia e il suo modus vivendi. per ogni volta che per ottenere un lavoro dobbiamo raccomandarci al politico di turno, stiamo sostenendo un sistema mafioso. Per ogni volta che per aggirare la legge, anche per piccole cose, stiamo chiedendo l'intervento dell'amico traffichino, siamo conniventi di un sistema mafioso. Per ogni volta che rassegnati e indifferenti diciamo che "tanto non puo' cambiare", siamo complici di un sistema mafioso. I soldati della mafia non hanno sempre una pistola. Spesso, troppo spesso, hanno solo la convinzione che adattarsi ad un sistema sia la cosa meno dolorosa e sicuramente la piu' comoda. I soldati della mafia, quelli che hanno fatto saltare in aria l'auto di Giovanni Falcone, siamo noi. Nessuno escluso.
Noi siamo i soldati della mafia perche' pensiamo che non ci sia niente in comune fra Rosa Parks e Paolo Borsellino. Noi siamo i soldati della mafia perche' ci consoliamo pensando che, si' e' vero, Barack Obama non e' un eroe o un santo e quindi non e' diverso dal nostro presidente. Noi siamo i soldati della mafia perche' oggi fra il racconto dell'impresa dell'Inter e le scene di Capaci, scegliamo la prima. Noi siamo i soldati della mafia e siamo un esercito.
La storia e' fatta di grandi azioni e di piccoli gesti di cui ognuno puo' diventare protagonista. Ieri sono stata in una scuola elementare di Harlem: 148ma strada, ai confini della Manhattan dei grattacieli, dall'altra parte di Wall Street e del World Trade Center. Dall'altra parte di tanti di noi che raramente ci avviciniamo ad un mondo che, diciamolo, continua a spaventarci. Nell'auditorium della scuola c'erano le premiazioni per un torneo di scacchi organizzato fra le varie scuole elementari cittadine. Nell'attraversare i corridoi che portavano alla bella sala/teatro, sono passata davanti a tante aule. Barack Obama era li, appeso alle porte, con le copertine dei giornali che raccontavano la sua elezione e quel giorno in cui per ciascuno di questi bambini che la mattina siedono nei banchi studiano algebra e geografia, si e' aperta una nuova speranza. Ricordo di aver pianto come da tempo non mi capitava in quella notte magica ma anche con il pudore di chi sa che quella vittoria era meno mia di quanto non lo fosse per tutti coloro il cui colore della pelle racconta, urla, denuncia ogni sacrosanto giorno una storia di schiavitu' e di diritti negati. Quella vittoria, per quanto dovuta a tutti gli americani che sanno ancora credere nella forza della speranza e del lavoro, e' stata soprattutto la loro vittoria. Il prezzo, nemmeno intero, che la storia gli doveva. Nell'auditorium, sulle due grandi pareti laterali c'erano i disegni a matita, giganti, di Malcom X, Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, Barack Obama e di Rosa Parks. Gli uomini e le donne che hanno creduto in un mondo migliore e sono rimasti al loro posto per questo: su un autobus, o alla Casa Bianca, o nelle strade, raccontando di quel sogno che come un virus ha contagiato milioni di persone in tutto il mondo. Sull'altra parete, fiero, Geronimo guardava i figli di coloro che avevano distrutto e macellato la sua gente e mi chiedevo se quell'essere in una stessa sala, fra i "grandi" bastasse a pacificare la memoria di un popolo cacciato via dalla sua terra. Il mio sguardo andava da Geronimo a Rosa Parks e l'emozione mi ha incollato a quella poltrona e mi ha fatto sentire fiera di vivere in un paese che ha sulle sue spalle crimini atroci e peccati mortali ma che ha anche, forte, la forza dell'ideale e della fierezza. Amo l'America non perche' sia un paese perfetto. Ma perche' pur nella sua profonda imperfezione non ha cancellato la dignita' di chi, ostinatamente, resta al proprio posto.
E sbaglia chi crede che sia semplice. Che un gesto rivoluzionario debba diventare rivoluzione. Prima di Rosa Parks altre donne erano rimaste sedute: Irene Morgan nel 1946, Sarah Louise Keys nel 1955 e Claudette Colvin di soli 15 anni. Non sempre i piccoli gesti diventano grandi rivoluzioni. E non e' per quello che vanno fatti. Vanno fatti perche' si e' stanchi di subire, essere conniventi e assistere inerti ad un'ingiustizia. Rosa Parks sapeva che non c'era nemmeno l'ombra della giustizia nel cedere il posto a quelcuno solo perche' la sua pelle era bianca. Rosa Parks era stanca morta e disposta a morire per quella sua stanchezza. A volte bisogna essere davvero stanchi prima di diventare dei rivoluzionari.
Diciotto anni fa, Giovanni Falcone e sua moglie e gli uomini della sua scorta sono morti a Capaci. Uccisi dalla mafia e dalla connivenza di un paese indifferente e ripiegato su se' stesso. Quel paese che Peppino Impastato attaccava da un microfono fino a che non gli hanno tolto la voce. Il silenzio uccide. Peppino parlava e combatteva chi a "cento passi" di distanza fingeva di non sapere e non vedere. Combatteva loro, i conniventi, prima ancora che i mafiosi.
Eppure la mafia non si combatte solo come hanno fatto Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e tanti altri. La mafia si combatte dicendo di no ad un sistema mafioso che ormai si e' allargato alla quotidianeita' del vivere. Per ogni volta che per ricevere un servizio che ci e' dovuto abbiamo bisogno di chiedere "all'amico", noi stiamo sostenendo la mafia e il suo modus vivendi. per ogni volta che per ottenere un lavoro dobbiamo raccomandarci al politico di turno, stiamo sostenendo un sistema mafioso. Per ogni volta che per aggirare la legge, anche per piccole cose, stiamo chiedendo l'intervento dell'amico traffichino, siamo conniventi di un sistema mafioso. Per ogni volta che rassegnati e indifferenti diciamo che "tanto non puo' cambiare", siamo complici di un sistema mafioso. I soldati della mafia non hanno sempre una pistola. Spesso, troppo spesso, hanno solo la convinzione che adattarsi ad un sistema sia la cosa meno dolorosa e sicuramente la piu' comoda. I soldati della mafia, quelli che hanno fatto saltare in aria l'auto di Giovanni Falcone, siamo noi. Nessuno escluso.
Noi siamo i soldati della mafia perche' pensiamo che non ci sia niente in comune fra Rosa Parks e Paolo Borsellino. Noi siamo i soldati della mafia perche' ci consoliamo pensando che, si' e' vero, Barack Obama non e' un eroe o un santo e quindi non e' diverso dal nostro presidente. Noi siamo i soldati della mafia perche' oggi fra il racconto dell'impresa dell'Inter e le scene di Capaci, scegliamo la prima. Noi siamo i soldati della mafia e siamo un esercito.
Saturday, May 22, 2010
Evangelina
Bisogna sempre scegliere fra l'arrendersi e il lottare. In ogni cosa. Quando non si sceglie e si fanno spallucce alla vita, "lasciando correre", si sta solo sprecando il proprio tempo. Che e' prezioso.
Non c'e' un solo momento della giornata a Manhattan in cui questo senso della vita, continuamente in bilico fra la lotta e la resa, non ti viene simbolicamente ricordato in qualche modo. New York e' una citta' che lotta quotidianamente contro la tentazione della resa dettata dalla paura di essere colpita ancora in un modo o nell'altro. Anche la caduta di Wall Street e' uno di quei "modi" perche' colpisce una citta' che vive del suo allure di ricchezza e di vita splendente, non sempre vero ma assolutamente reale.
In qualsiasi momento della notte o del giorno, se sei in strada e ti abbandoni al respiro della citta', puoi avvertirne questa lotta costante e questo indomito spirito alla ribellione, anche attraverso i lustrini. No, cara signora Rodota', non sono affatto d'accordo con le sue considerazioni su Sex and the city che (sicuramente) non sara' un film da videoteca radical chic (chi mai lo ha "venduto" come tale) ma non per quello sfarzo di vestiti che "offendono" chi non puo' permetterseli. Nessuno si senta offeso... canterebbe De Gregori... Nessuna offesa, signora Rodota'. Non qui a New York. Non piu' di quelle che potrebbero provare le operaie italiane in cassa integrazione e con figli da crescere nel guardare il suo gurdaroba dove sono sicura non manca qualche cashmere. Come non mancano nel mio, frutto di tempi in cui potevo permettermeli. Qui non si e' contro la ricchezza che arriva dal lavoro (le quattro lavorano e la signora Rodota' dovrebbe sapere che gli avvocati sono le persone piu' pagate in citta' - con i medici - e che le PR e le giornaliste seguono a ruota), quindi non vedo perche' ci si possa offendere di un film che vuole, per un'ora e mezzo "allontanarti" dal tuo limbo e farti abbellire gli occhi. Conosco milionari americani qui a New York che hanno perso molti, molti, molti soldi nella crisi di Wall Street ma, essendo milionari, continuano ad avere belle case (senza nemmeno spostarsi 12 piani sotto) e a vestire nello stesso modo). Insomma, signora Rodota', io SATC 2 me lo vado a vedere per quello che e' e per ripetermi che, presto, quella maglietta "I LOVE Dior" me la compro, con il mio sudore ma me la compro perche' e' bella (per me of course).
Amo questa citta' per questo. Per il suo respiro frenetico ma regolare e per l'essere capitalista e socialista insieme. Capitalista perche' i soldi contano, socialista perche' se sei disposto a lavorare sodo, sono per tutti. Il problema viene dopo, quando li hai. E' allora che puoi decidere se comprare solo scarpe di Jimmy Choo o anche aiutare chi di scarpe non ha nemmeno l'idea. Senza soldi in tasca e' facile fare gli eroi (del socialismo). Ecco perche' amo Sean Penn e me ne frego se mena i paparazzi. Perche' lui sta lavorando con le sue mani ad Haiti per aiutare quelle persone senza nemmeno piu' il senso di cio' che sara' il loro domani.
Da qualche anno, ho adottato un bambino a distanza in Africa. Conservo tutte le cose che mi manda e lo vedo "crescere" a distanza ma con infinito orgoglio. Il suo mantenimento, peraltro molto economico, non entra MAI nelle cose da poter potenzialmente abolire per la sopravvivenza. Potendo ne adotterei altri. Potendo andrei di corsa sulla 54ma fra quinta e sesta a comprarmi un paio di Manolo. E mi sentirei felice per entrambi, Senza retorica.
Ieri sera ho guardato "La principessa e la rana" (spero che la signora Rodota' non si senta offesa) e c'e' la stella "dei desideri" che si chiamava Evangelina. Ho pianto come sempre quando guardo i film della Disney e, senza vergogna, ho guardato il cielo, passeggiando con Dorothy, per cercare la mia Evangelina. Per me si chiama Elena. E' mia zia.
Ho dormito senza sogni come ogni tanto capita. Al risveglio "l'annuncio" di un bonifico in arrivo: circa 400 euro, 400 motivi per sorridere e respirare. L'affitto (che costa 4 volte tanto) si paghera'. E per festeggiare stasera cena indiana "cheap" con amiche con le quali andremo, vestite dei migliori vestiti, a vedere Sex and the City e magari ci commuoveremo pure. Tie'.
Ho visto che 100 persone hanno visitato questo blog. Altre cento ragioni per sorridere. Cento respiri in piu' da respirare.
Alcuni di voi mi scrivono. Per me e' vita che mi scorre nelle vene e vi ringrazio per questo. Scrivere queste cose della mia vita non e' facile, non e' una passeggiata. Voi mi tenete per mano.
Ieri in molti mi avete detto che anche li' in Italia la situazione e' dura. Se ho il coraggio di parlarvi del mio sogno e delle mie fatiche e delle mie cadute con la faccia sull'asfalto e' perche' lo so. Un giorno il mio amico Peppe Lanzetta, scrittore che amo come amo (e adoro) Erri De Luca, mi disse "Vitalia' non dividere mai il tuo dolore con chi non puo' capire".
Io so che voi che leggete, come me, senza sentirvi stupidi, sapete ancora alzare lo sguardo per cercare la vostra Evangelina.
Non c'e' un solo momento della giornata a Manhattan in cui questo senso della vita, continuamente in bilico fra la lotta e la resa, non ti viene simbolicamente ricordato in qualche modo. New York e' una citta' che lotta quotidianamente contro la tentazione della resa dettata dalla paura di essere colpita ancora in un modo o nell'altro. Anche la caduta di Wall Street e' uno di quei "modi" perche' colpisce una citta' che vive del suo allure di ricchezza e di vita splendente, non sempre vero ma assolutamente reale.
In qualsiasi momento della notte o del giorno, se sei in strada e ti abbandoni al respiro della citta', puoi avvertirne questa lotta costante e questo indomito spirito alla ribellione, anche attraverso i lustrini. No, cara signora Rodota', non sono affatto d'accordo con le sue considerazioni su Sex and the city che (sicuramente) non sara' un film da videoteca radical chic (chi mai lo ha "venduto" come tale) ma non per quello sfarzo di vestiti che "offendono" chi non puo' permetterseli. Nessuno si senta offeso... canterebbe De Gregori... Nessuna offesa, signora Rodota'. Non qui a New York. Non piu' di quelle che potrebbero provare le operaie italiane in cassa integrazione e con figli da crescere nel guardare il suo gurdaroba dove sono sicura non manca qualche cashmere. Come non mancano nel mio, frutto di tempi in cui potevo permettermeli. Qui non si e' contro la ricchezza che arriva dal lavoro (le quattro lavorano e la signora Rodota' dovrebbe sapere che gli avvocati sono le persone piu' pagate in citta' - con i medici - e che le PR e le giornaliste seguono a ruota), quindi non vedo perche' ci si possa offendere di un film che vuole, per un'ora e mezzo "allontanarti" dal tuo limbo e farti abbellire gli occhi. Conosco milionari americani qui a New York che hanno perso molti, molti, molti soldi nella crisi di Wall Street ma, essendo milionari, continuano ad avere belle case (senza nemmeno spostarsi 12 piani sotto) e a vestire nello stesso modo). Insomma, signora Rodota', io SATC 2 me lo vado a vedere per quello che e' e per ripetermi che, presto, quella maglietta "I LOVE Dior" me la compro, con il mio sudore ma me la compro perche' e' bella (per me of course).
Amo questa citta' per questo. Per il suo respiro frenetico ma regolare e per l'essere capitalista e socialista insieme. Capitalista perche' i soldi contano, socialista perche' se sei disposto a lavorare sodo, sono per tutti. Il problema viene dopo, quando li hai. E' allora che puoi decidere se comprare solo scarpe di Jimmy Choo o anche aiutare chi di scarpe non ha nemmeno l'idea. Senza soldi in tasca e' facile fare gli eroi (del socialismo). Ecco perche' amo Sean Penn e me ne frego se mena i paparazzi. Perche' lui sta lavorando con le sue mani ad Haiti per aiutare quelle persone senza nemmeno piu' il senso di cio' che sara' il loro domani.
Da qualche anno, ho adottato un bambino a distanza in Africa. Conservo tutte le cose che mi manda e lo vedo "crescere" a distanza ma con infinito orgoglio. Il suo mantenimento, peraltro molto economico, non entra MAI nelle cose da poter potenzialmente abolire per la sopravvivenza. Potendo ne adotterei altri. Potendo andrei di corsa sulla 54ma fra quinta e sesta a comprarmi un paio di Manolo. E mi sentirei felice per entrambi, Senza retorica.
Ieri sera ho guardato "La principessa e la rana" (spero che la signora Rodota' non si senta offesa) e c'e' la stella "dei desideri" che si chiamava Evangelina. Ho pianto come sempre quando guardo i film della Disney e, senza vergogna, ho guardato il cielo, passeggiando con Dorothy, per cercare la mia Evangelina. Per me si chiama Elena. E' mia zia.
Ho dormito senza sogni come ogni tanto capita. Al risveglio "l'annuncio" di un bonifico in arrivo: circa 400 euro, 400 motivi per sorridere e respirare. L'affitto (che costa 4 volte tanto) si paghera'. E per festeggiare stasera cena indiana "cheap" con amiche con le quali andremo, vestite dei migliori vestiti, a vedere Sex and the City e magari ci commuoveremo pure. Tie'.
Ho visto che 100 persone hanno visitato questo blog. Altre cento ragioni per sorridere. Cento respiri in piu' da respirare.
Alcuni di voi mi scrivono. Per me e' vita che mi scorre nelle vene e vi ringrazio per questo. Scrivere queste cose della mia vita non e' facile, non e' una passeggiata. Voi mi tenete per mano.
Ieri in molti mi avete detto che anche li' in Italia la situazione e' dura. Se ho il coraggio di parlarvi del mio sogno e delle mie fatiche e delle mie cadute con la faccia sull'asfalto e' perche' lo so. Un giorno il mio amico Peppe Lanzetta, scrittore che amo come amo (e adoro) Erri De Luca, mi disse "Vitalia' non dividere mai il tuo dolore con chi non puo' capire".
Io so che voi che leggete, come me, senza sentirvi stupidi, sapete ancora alzare lo sguardo per cercare la vostra Evangelina.
Friday, May 21, 2010
countdown
La vita e' piena di "conti alla rovescia", con quel cronometro che ti ricorda, con una cadenza spezzacuore, che qualcosa sta finendo o iniziando, o entrambi, perche' ogni fine origina un inizio e cosi via. Ricordo il conto alla rovescia prima della mia partenza, con la valigia ai piedi del letto per giorni e mio padre che, provando a nascondere un cuore troppo gonfio di dolore per non intravedersi da dietro l'angolo dei suoi occhi, mi diceva scherzando "ma di chi e' quella valigia?". Per la prima volta nella sua vita ha provato a fermarmi dal seguire il mio cuore, il mio impulso, la mia ribellione. Quella ribellione che ho imparato proprio da lui. Lui che non si e' piegato mai se non al peso di una malinconia che lo attaversa come un pugnale nei giorni della depressione. Mio padre e' uno di quegli uomini per i quali il presidente del consiglio proverebbe un sentimento di stizza. Lo stesso che proverebbe Bersani. Perche' non e' "comprabile". Al suo confronto io mi sono venduta spesso. Mio fratello e' molto piu' simile a lui di quanto lo sia io. Entrambi hanno un cuore senza un limite percettibile all'occhio umano e una forza interiore che non puoi vedere, se non fai uno sforzo, perche' nascosta dietro una gentilezza e una timidezza che te li fa sembrare fragili.
Fra le cose meravigliose che mi ha regalato New York e' la conferma di avere una famiglia speciale.
Ho fatto conti alla rovescia che mi hanno tenuto sveglia, stravolta dall'ansia del viaggio a cui avrei sottoposto Dorothy. Una delle poche volte in cui l'ansia aveva ragione d'essere. L'Eurofly mi ha quasi ammazzato Dorothy, lasciata per tre ore (l'aereo e' partito in ritardo) nella stiva senza aria ne' acqua prima della partenza e poi abbandonata nel mezzo di un aeroporto all'arrivo (la legge prevede che uno della flotta dovrebbe stare con il cane mentre il proprietario sbriga le pratiche doganali). Per non parlare della crudelta' del caposcalo che, a Napoli, mi ha riso in faccia quando gli ho chiesto come stessero i cani e mi ha risposto "i cani sono morti sicuramente con il caldo che c'e' li' dentro". Ho viaggiato per nove ore piangendo. per la prima volta ho preso un calmante. Quando ho ritrovato Dorothy, non era in grado di stare in piedi. Non ho mai piu' viaggiato con Eurofly. E Dorothy non viaggia piu' in aereo in assoluto: in volo puoi trovare bambini urlanti, gente che puzza, ubriachi fastidiosi o russatori senza ritegno, ma un cane no, il cane va nella stiva con i bagagli...
Il mio conto alla rovescia di oggi e' quello che mi separa dalla prossima settimana, giorno in cui si paga l'affitto di casa. Lavori effettuati: abbastanza. Bonifici arrivati: zero. Conto in banca: una Vietnam. Possibilita' di avere la somma necessaria: inesistenti Non riesco nemmeno a preoccuparmi piu'. Cioe' no. Passo attraverso un momento di panico in cui faccio la lista delle cose che potre eliminare: la tv, il telefono, internet e la palestra. Magari non tutte e due le ultime. Se disdico Internet, mi serve un posto per andare a lavorare dove ci sia Internet.... Salvo la palestra. Poi faccio un sospiro, uno profondo, molto profondo e mi dico che non voglio fare a meno proprio di nulla perche' cio' che ho e' il "minimo sindacale" e se mi convincessi a scendere sotto quel minimo, soccomberei. E che devo smetterla un po' di aspettarmi che il lavoro che mi arriva dall'Italia possa essere la mia via d'uscita. Poco il lavoro, allucinanti i tempi dei pagamenti: due, tre, quattro mesi per cifre ridicole. Come posso non preferire questa mia citta' dove la retribuzione e' settimanale o al massimo quindicinale?
E allora so che e' qui che devo continuare a cercare, senza infrangere la legge, ma cercando il modo di poter lavorare, dignitosamente e per un salario. Una persona che si occupa di pubbliche relazioni, al primo impiego, qui ha uno stipedio fra i 60 e i 70 mila dollari all'anno. Primo impiego. Tre volte mi hanno scelta per un lavoro (semplicemente) rispondendo ad un annuncio). Tre volte ho dovuto rinunciare perche' non possiedo un permesso di lavoro.
Ma questo mio conto alla rovescia, con questo pezzo nuovo di vita che mi sto regalando e' appena all'inizio. Bisogna solo non smettere di contare. E, soprattutto, bisogna che la smetta di pensare che il paese che mi ha tolto la dignita' possa tendermi una mano, possa riconoscere un'oncia del mio valore.
Ho iniziato il conto alla rovescia per conti che non so come pagare. Allora ne ho iniziato altri due, di fianco: quello per il mio compleanno (e di Francesco) - 9 giugno - e quello per l'uscita di Sex and the City 2. Questa e' la mia forza, quella che nessuno mi ha mai saputo rubare. Il saper cantare mentre hai il cuore ingessato dalla paura, Me lo ha insegnato mia zia Elena. E oggi che non c'e' piu' io canto anche per lei che mi chiamava "la piccola grande donna". Perche' la vita la si onora sempre come i conti da pagare. Sempre.
Fra le cose meravigliose che mi ha regalato New York e' la conferma di avere una famiglia speciale.
Ho fatto conti alla rovescia che mi hanno tenuto sveglia, stravolta dall'ansia del viaggio a cui avrei sottoposto Dorothy. Una delle poche volte in cui l'ansia aveva ragione d'essere. L'Eurofly mi ha quasi ammazzato Dorothy, lasciata per tre ore (l'aereo e' partito in ritardo) nella stiva senza aria ne' acqua prima della partenza e poi abbandonata nel mezzo di un aeroporto all'arrivo (la legge prevede che uno della flotta dovrebbe stare con il cane mentre il proprietario sbriga le pratiche doganali). Per non parlare della crudelta' del caposcalo che, a Napoli, mi ha riso in faccia quando gli ho chiesto come stessero i cani e mi ha risposto "i cani sono morti sicuramente con il caldo che c'e' li' dentro". Ho viaggiato per nove ore piangendo. per la prima volta ho preso un calmante. Quando ho ritrovato Dorothy, non era in grado di stare in piedi. Non ho mai piu' viaggiato con Eurofly. E Dorothy non viaggia piu' in aereo in assoluto: in volo puoi trovare bambini urlanti, gente che puzza, ubriachi fastidiosi o russatori senza ritegno, ma un cane no, il cane va nella stiva con i bagagli...
Il mio conto alla rovescia di oggi e' quello che mi separa dalla prossima settimana, giorno in cui si paga l'affitto di casa. Lavori effettuati: abbastanza. Bonifici arrivati: zero. Conto in banca: una Vietnam. Possibilita' di avere la somma necessaria: inesistenti Non riesco nemmeno a preoccuparmi piu'. Cioe' no. Passo attraverso un momento di panico in cui faccio la lista delle cose che potre eliminare: la tv, il telefono, internet e la palestra. Magari non tutte e due le ultime. Se disdico Internet, mi serve un posto per andare a lavorare dove ci sia Internet.... Salvo la palestra. Poi faccio un sospiro, uno profondo, molto profondo e mi dico che non voglio fare a meno proprio di nulla perche' cio' che ho e' il "minimo sindacale" e se mi convincessi a scendere sotto quel minimo, soccomberei. E che devo smetterla un po' di aspettarmi che il lavoro che mi arriva dall'Italia possa essere la mia via d'uscita. Poco il lavoro, allucinanti i tempi dei pagamenti: due, tre, quattro mesi per cifre ridicole. Come posso non preferire questa mia citta' dove la retribuzione e' settimanale o al massimo quindicinale?
E allora so che e' qui che devo continuare a cercare, senza infrangere la legge, ma cercando il modo di poter lavorare, dignitosamente e per un salario. Una persona che si occupa di pubbliche relazioni, al primo impiego, qui ha uno stipedio fra i 60 e i 70 mila dollari all'anno. Primo impiego. Tre volte mi hanno scelta per un lavoro (semplicemente) rispondendo ad un annuncio). Tre volte ho dovuto rinunciare perche' non possiedo un permesso di lavoro.
Ma questo mio conto alla rovescia, con questo pezzo nuovo di vita che mi sto regalando e' appena all'inizio. Bisogna solo non smettere di contare. E, soprattutto, bisogna che la smetta di pensare che il paese che mi ha tolto la dignita' possa tendermi una mano, possa riconoscere un'oncia del mio valore.
Ho iniziato il conto alla rovescia per conti che non so come pagare. Allora ne ho iniziato altri due, di fianco: quello per il mio compleanno (e di Francesco) - 9 giugno - e quello per l'uscita di Sex and the City 2. Questa e' la mia forza, quella che nessuno mi ha mai saputo rubare. Il saper cantare mentre hai il cuore ingessato dalla paura, Me lo ha insegnato mia zia Elena. E oggi che non c'e' piu' io canto anche per lei che mi chiamava "la piccola grande donna". Perche' la vita la si onora sempre come i conti da pagare. Sempre.
Wednesday, May 19, 2010
Regole
Quando sono arrivata a New York, rotta come una tazza dell'Ikea che non sai nemmeno se valga la pena riparare, non avevo certezze ne' punti di riferimento. Sebbene fossi stata in questa citta' tante volte, viverci era tutt'altro. Non avevo amici, ne approdi. Posti dove andare o da dove scappare. C'era una casa nel Queens e Napoli dentro a farmi male per assenza.
Ho amato tre citta' come si ama una casa propria. Luoghi dove ti senti libero di girare senza una meta, da una stanza all'altra, solo per il gusto di sentirti "a casa". Ho amato (ed amo) con la stesse struggente intesita' Napoli, l'Avana e New York. Per tutte provo quella propensione delle madri che non vogliono sentir parlare male dei propri figli. Da tutte, pero', come una madre dai propri figli, vorrei il massimo. L'Avana e' stata la mia "casa d'estate", quella della liberta' assoluta, dove cammini scalza e senza badare troppo ai vestiti, e ti muovi sempre al suono impercettibile di una musica che spinge i tuoi passi con l'eleganza di una danza. Napoli e' stata la mia "prima casa", quella che ti costruisci e che ti costruisce. Quella che costa le fatiche piu' grandi e i sacrifici piu' difficili.Quella che non dimenticherai mai perche' li' ti sei mantenuta forte, aggrappata a qualcosa, ad ogni tormenta che passava e sei sopravvissuta. Napoli. Ne pronuncio il nome in silenzio e ho un nodo in gola. Napoli, la cui immensita' e' solo per gli occhi di chi la vuol vedere e la cui miseria e' per tutti, da prendere a piene mani, credendo che faccia ridere.
New York e' la casa senza definizioni. E' il vestito cucito addosso da Armani: non fa una piega eppure incanta. New York e' la regina che ti fa sentire re se impari a guardare in alto senza paura; anzi, con la paura finalmente amica fidata.
Eppure in quella prima settimana di prigionia nel mio dolore ho quasi odiato New York. Quel suo essere troppo grande, troppo rumorosa, troppo azzurra, troppo verde, troppo calda o troppo fredda. Se non sai aspettare che la citta' finisca di presentarsi e spiegarsi, e' solo quel "troppo" che ti annichilisce. Quando finalmente le mie paure e le mie malinconie hanno deciso di prendersi una tregua per farmi almeno respirare, ho trovato il mio primo contatto d'amore con la citta': le regole. La meraviglia di una vita ritmata su regole piccole o grandi mi ha fatto sentire al riparo dai miei incubi di quell'altra vita deprivata di ogni forma di rigore. I biglietti del tram da pagare, le regole per i cani, le regole del condominio, le regole per lo stadio, le regole per la palestra, le regole per le regole. E sebbene anche qui, ovviamente, ci sia una percentuale minima di chi se ne frega e prova a fare il furbo (solitamente non gli va tanto bene), ti accorgi che la maggioranza delle persone segue quelle regole senza nemmeno chiedersi se siano giuste e sbagliate. Se sono regole le esegui. Se non ti piacciono, civilmente chiedi che vengano cambiate e se sei in maggioranza, si cambiano. Nella mia prima casa il proprietario mi aveva chiesto di non fumare. Non ho mai fumato in casa. Stupida? Secondo molti amici italiani si.
Ecco. Il mio punto e' che fra un estremo e l'altro io scelgo questo. Fra le regole rispettate anche al di la' del comune buon senso e le regole che vengono ignorate e le persone che vengono derise se per caso gli viene in mente di seguirle, io preferisco quest'estremo qui. Io scelgo New York.
Edvige lo sa che non odio l'Italia e tano meno Napoli. Facile capirlo e lei ha capito. Credo che la odino di piu' coloro che gettano una carta per terra e salgono in autobus senza biglietto.
Gli stranieri, e' vero, ancora amano l'Italia. Ma Firenze o Venezia. Non Napoli. Che amerebbero se qualcosa li convincesse ad andarci e se una volta arrivati li' non sentissero di essere davvero a Gomorra. Forse fara' scandalo, ma non ho letto il libro di Saviano. Se posso permettermi dico che non mi serviva. Se hai vissuto a Napoli sai di cosa parliamo. Ma io non credo che il problema sia Saviano e il suo libro. Il problema e' quando quello diventa un fiore all'occhiello, l'unico, alla faccia di musei e bellezze naturali che farebbero scomparire tante altre citta' in un secondo. Quando quello diventa (nella sua assoluta' realta' sia chiaro) il tratto distintivo UNICO di una citta'.
Saviano e' un eroe per molti. Bene. Ma mi chiedo quanti di quelli che hanno letto il libro o visto il film e sono pronti a dare la vita per Saviano, sarebbero disposti a non accettare un cavallo di ritorno, a non comprare in negozi di camorristi, a non andare in ristoranti di camorristi, a non ascoltare musica di camorristi, a prendere le distanze in ogni modo possibile da tutto cio', che anche lontanamente, puzza di camorra. Quanti sono davvero disposti a smetterla di essere omertosi e conniventi accettando che la guerra alla mafia inizia ogni giorno con ciascuno di noi e con ogni piccolo nostro comportamento? Chi vive come ho vissuto io a Napoli e la ama da dentro le viscere, deve alzarsi ogni sacrosanto giorno e scegliere con ogni sacrosanto gesto fra la legalita' e l'illegalita' e rifiutare categoricamente ogni eco di quel mondo schifoso.
E' facile amare Saviano oggi. Ma questo non mi interessa. Mi interesserebbe di piu' che si odiasse quel mondo di cui lui parla. E che e' costato la vita a Giancarlo Siani e che pesa come un macigno, ogni giorno, su Rosaria Capacchione e altri cronisti di cui pochi conoscono il nome.
Ho amato tre citta' come si ama una casa propria. Luoghi dove ti senti libero di girare senza una meta, da una stanza all'altra, solo per il gusto di sentirti "a casa". Ho amato (ed amo) con la stesse struggente intesita' Napoli, l'Avana e New York. Per tutte provo quella propensione delle madri che non vogliono sentir parlare male dei propri figli. Da tutte, pero', come una madre dai propri figli, vorrei il massimo. L'Avana e' stata la mia "casa d'estate", quella della liberta' assoluta, dove cammini scalza e senza badare troppo ai vestiti, e ti muovi sempre al suono impercettibile di una musica che spinge i tuoi passi con l'eleganza di una danza. Napoli e' stata la mia "prima casa", quella che ti costruisci e che ti costruisce. Quella che costa le fatiche piu' grandi e i sacrifici piu' difficili.Quella che non dimenticherai mai perche' li' ti sei mantenuta forte, aggrappata a qualcosa, ad ogni tormenta che passava e sei sopravvissuta. Napoli. Ne pronuncio il nome in silenzio e ho un nodo in gola. Napoli, la cui immensita' e' solo per gli occhi di chi la vuol vedere e la cui miseria e' per tutti, da prendere a piene mani, credendo che faccia ridere.
New York e' la casa senza definizioni. E' il vestito cucito addosso da Armani: non fa una piega eppure incanta. New York e' la regina che ti fa sentire re se impari a guardare in alto senza paura; anzi, con la paura finalmente amica fidata.
Eppure in quella prima settimana di prigionia nel mio dolore ho quasi odiato New York. Quel suo essere troppo grande, troppo rumorosa, troppo azzurra, troppo verde, troppo calda o troppo fredda. Se non sai aspettare che la citta' finisca di presentarsi e spiegarsi, e' solo quel "troppo" che ti annichilisce. Quando finalmente le mie paure e le mie malinconie hanno deciso di prendersi una tregua per farmi almeno respirare, ho trovato il mio primo contatto d'amore con la citta': le regole. La meraviglia di una vita ritmata su regole piccole o grandi mi ha fatto sentire al riparo dai miei incubi di quell'altra vita deprivata di ogni forma di rigore. I biglietti del tram da pagare, le regole per i cani, le regole del condominio, le regole per lo stadio, le regole per la palestra, le regole per le regole. E sebbene anche qui, ovviamente, ci sia una percentuale minima di chi se ne frega e prova a fare il furbo (solitamente non gli va tanto bene), ti accorgi che la maggioranza delle persone segue quelle regole senza nemmeno chiedersi se siano giuste e sbagliate. Se sono regole le esegui. Se non ti piacciono, civilmente chiedi che vengano cambiate e se sei in maggioranza, si cambiano. Nella mia prima casa il proprietario mi aveva chiesto di non fumare. Non ho mai fumato in casa. Stupida? Secondo molti amici italiani si.
Ecco. Il mio punto e' che fra un estremo e l'altro io scelgo questo. Fra le regole rispettate anche al di la' del comune buon senso e le regole che vengono ignorate e le persone che vengono derise se per caso gli viene in mente di seguirle, io preferisco quest'estremo qui. Io scelgo New York.
Edvige lo sa che non odio l'Italia e tano meno Napoli. Facile capirlo e lei ha capito. Credo che la odino di piu' coloro che gettano una carta per terra e salgono in autobus senza biglietto.
Gli stranieri, e' vero, ancora amano l'Italia. Ma Firenze o Venezia. Non Napoli. Che amerebbero se qualcosa li convincesse ad andarci e se una volta arrivati li' non sentissero di essere davvero a Gomorra. Forse fara' scandalo, ma non ho letto il libro di Saviano. Se posso permettermi dico che non mi serviva. Se hai vissuto a Napoli sai di cosa parliamo. Ma io non credo che il problema sia Saviano e il suo libro. Il problema e' quando quello diventa un fiore all'occhiello, l'unico, alla faccia di musei e bellezze naturali che farebbero scomparire tante altre citta' in un secondo. Quando quello diventa (nella sua assoluta' realta' sia chiaro) il tratto distintivo UNICO di una citta'.
Saviano e' un eroe per molti. Bene. Ma mi chiedo quanti di quelli che hanno letto il libro o visto il film e sono pronti a dare la vita per Saviano, sarebbero disposti a non accettare un cavallo di ritorno, a non comprare in negozi di camorristi, a non andare in ristoranti di camorristi, a non ascoltare musica di camorristi, a prendere le distanze in ogni modo possibile da tutto cio', che anche lontanamente, puzza di camorra. Quanti sono davvero disposti a smetterla di essere omertosi e conniventi accettando che la guerra alla mafia inizia ogni giorno con ciascuno di noi e con ogni piccolo nostro comportamento? Chi vive come ho vissuto io a Napoli e la ama da dentro le viscere, deve alzarsi ogni sacrosanto giorno e scegliere con ogni sacrosanto gesto fra la legalita' e l'illegalita' e rifiutare categoricamente ogni eco di quel mondo schifoso.
E' facile amare Saviano oggi. Ma questo non mi interessa. Mi interesserebbe di piu' che si odiasse quel mondo di cui lui parla. E che e' costato la vita a Giancarlo Siani e che pesa come un macigno, ogni giorno, su Rosaria Capacchione e altri cronisti di cui pochi conoscono il nome.
Tuesday, May 18, 2010
Edoardo Sanguineti
Vicoli stretti, canali, acqua, ponti sospesi e zone di silenzio. Sole negli occhi e felicita'. Felicita' che ti gonfia il cuore e lo fa volare un po' in alto, un po' piu' su di tutto il resto che fino a quel giorno era la tua vita.
Era Venezia. Era Sanguineti. Era la televisione. Parlare con lui fu come leggere un libro bello che quando lo finisci vorresti ricominciare da capo. Nel suo linguaggio, concreto come un pezzo di pane croccante, ti perdevi come ci si perde in cio' che davvero conta nella vita: lo sguardo di un bambino, lo scondinzolio di un cane, i piedi nella sabbia, il sale sulla faccia, un aereo che ti porta altrove.
Sono stata molto fortunata nella mia vita per aver potuto incontrare e "assaporare" la genialita' di persone speciali, di quelle che Dio ha creato di venerdi' quando si era esercitato talmente bene da fare dei capolavori. Ricordo una chiacchiera agrodolce con Vittorio Gassmann, le gran risate con Gerard Depardieu, una cena con Guccini e Bergonzoni, lo strizzare d'occhi di Robert De Niro, il muoversi di mani di Dario Fo e la gentilezza inaspettata di Leonardo Di Caprio. Ricordo Diego Armando Maradona. E una serata di cibo e chitarra nella mia casa senza sedie, con Giorgio Gaber.
E' strano. Del mio periodo in Rai, quando ero "ricca" e piena di illusioni per il futuro, ricordo poco. La lucina rossa della camera, la mano che mi segnava 5-4-3-2-1 e le parole che uscivano dalla mia bocca con una semplicita' irreale. Non avevo mai un testo scritto. Conoscevo i miei ospiti e l'argomento di cui avremmo parlato e mi bastava. Avrei potuto fare quello per sempre senza stancarmi mai. Lo avrei fatto bene, come lo facevo. Ma non ho pagato (come sapete) i prezzi che si pagano e tutto si e' dissolto troppo presto lasciandomi solo con l'amaro stupore di chi si scopre un'idiota ad aver pensato che far bene il proprio lavoro e' tutto cio' che serve per tenerselo. Non in Rai, non in Italia, spesso nemmeno qui. Ma qui, a New York, il merito conta. E molto. Della Rai ricordo soprattutto i miei truccatori e parrucchieri. Quello era il momento preferito della miagiornata. E amavo quelle salette in cui incontravi tutti e ascoltavi tutti i pettegolezzi piu' incredibili, ai quali mia madre non voleva mai credere.
Non ho rimpianti. Ho rabbia, a volte. Ma rabbia sana. Non per la mia singola storia ma perche' la mia e' tassello di un puzzle tristissimo di persone che vengono accartocciate e gettate via senza rispetto e che arrivano persino a credere di non valere nulla. E' facile pensare che chi e' arrivato sia bravo. Non e' cosi. Spesso chi arriva, in Italia, ha viaggiato con autista e limousine senza nemmeno sapere quale fosse la direzione, mentre noi camminiamo con i pesi ai piedi e le dita che sanguinano.
Ma, per non essermi arresa, la vita mi ha ripagato e mi ripaga.
"Beata te" mi sento dire spesso. Me lo sono sentita dire spessissimo da un' "amica" che si lamenta come sempre della sua vita mentre indossa scarpe e borsa che pagherebbero il mio affitto.
Non me lo dice solo lei. Me lo hanno detto decine di quegli ex amici la cui busta paga ogni mese segna cifre a vari zeri e che non sanno cosa significhi fare il conto alla rovescia ogni mese perche' non sai se riuscirai a pagare l'affitto. Me lo hanno detto seduti dietro scrivanie di uffici in cui non avrebbero mai messo piede se fosse esistita giustizia e meritocrazia. Me lo hanno detto come si direbbe a un bambino che muore di fame che gli regaleremo un IPad. Me lo hanno detto perche' hanno dei vuoti dentro che gli hanno inghiottito ogni barlume di umanita'.
Chi me lo ha detto sa che e' anche per quel loro stare seduti dietro quelle scrivanie, da dove io sono stata "cacciata" per fargli posto (a loro che dicevano sempre di si) che ora sono qui a ricominciare tutto da capo. Qualcuno ha finto lacrime e fittizio dolore quando, dopo essermi dileguata silenziosamente, senza nemmeno salutare, mi ha scritto qualche mail di circostanza.
E so che a leggermi non sono loro ma voi che siete come me, "beati" solo perche' vi siete rimboccati le maniche e avete ingoiato lacrime e amarezza senza mai perdere il sorriso.
A New York dovevo arrivare in prima classe e con un lavoro di quelli "fighi". Ma grazie a uno di quelli seduti dietro una di quelle scrivanie ci sono arrivata in economy e piena di dolore.
Ma oggi ripenso ad un ponte sospeso sull'acqua silenziosa e cupa e al sole in faccia mentre le parole di Sanguineti mi scivolavano nelle vene come sangue rigenerato e pronto a portarti fino al cielo.
No, non ho rimpianti. Ognuna delle mie ferite e' accompagnata da una nuova percezione della bellezza. Ognuna delle mie ferite e' stato viatico verso occhi che ridono e illuminano come quelli che mi vedo sulla faccia e che davvero, sebbene sembri retorico, nessuna Mastercard potra' mai acquistare.
Era Venezia. Era Sanguineti. Era la televisione. Parlare con lui fu come leggere un libro bello che quando lo finisci vorresti ricominciare da capo. Nel suo linguaggio, concreto come un pezzo di pane croccante, ti perdevi come ci si perde in cio' che davvero conta nella vita: lo sguardo di un bambino, lo scondinzolio di un cane, i piedi nella sabbia, il sale sulla faccia, un aereo che ti porta altrove.
Sono stata molto fortunata nella mia vita per aver potuto incontrare e "assaporare" la genialita' di persone speciali, di quelle che Dio ha creato di venerdi' quando si era esercitato talmente bene da fare dei capolavori. Ricordo una chiacchiera agrodolce con Vittorio Gassmann, le gran risate con Gerard Depardieu, una cena con Guccini e Bergonzoni, lo strizzare d'occhi di Robert De Niro, il muoversi di mani di Dario Fo e la gentilezza inaspettata di Leonardo Di Caprio. Ricordo Diego Armando Maradona. E una serata di cibo e chitarra nella mia casa senza sedie, con Giorgio Gaber.
E' strano. Del mio periodo in Rai, quando ero "ricca" e piena di illusioni per il futuro, ricordo poco. La lucina rossa della camera, la mano che mi segnava 5-4-3-2-1 e le parole che uscivano dalla mia bocca con una semplicita' irreale. Non avevo mai un testo scritto. Conoscevo i miei ospiti e l'argomento di cui avremmo parlato e mi bastava. Avrei potuto fare quello per sempre senza stancarmi mai. Lo avrei fatto bene, come lo facevo. Ma non ho pagato (come sapete) i prezzi che si pagano e tutto si e' dissolto troppo presto lasciandomi solo con l'amaro stupore di chi si scopre un'idiota ad aver pensato che far bene il proprio lavoro e' tutto cio' che serve per tenerselo. Non in Rai, non in Italia, spesso nemmeno qui. Ma qui, a New York, il merito conta. E molto. Della Rai ricordo soprattutto i miei truccatori e parrucchieri. Quello era il momento preferito della miagiornata. E amavo quelle salette in cui incontravi tutti e ascoltavi tutti i pettegolezzi piu' incredibili, ai quali mia madre non voleva mai credere.
Non ho rimpianti. Ho rabbia, a volte. Ma rabbia sana. Non per la mia singola storia ma perche' la mia e' tassello di un puzzle tristissimo di persone che vengono accartocciate e gettate via senza rispetto e che arrivano persino a credere di non valere nulla. E' facile pensare che chi e' arrivato sia bravo. Non e' cosi. Spesso chi arriva, in Italia, ha viaggiato con autista e limousine senza nemmeno sapere quale fosse la direzione, mentre noi camminiamo con i pesi ai piedi e le dita che sanguinano.
Ma, per non essermi arresa, la vita mi ha ripagato e mi ripaga.
"Beata te" mi sento dire spesso. Me lo sono sentita dire spessissimo da un' "amica" che si lamenta come sempre della sua vita mentre indossa scarpe e borsa che pagherebbero il mio affitto.
Non me lo dice solo lei. Me lo hanno detto decine di quegli ex amici la cui busta paga ogni mese segna cifre a vari zeri e che non sanno cosa significhi fare il conto alla rovescia ogni mese perche' non sai se riuscirai a pagare l'affitto. Me lo hanno detto seduti dietro scrivanie di uffici in cui non avrebbero mai messo piede se fosse esistita giustizia e meritocrazia. Me lo hanno detto come si direbbe a un bambino che muore di fame che gli regaleremo un IPad. Me lo hanno detto perche' hanno dei vuoti dentro che gli hanno inghiottito ogni barlume di umanita'.
Chi me lo ha detto sa che e' anche per quel loro stare seduti dietro quelle scrivanie, da dove io sono stata "cacciata" per fargli posto (a loro che dicevano sempre di si) che ora sono qui a ricominciare tutto da capo. Qualcuno ha finto lacrime e fittizio dolore quando, dopo essermi dileguata silenziosamente, senza nemmeno salutare, mi ha scritto qualche mail di circostanza.
E so che a leggermi non sono loro ma voi che siete come me, "beati" solo perche' vi siete rimboccati le maniche e avete ingoiato lacrime e amarezza senza mai perdere il sorriso.
A New York dovevo arrivare in prima classe e con un lavoro di quelli "fighi". Ma grazie a uno di quelli seduti dietro una di quelle scrivanie ci sono arrivata in economy e piena di dolore.
Ma oggi ripenso ad un ponte sospeso sull'acqua silenziosa e cupa e al sole in faccia mentre le parole di Sanguineti mi scivolavano nelle vene come sangue rigenerato e pronto a portarti fino al cielo.
No, non ho rimpianti. Ognuna delle mie ferite e' accompagnata da una nuova percezione della bellezza. Ognuna delle mie ferite e' stato viatico verso occhi che ridono e illuminano come quelli che mi vedo sulla faccia e che davvero, sebbene sembri retorico, nessuna Mastercard potra' mai acquistare.
Monday, May 17, 2010
Donne
Lo squillo del telefono, inaspettato, mi ha fatto aprire gli occhi su un lunedi che sembrava uno qualunque e che invece sta assomigliando sempre piu' a uno di quei giornincubo in cui la mente e il cuore guardano speranzosi solo al momento in cui la testa sara' di nuovo sul cuscino e, con gli occhi chiusi, potrai sperare di sognare.
Elisa, la mia capa de Il Fatto mi ha dato il buongiorno. La buona notizia e' che domani esce un pezzo. La cattiva e' che sara' piccolo. Vabbe'. Il lunedi' e' come il PDL, per quanto si sforzi di essere un bel giorno non ci riesce. povero lunedi.
Adoro Elisa. Che non ho mai incontrato ma per la quale provo un affetto cosi' profondo che vorrei abbracciarla qualsiasi cosa mi dica. E poi scrive bene. E' intelligente, sensibile. Insomma una donna di quelle che vuoi per amiche.
Le donne ed io. Che grande storia. Che ancora continua.
Quando ho lasciato l'Italia, le donne mi avevano spezzettato e triturato lasciandomi senza nemmeno l'ombra del ricordo di cio' che ero e valevo. Donne "potenti", come mi ha ricordato oggi un'altra amica, che mi ha detto "vedo che sono tue amiche su FB e per questo ti avevo cancellato". Ho sorriso. Ho piu' di 1000 "amici" nella mia pagina di FB. Ne conosco la meta', forse. Di questi, molti mi hanno fatto male. Male di brutto. Colpa mia che gliel'ho lasciato fare. Li tengo li' per non dimenticare e per ricordarmi che c'e' voluto del coraggio a darmi un'altra chance. La loro pochezza e miseria mi ricorda che io non ho perso. Non ho vinto, non ancora, ma non ho perso perche' non sono riusciti a togliermi la dignita' e quel desiderio di felicita' che e' diritto inalienabile degli esseri umani. Gli americani ce l'hanno nella costituzione. Li amo anche per questo.
Le donne. Rovinate dal potere che non sanno gestire perche' lo "ereditano" da uomini mariti, amanti, fidanzati e padri e non lo acquisiscono per meriti. Quasi mai. Le donne che, dentro, intimamente, senza nemmeno dirselo, odiano le altre donne. Ho lavorato per una signora di "potere" che mi aveva messo in disparte perche' non le piaceva come mi vestivo e come mi pettinavo. Un'altra signora di potere, un giorno, nel propinarmi una "maternale" mi ha detto " devi smetterla di credere che alcune persone siano tue amiche, come Cannavaro (Fabio). Lui e' ricco e potente e tu non PUOI essere sua amica, lui non puo' considerarti sua amica. Non hai soldi ne' potere, puoi essere al massimo una che lavora per lui". Per inciso la signora non e' del PDL e con Fabio siamo amici come si puo' esserlo vivendo in due continenti diversi. Ho chiesto aiuto, in lacrime, pregando, in momenti di necessita' seria, a signore di potere alle quali tanto avevo dato e mi sono sentita rispondere "non ho tempo per occuparmi dei tuoi problemi". Ho chiesto solidarieta' a signore di potere quando sono stata cacciata via da una grande azienda perche' mi sono rifiutata di pagare il "pizzo" (anche il sesso e' una forma di pizzo) e mi hanno detto "ribellarsi ti tagliera' fuori". Se non altro posso dire che avevano ragione.
Le donne. Le signore di potere della mia povera Italia maschilista.
Le donne, quelle femmine in calore per un pugnetto di potere, mi hanno massacrato. Colpa mia che le ho lasciate fare.
Mi hanno ricordato cio' che sono e cio' che voglio essere.
So che se mai leggessero (ma tanto non lo fanno perche' non sono "importante") avrebbero molto da replicare, con i loro bei discorsi prefabbricati e vuoti.Per lo meno hanno un'opinione di cui sono assolutamente convinte. Ci mancherebbe. Ma quando vai via, come ho fatto io e ti lasci indietro storie di elemosine e di speranze calpestate e non ti aspetti piu' nulla se non dalle tue forze e da chi davvero ti vuol bene, sei libera. Libera di sputarlo il tuo dolore. Sputarlo via.
Non ho mai smesso, pero', di stimare e amare le donne come esseri meravigliosi. New York mi ha ridato anche questo. Le donne che amo. Donne che hanno potere "guadagnato" e apprezzano altre donne che hanno qualcosa da dire. Fanculo i vestiti e i capelli.
Conosco donne a New York che sono le mie rocce, le mie ancore, le mie oasi. E ho rinsaldato le mie amicizie con splendide, meravigliose donne in Italia. Donne libere. Donne che sanno abbracciare e sostenere, parlare e ascoltare e ridere e piangere senza paura che ci si scombini i capelli.
Le mie donne, sono un universo di pace e forza, liberta' e ottimismo.
Elisa, in un giornincubo, mi ha ricordato la fortuna di non aver mai smesso di amare le donne come persone e non come genere. Le mie donne. A loro dedico ogni passo avanti in questo mio camminare. A Kathya, Lisa, Serafina, Cecilia, Diane, Donna, Delia, Chandani, Jen, Marilicia, Alessandra (tante alessandre), Alessia, IVANA, Trish, Mimma, Veronica... e a te che mi stai leggendo perche' ci sei e sei la mia roccia.
Elisa, la mia capa de Il Fatto mi ha dato il buongiorno. La buona notizia e' che domani esce un pezzo. La cattiva e' che sara' piccolo. Vabbe'. Il lunedi' e' come il PDL, per quanto si sforzi di essere un bel giorno non ci riesce. povero lunedi.
Adoro Elisa. Che non ho mai incontrato ma per la quale provo un affetto cosi' profondo che vorrei abbracciarla qualsiasi cosa mi dica. E poi scrive bene. E' intelligente, sensibile. Insomma una donna di quelle che vuoi per amiche.
Le donne ed io. Che grande storia. Che ancora continua.
Quando ho lasciato l'Italia, le donne mi avevano spezzettato e triturato lasciandomi senza nemmeno l'ombra del ricordo di cio' che ero e valevo. Donne "potenti", come mi ha ricordato oggi un'altra amica, che mi ha detto "vedo che sono tue amiche su FB e per questo ti avevo cancellato". Ho sorriso. Ho piu' di 1000 "amici" nella mia pagina di FB. Ne conosco la meta', forse. Di questi, molti mi hanno fatto male. Male di brutto. Colpa mia che gliel'ho lasciato fare. Li tengo li' per non dimenticare e per ricordarmi che c'e' voluto del coraggio a darmi un'altra chance. La loro pochezza e miseria mi ricorda che io non ho perso. Non ho vinto, non ancora, ma non ho perso perche' non sono riusciti a togliermi la dignita' e quel desiderio di felicita' che e' diritto inalienabile degli esseri umani. Gli americani ce l'hanno nella costituzione. Li amo anche per questo.
Le donne. Rovinate dal potere che non sanno gestire perche' lo "ereditano" da uomini mariti, amanti, fidanzati e padri e non lo acquisiscono per meriti. Quasi mai. Le donne che, dentro, intimamente, senza nemmeno dirselo, odiano le altre donne. Ho lavorato per una signora di "potere" che mi aveva messo in disparte perche' non le piaceva come mi vestivo e come mi pettinavo. Un'altra signora di potere, un giorno, nel propinarmi una "maternale" mi ha detto " devi smetterla di credere che alcune persone siano tue amiche, come Cannavaro (Fabio). Lui e' ricco e potente e tu non PUOI essere sua amica, lui non puo' considerarti sua amica. Non hai soldi ne' potere, puoi essere al massimo una che lavora per lui". Per inciso la signora non e' del PDL e con Fabio siamo amici come si puo' esserlo vivendo in due continenti diversi. Ho chiesto aiuto, in lacrime, pregando, in momenti di necessita' seria, a signore di potere alle quali tanto avevo dato e mi sono sentita rispondere "non ho tempo per occuparmi dei tuoi problemi". Ho chiesto solidarieta' a signore di potere quando sono stata cacciata via da una grande azienda perche' mi sono rifiutata di pagare il "pizzo" (anche il sesso e' una forma di pizzo) e mi hanno detto "ribellarsi ti tagliera' fuori". Se non altro posso dire che avevano ragione.
Le donne. Le signore di potere della mia povera Italia maschilista.
Le donne, quelle femmine in calore per un pugnetto di potere, mi hanno massacrato. Colpa mia che le ho lasciate fare.
Mi hanno ricordato cio' che sono e cio' che voglio essere.
So che se mai leggessero (ma tanto non lo fanno perche' non sono "importante") avrebbero molto da replicare, con i loro bei discorsi prefabbricati e vuoti.Per lo meno hanno un'opinione di cui sono assolutamente convinte. Ci mancherebbe. Ma quando vai via, come ho fatto io e ti lasci indietro storie di elemosine e di speranze calpestate e non ti aspetti piu' nulla se non dalle tue forze e da chi davvero ti vuol bene, sei libera. Libera di sputarlo il tuo dolore. Sputarlo via.
Non ho mai smesso, pero', di stimare e amare le donne come esseri meravigliosi. New York mi ha ridato anche questo. Le donne che amo. Donne che hanno potere "guadagnato" e apprezzano altre donne che hanno qualcosa da dire. Fanculo i vestiti e i capelli.
Conosco donne a New York che sono le mie rocce, le mie ancore, le mie oasi. E ho rinsaldato le mie amicizie con splendide, meravigliose donne in Italia. Donne libere. Donne che sanno abbracciare e sostenere, parlare e ascoltare e ridere e piangere senza paura che ci si scombini i capelli.
Le mie donne, sono un universo di pace e forza, liberta' e ottimismo.
Elisa, in un giornincubo, mi ha ricordato la fortuna di non aver mai smesso di amare le donne come persone e non come genere. Le mie donne. A loro dedico ogni passo avanti in questo mio camminare. A Kathya, Lisa, Serafina, Cecilia, Diane, Donna, Delia, Chandani, Jen, Marilicia, Alessandra (tante alessandre), Alessia, IVANA, Trish, Mimma, Veronica... e a te che mi stai leggendo perche' ci sei e sei la mia roccia.
Sunday, May 16, 2010
Barack Obama
Questa mattina, mio padre mi ha mostrato, decisamente allarmato,il titolo di un articolo nella pagina esteri del Il Fatto Quotidiano (lui spera sempre che ci sia un mio articolo, anche quando sa che non ho scritto). L'articolo (che non ho potuto leggere dal momento che non ho accesso alla versione online del quotidiano, ne' posso trovarlo in edicola a New York), parlava di quella rivolta anti Obama che cova (nemmeno tanto segretamente), in particolare in Stati come la Virginia e Michigan.
Ho detto a mio padre che non c'e' nulla di nuovo sotto il cielo, nel senso che qui sappiamo, sin dal primo giorno, che molti non amano Obama e molti dei molti non lo amano proprio (ancora) per quel colore di pelle diverso. La studipidita' umana in fondo non ha rassegnazione e origina pericolosi movimenti sotteranei. In questo paese hanno ucciso John e Bob Kennedy, Martin Luther King e una lista lunghissima di leader innovatori e "pericolosamente" democratici. Non a caso, un genio liberale come Woody Allen ha dichiarato a Cannes che amerebbe vedere una dittatura di Obama per qualche anno. Per un Newyorchese doc e, dunque, abituato alla tutela della liberta' individuale al di sopra di tutto, e' stata un'affermazione significativa. New York non e' l'America. New York e' un'isola felice (e' il caso di dirlo) di democrazia, apertura mentale, liberta' e pacifismo, difficile da ritrovare altrove negli Usa. Forse San Francisco o le citta' dell'Oregon.... ma niente come New York.
A New York Obama e' riconosciuto, persino da qualche repubblicano (qualcuno sopravvive anche qui) come il leader migliore per il paese e uno dei migliori in assoluto nella storia. Ma non e' cosi ovunque, purtroppo.
La realta' e' che , nel bene e nel male (solo per chi non ama i cambiamenti e la diffusone del virus della democrazia), l'elezione di Obama, arrivata dopo una strepitosa e galvanizzante campagna elettorale, ha rappresentato e rappresenta un momento fondamentale nella storia del paese ma anche un cambiamento epocale e un senso di rinnovata speranza per molti americani. Anche per quelli senza passaporto blu come me.
Ho sostenuto Barack Obama dal primo giorno. Sono stata fra i suoi volontari, quelli che bussavano alle porte. Ho pianto la notte della sua elezione e del suo giuramento. E, a modo suo, senza saperlo, mi ha salvato la vita.
Ecco una pagina del mio "diario" di tre anni fa
Ore 23.30, 28 marzo 2007. Il rullo dei bagagli gira a vuoto. Il mio bagaglio non c’e’. Benvenuta in America, Angela. “tanto domani torno a casa” mi dico mentre un nodo mi stringe la gola e lo stomaco. Voglio vomitare ma non posso, devo parlare con la tizia dell’ufficio “persi e ritrovati” per il mio bagaglio. Intanto io mi sento solo persa e non so se li’, oltre al mio bagaglio potranno ritrovare anche me. Non credo, la tizia e’ annoiata e detesta ripetere le cose ma a quest’ora il mio inglese e’ rimasto indietro insieme a tutta una vita vissuta e improvvisamente abbandonata….
Il tassista mi chiede l’indirizzo, glielo dico e mi chiede che strada fare. Gli dico che scelga lui, tanto e’ tardi e non c’e’ traffico. Il fatto e’ che non ho assolutamente idea di dove sia Jackson Height ne’ il Queens. Per me potrebbe portarmi anche all’inferno e non me ne accorgerei. Anzi, penso di esserci gia’ all’inferno e la cosa pazzesca e’ che mi ci sono cacciata con le mie mani….
La casa e’ bella e grande. Troppo grande per consolare la mia paura. Quella paura che sarebbe diventata la mia migliore amica: paura di non farcela, paura di non avere i soldi per sopravvivere, paura della legge che non conosco, paura delle cose che non capisco, paura di morire di notte per strada e nessuno se ne accorgerebbe, paura di aver scelto disperatamente di vivere e di poter morire per questo….
Sul tavolino nel salone c’e’ un libro: My father’s dream di Barack Obama. Ho sentito parlare di questo senatore che vuole candidarsi alla presidenza degli stati uniti e di quanto tutto cio’ sia considerato folle. Prendo il libro per sfogliarlo e intanto penso a mio padre e al suo sogno giusto di vecchio comunista: di un mondo giusto, di persone giuste e di figli che se fanno la cosa giusta saranno felici. Penso a mio padre e mia madre che ho appena chiamati al telefono per dirgli che sono arrivata e che sto bene. Odio mentire ai miei genitori ma non posso dirgli che mi sento morire e che ho paura e voglio tornare a casa. Non posso. Allora ingoio le lacrime che pero’ maledettamente continuano a scendere e mi sforzo di leggere qualche pagina…
Stavo facendo la conoscenza di Barack Obama, il futuro Presidente degli Stati Uniti e l’uomo che in qualche modo mi avrebbe salvato la vita……
Ho detto a mio padre che non c'e' nulla di nuovo sotto il cielo, nel senso che qui sappiamo, sin dal primo giorno, che molti non amano Obama e molti dei molti non lo amano proprio (ancora) per quel colore di pelle diverso. La studipidita' umana in fondo non ha rassegnazione e origina pericolosi movimenti sotteranei. In questo paese hanno ucciso John e Bob Kennedy, Martin Luther King e una lista lunghissima di leader innovatori e "pericolosamente" democratici. Non a caso, un genio liberale come Woody Allen ha dichiarato a Cannes che amerebbe vedere una dittatura di Obama per qualche anno. Per un Newyorchese doc e, dunque, abituato alla tutela della liberta' individuale al di sopra di tutto, e' stata un'affermazione significativa. New York non e' l'America. New York e' un'isola felice (e' il caso di dirlo) di democrazia, apertura mentale, liberta' e pacifismo, difficile da ritrovare altrove negli Usa. Forse San Francisco o le citta' dell'Oregon.... ma niente come New York.
A New York Obama e' riconosciuto, persino da qualche repubblicano (qualcuno sopravvive anche qui) come il leader migliore per il paese e uno dei migliori in assoluto nella storia. Ma non e' cosi ovunque, purtroppo.
La realta' e' che , nel bene e nel male (solo per chi non ama i cambiamenti e la diffusone del virus della democrazia), l'elezione di Obama, arrivata dopo una strepitosa e galvanizzante campagna elettorale, ha rappresentato e rappresenta un momento fondamentale nella storia del paese ma anche un cambiamento epocale e un senso di rinnovata speranza per molti americani. Anche per quelli senza passaporto blu come me.
Ho sostenuto Barack Obama dal primo giorno. Sono stata fra i suoi volontari, quelli che bussavano alle porte. Ho pianto la notte della sua elezione e del suo giuramento. E, a modo suo, senza saperlo, mi ha salvato la vita.
Ecco una pagina del mio "diario" di tre anni fa
Ore 23.30, 28 marzo 2007. Il rullo dei bagagli gira a vuoto. Il mio bagaglio non c’e’. Benvenuta in America, Angela. “tanto domani torno a casa” mi dico mentre un nodo mi stringe la gola e lo stomaco. Voglio vomitare ma non posso, devo parlare con la tizia dell’ufficio “persi e ritrovati” per il mio bagaglio. Intanto io mi sento solo persa e non so se li’, oltre al mio bagaglio potranno ritrovare anche me. Non credo, la tizia e’ annoiata e detesta ripetere le cose ma a quest’ora il mio inglese e’ rimasto indietro insieme a tutta una vita vissuta e improvvisamente abbandonata….
Il tassista mi chiede l’indirizzo, glielo dico e mi chiede che strada fare. Gli dico che scelga lui, tanto e’ tardi e non c’e’ traffico. Il fatto e’ che non ho assolutamente idea di dove sia Jackson Height ne’ il Queens. Per me potrebbe portarmi anche all’inferno e non me ne accorgerei. Anzi, penso di esserci gia’ all’inferno e la cosa pazzesca e’ che mi ci sono cacciata con le mie mani….
La casa e’ bella e grande. Troppo grande per consolare la mia paura. Quella paura che sarebbe diventata la mia migliore amica: paura di non farcela, paura di non avere i soldi per sopravvivere, paura della legge che non conosco, paura delle cose che non capisco, paura di morire di notte per strada e nessuno se ne accorgerebbe, paura di aver scelto disperatamente di vivere e di poter morire per questo….
Sul tavolino nel salone c’e’ un libro: My father’s dream di Barack Obama. Ho sentito parlare di questo senatore che vuole candidarsi alla presidenza degli stati uniti e di quanto tutto cio’ sia considerato folle. Prendo il libro per sfogliarlo e intanto penso a mio padre e al suo sogno giusto di vecchio comunista: di un mondo giusto, di persone giuste e di figli che se fanno la cosa giusta saranno felici. Penso a mio padre e mia madre che ho appena chiamati al telefono per dirgli che sono arrivata e che sto bene. Odio mentire ai miei genitori ma non posso dirgli che mi sento morire e che ho paura e voglio tornare a casa. Non posso. Allora ingoio le lacrime che pero’ maledettamente continuano a scendere e mi sforzo di leggere qualche pagina…
Stavo facendo la conoscenza di Barack Obama, il futuro Presidente degli Stati Uniti e l’uomo che in qualche modo mi avrebbe salvato la vita……
Saturday, May 15, 2010
Shalom
Sono entrata nella Sinagoga del Village ieri con la stessa emozione con cui entrerei al New York Times. Ho un istintivo rispetto per la "sacralita' " senza che cio' coincida necessariamente con un senso di condivisione o di appartenenza. Beh, ovviamente, nel caso del New York Times sono loro che non vogliono che io gli appartenga, perche' io, invece, li renderei miei "proprietari" a vita, senza nemmeno chiedere le clausole del contratto.
Il mio rapporto con la religione e' "variopinto". Mia mamma e' molto religiosa, cattolica praticante, non perde una messa come mio fratello non perde una partita della Roma. Mio papa' e' ateo ma e', allo stesso tempo, una delle persone piu' "spirituali" che abbia mai conosciuto. Credo che l'unione fra una cattolica praticante e un ateo che si amano ancora dopo quasi 50 anni, abbia determinato un senso di curiosita' e di liberta' nella nostre scelte.
Quando vivevo a Napoli, amavo andare nel Chiostro di Santa Chiara a studiare e anche a cercare un po' di quella pace che in una casa con 10 coinquilini mancava assolutamente. Sostanzialmente non vado in chiesa ma ci sono dei preti e delle suore di cui ammiro il lavoro e la capacita' di "parlare e accogliere". Cio' che, secondo me, dovrebbe essere il compito di ogni chiesa.
A New York, pero', ti accorgi di come questo "cattolicentrismo" sia assolutamente un'unicita' italiana. Qui ogni religione ha il suo spazio e la sua chiesa e nessuno si preoccupa granche' di quale sia quella in cui tu vai a pregare e a quale Dio quella preghiera venga rivolta.
Per una serie di casualita', dopo tre anni, il 95% dei miei piu' cari amici sono ebrei. Ho trovato in loro delle persone amabili, generose (si ANCHE economicamente) colte, spiritose (mica Woody Allen e' unico) e instancabilmente curiose del mondo intorno. E che io fossi un'italiana, immigrata e con "precedenti" cattolici ;) non ha mai fatto la differenza. Anzi.
Fra questi amici, c'e' Chava, la rabbina della Sinagoga del Village. Una donna di uno spessore tale da riempirti la vita solo a parlarci per venti minuti. Chava, anzi, la rabbina Koster, ha poi il dono di ridere e sorridere sempre, con quegli occhi che ti avvolgono e sostengono impedendoti di cadere.
Le ho chiesto di andare alla funzione del venerdi sera. Certo mi ha detto. Alessia, la mia nuova (in senso temporale) amica e' venuta con me. La funzione e' di una bellezza struggente, per tre quarti basata su canti meravigliosi dal medioevo ad oggi. Sul libro, poi, che ti danno per seguire, sono riportate poesie, frasi e brani di scrittori, politici e rabbini, da Lincoln a Cohen, da Martin Luther King a qualche anonimo che affido' la sopravvivenza della sua anima a parole scritte sulle mura di quelle vergogne che chiamiamo Lager/ Camp. La famiglia del rabbino Koster e' stata decimata dalla follia nazista.
Per quanto mi riguarda, vigilero' in ogni modo che nulla del genere accada mai piu'. Tutti siamo responsabili e la nostra indifferenza e' colpevole come quella croce uncinata esibita con orgoglio, ancora oggi, da qualche testa di cazzo.
Dopo i canti, il rabbino ha fatto il suo sermone. E ho capito perche' ho voglia, ultimamente, di diventare ebrea. Un discorso pieno di ispirazione sulla responsabilita' umana, su cio' che Dio ha creato ma NOI dobbiamo gestire e sull'impatto che cascuno puo' avere in questo mondo e in quello che verra'. E la condanna alla legge sull'immigrazione appena passata in Arizona e alla condizione degli immigrati e a come ciascuno in questa citta' sia stato, un giorno, un immigrato. E per me che lo sono, ancora, oggi, e' stato come se qualcuno mi stesse abbracciando e dicendo "non sei sola, noi siamo stati e siamo cio' che tu sei". Un'emozione di quelle da tenere fra le cose preziose di questo mio vivere qui. Un'emozione e un senso piu' profondo di disgusto per quella diffidenza per "l'altro" che sta dilagando in Italia, come un'emorragia.
Credo che andro' ancora in Sinagoga. Dio, nei suoi infiniti nomi, e' dove tu lo cerchi, e' nella bellezza e nell'amore per i tuoi simili. Credo solo che si accomodi piu' volentieri al fianco di chi sa tradurre cosi' egregiamente il suo volere.
Il mio rapporto con la religione e' "variopinto". Mia mamma e' molto religiosa, cattolica praticante, non perde una messa come mio fratello non perde una partita della Roma. Mio papa' e' ateo ma e', allo stesso tempo, una delle persone piu' "spirituali" che abbia mai conosciuto. Credo che l'unione fra una cattolica praticante e un ateo che si amano ancora dopo quasi 50 anni, abbia determinato un senso di curiosita' e di liberta' nella nostre scelte.
Quando vivevo a Napoli, amavo andare nel Chiostro di Santa Chiara a studiare e anche a cercare un po' di quella pace che in una casa con 10 coinquilini mancava assolutamente. Sostanzialmente non vado in chiesa ma ci sono dei preti e delle suore di cui ammiro il lavoro e la capacita' di "parlare e accogliere". Cio' che, secondo me, dovrebbe essere il compito di ogni chiesa.
A New York, pero', ti accorgi di come questo "cattolicentrismo" sia assolutamente un'unicita' italiana. Qui ogni religione ha il suo spazio e la sua chiesa e nessuno si preoccupa granche' di quale sia quella in cui tu vai a pregare e a quale Dio quella preghiera venga rivolta.
Per una serie di casualita', dopo tre anni, il 95% dei miei piu' cari amici sono ebrei. Ho trovato in loro delle persone amabili, generose (si ANCHE economicamente) colte, spiritose (mica Woody Allen e' unico) e instancabilmente curiose del mondo intorno. E che io fossi un'italiana, immigrata e con "precedenti" cattolici ;) non ha mai fatto la differenza. Anzi.
Fra questi amici, c'e' Chava, la rabbina della Sinagoga del Village. Una donna di uno spessore tale da riempirti la vita solo a parlarci per venti minuti. Chava, anzi, la rabbina Koster, ha poi il dono di ridere e sorridere sempre, con quegli occhi che ti avvolgono e sostengono impedendoti di cadere.
Le ho chiesto di andare alla funzione del venerdi sera. Certo mi ha detto. Alessia, la mia nuova (in senso temporale) amica e' venuta con me. La funzione e' di una bellezza struggente, per tre quarti basata su canti meravigliosi dal medioevo ad oggi. Sul libro, poi, che ti danno per seguire, sono riportate poesie, frasi e brani di scrittori, politici e rabbini, da Lincoln a Cohen, da Martin Luther King a qualche anonimo che affido' la sopravvivenza della sua anima a parole scritte sulle mura di quelle vergogne che chiamiamo Lager/ Camp. La famiglia del rabbino Koster e' stata decimata dalla follia nazista.
Per quanto mi riguarda, vigilero' in ogni modo che nulla del genere accada mai piu'. Tutti siamo responsabili e la nostra indifferenza e' colpevole come quella croce uncinata esibita con orgoglio, ancora oggi, da qualche testa di cazzo.
Dopo i canti, il rabbino ha fatto il suo sermone. E ho capito perche' ho voglia, ultimamente, di diventare ebrea. Un discorso pieno di ispirazione sulla responsabilita' umana, su cio' che Dio ha creato ma NOI dobbiamo gestire e sull'impatto che cascuno puo' avere in questo mondo e in quello che verra'. E la condanna alla legge sull'immigrazione appena passata in Arizona e alla condizione degli immigrati e a come ciascuno in questa citta' sia stato, un giorno, un immigrato. E per me che lo sono, ancora, oggi, e' stato come se qualcuno mi stesse abbracciando e dicendo "non sei sola, noi siamo stati e siamo cio' che tu sei". Un'emozione di quelle da tenere fra le cose preziose di questo mio vivere qui. Un'emozione e un senso piu' profondo di disgusto per quella diffidenza per "l'altro" che sta dilagando in Italia, come un'emorragia.
Credo che andro' ancora in Sinagoga. Dio, nei suoi infiniti nomi, e' dove tu lo cerchi, e' nella bellezza e nell'amore per i tuoi simili. Credo solo che si accomodi piu' volentieri al fianco di chi sa tradurre cosi' egregiamente il suo volere.
Friday, May 14, 2010
Jack 99
Quando pensi a Manhattan, l'idea che possa esistere un posto dove puoi comprare tutto (o quasi) a 99cents ti sembra inverosimile. Jack 99 e' uno dei posti dove "ogni dollaro conta", come sottolinea ovviamente la pubblicita'. Simile a quelli "tutto a 1 euro" che esistono in Italia, con l'unica differenza che, trattandosi degli United States of America, dove "piccolo" e' un'entita' quasi mai presa in considerazione, lo store e' gigantesco e quando ci entri ti vengono le vertigini, come sempre.
Ricordo che appena arrivata qui, per una settimana non sono riuscita a fare la spesa, nutrendomi di patatine perche' ero assolutamente incapace di rintracciare un qualsiasi prodotto, a parte le patatine (forse perche' posizionate alla mia altezza - o bassezza come sta pensando mio fratello)in quel marasma di confezioni gigantese in cui il mio sguardo naufragava con molta meno gioia (e soddisfazione poetica) di quello del buon Giacomo seduto sul suo "ermo colle". Nel bombardamento di sentimenti che fecero del mio cuore una Vietnam del 2000, nel 2007, l'assenza forzata di cibo era una delle mie consolazioni perche' abbinata all'idea che sarei dimagrita. (si lo so.... le patatine!!!!!!!!!!!)
Ma quella e' un'altra storia e ci torneremo.... of course.
Insomma, ieri, sono tornata da Jack 99. La prima volta era successo quando la rivista Espansione mi aveva incaricato di scrivere un pezzo (da Pulitzer) sui negozi "tutto a 1 dollaro". L'entusiasmo giovanilistico di chi dopo tanto digiuno puo' tornare a scrivere per un giornale che ha anche la bonta' di retribuire i suoi collaboratori, resero il gigantesco Jack assolutamente irresistibile ai miei occhi. Amai ogni scaffare, accarezzai quei prodotti che dicevano "prendimi, prendimi", mi feci una lista di tutto cio' che avrei comprato con 20 dollari e quando, dopo aver pagato (no il capo al giornale non mi aveva chiesto di comprare ma io mi "immedesimo" molto nei miei ruoli, come Bob "c'eraunavoltainamerica" De Niro) usci' fuori con il magone tipico di chi torna a casa dopo una vacanza e sente il cuore pesante di malinconia.
Quando la mia amica Delia, dunque, mi ha chiesto se potevo farle delle commissioni da Jack, ho detto subito di si. Ho controllato i capelli, il viso, la borsa e ho pensato che i miei stivali per la pioggia giallo canarino fossero fighissimi per un posto cosi' trendy. Ovviamente, come sempre in primavera a New York, pioveva.
Va anche detto, che il mio umore faceva concorrenza a quello di Scajola quando si e' accorto che qualche birichino gli aveva comprato una casa, con la differenza che il mio malumore era relativo al fatto che non riuscivo a trovare nessun simile biricchino che questo mese si candidasse a pagare il mio affitto.
Ma Jack mia vrebbe ridato il sorriso. Ne ero sicura.
Ho attraversato a passo deciso la prima meta' del primo piano, con cestino al braccio portato con la stessa classe con cui porterei una Kelly di Hermes, e ho cominciato a cercare cio' che mi serviva. D'improvviso, mi sono gurdata in giro e ho visto una signora che contava e ricontava i suoi dollari e ad ogni conteggio toglieva un prodotto dal cestino. Il mio cuore e' caduto nel mio piede sinistro fracassandosi in mille pezzi e i miei occhi si sono riempiti di lacrime. Dio mio, come ho odiato Jack e i suoi stupidi 99 centesimi, troppi per chi deve sopravvivere con i buoni acquisto del governo. Ho alzato lo sguardo e mi sono resa conto che tutta quella "poverta' " intorno mi stava soffocando e ho mollato il cestino e sono uscita fuori, sotto la pioggia, riparandomi sotto il mio meraviglioso ombrello da 15$
Jack e' meraviglioso quando i 99centesimi non sono una scelta obbligata che a volte non ti puoi nemmeno permettere. Quando tutta la tua vita e' li, 99centesimi sono quel dollaro che ti ricorda che tutto fa schifo.
Ho camminato speditamente per due blocchi, in cerca di un'oasi. E l'ho trovata. So che nella vita, se cerchi un'oasi la trovi sempre. Devi solo resistere e continuare a cercare.
La mia oasi mi si e' materializzata davanti con quelle bellissime lettere: MACY'S; the largest store in the world. Sono entrata quasi come chi sta morendo di sete... una spinta qui una li.... passi veloci.... reparto scarpe.... veloce Angie... se no le lacrime scendono e ti vengono le rughe.... veloce.... eccole.... tutte le scarpe piu' belle del mondo....
Ho provato Jimmy Choo, Cristian Laboutin, Ferragamo, Prada e lui.... Manolo. Per venti minuti ho dimenticato ogni tristezza. Poi ho detto alla commessa che "si sono tutte belle ma cercavo un altro colore"... e sono uscita.
Pioveva meno... stavo meglio... quando sei triste e ti senti che la vita non ti obbedisce, non vai da Jack ma vai da Macy's e sogni e ti ripeti che finche' hai un respiro tu ti farai un mazzo tanto perche' prima o poi quelle scarpine, come se fossi Cenerentola, saranno ai tuoi piedi...
E prima di tornae a casa, sono entrata in una cioccolateria, una di quelle che sono cosi' belle da farti credere che la cioccolata non ingrassi e che quando esci di li' somigli a Julia Roberts. Ho preso la prima cosa che ho trovato (abbastanza piccola da potermela permettere) e quando la cassiera mi ha detto il prezzo l'avrei baciata.
Alla faccia di Jack. La mia felicita' ieri e' costata solo 65 centesimi.
Ricordo che appena arrivata qui, per una settimana non sono riuscita a fare la spesa, nutrendomi di patatine perche' ero assolutamente incapace di rintracciare un qualsiasi prodotto, a parte le patatine (forse perche' posizionate alla mia altezza - o bassezza come sta pensando mio fratello)in quel marasma di confezioni gigantese in cui il mio sguardo naufragava con molta meno gioia (e soddisfazione poetica) di quello del buon Giacomo seduto sul suo "ermo colle". Nel bombardamento di sentimenti che fecero del mio cuore una Vietnam del 2000, nel 2007, l'assenza forzata di cibo era una delle mie consolazioni perche' abbinata all'idea che sarei dimagrita. (si lo so.... le patatine!!!!!!!!!!!)
Ma quella e' un'altra storia e ci torneremo.... of course.
Insomma, ieri, sono tornata da Jack 99. La prima volta era successo quando la rivista Espansione mi aveva incaricato di scrivere un pezzo (da Pulitzer) sui negozi "tutto a 1 dollaro". L'entusiasmo giovanilistico di chi dopo tanto digiuno puo' tornare a scrivere per un giornale che ha anche la bonta' di retribuire i suoi collaboratori, resero il gigantesco Jack assolutamente irresistibile ai miei occhi. Amai ogni scaffare, accarezzai quei prodotti che dicevano "prendimi, prendimi", mi feci una lista di tutto cio' che avrei comprato con 20 dollari e quando, dopo aver pagato (no il capo al giornale non mi aveva chiesto di comprare ma io mi "immedesimo" molto nei miei ruoli, come Bob "c'eraunavoltainamerica" De Niro) usci' fuori con il magone tipico di chi torna a casa dopo una vacanza e sente il cuore pesante di malinconia.
Quando la mia amica Delia, dunque, mi ha chiesto se potevo farle delle commissioni da Jack, ho detto subito di si. Ho controllato i capelli, il viso, la borsa e ho pensato che i miei stivali per la pioggia giallo canarino fossero fighissimi per un posto cosi' trendy. Ovviamente, come sempre in primavera a New York, pioveva.
Va anche detto, che il mio umore faceva concorrenza a quello di Scajola quando si e' accorto che qualche birichino gli aveva comprato una casa, con la differenza che il mio malumore era relativo al fatto che non riuscivo a trovare nessun simile biricchino che questo mese si candidasse a pagare il mio affitto.
Ma Jack mia vrebbe ridato il sorriso. Ne ero sicura.
Ho attraversato a passo deciso la prima meta' del primo piano, con cestino al braccio portato con la stessa classe con cui porterei una Kelly di Hermes, e ho cominciato a cercare cio' che mi serviva. D'improvviso, mi sono gurdata in giro e ho visto una signora che contava e ricontava i suoi dollari e ad ogni conteggio toglieva un prodotto dal cestino. Il mio cuore e' caduto nel mio piede sinistro fracassandosi in mille pezzi e i miei occhi si sono riempiti di lacrime. Dio mio, come ho odiato Jack e i suoi stupidi 99 centesimi, troppi per chi deve sopravvivere con i buoni acquisto del governo. Ho alzato lo sguardo e mi sono resa conto che tutta quella "poverta' " intorno mi stava soffocando e ho mollato il cestino e sono uscita fuori, sotto la pioggia, riparandomi sotto il mio meraviglioso ombrello da 15$
Jack e' meraviglioso quando i 99centesimi non sono una scelta obbligata che a volte non ti puoi nemmeno permettere. Quando tutta la tua vita e' li, 99centesimi sono quel dollaro che ti ricorda che tutto fa schifo.
Ho camminato speditamente per due blocchi, in cerca di un'oasi. E l'ho trovata. So che nella vita, se cerchi un'oasi la trovi sempre. Devi solo resistere e continuare a cercare.
La mia oasi mi si e' materializzata davanti con quelle bellissime lettere: MACY'S; the largest store in the world. Sono entrata quasi come chi sta morendo di sete... una spinta qui una li.... passi veloci.... reparto scarpe.... veloce Angie... se no le lacrime scendono e ti vengono le rughe.... veloce.... eccole.... tutte le scarpe piu' belle del mondo....
Ho provato Jimmy Choo, Cristian Laboutin, Ferragamo, Prada e lui.... Manolo. Per venti minuti ho dimenticato ogni tristezza. Poi ho detto alla commessa che "si sono tutte belle ma cercavo un altro colore"... e sono uscita.
Pioveva meno... stavo meglio... quando sei triste e ti senti che la vita non ti obbedisce, non vai da Jack ma vai da Macy's e sogni e ti ripeti che finche' hai un respiro tu ti farai un mazzo tanto perche' prima o poi quelle scarpine, come se fossi Cenerentola, saranno ai tuoi piedi...
E prima di tornae a casa, sono entrata in una cioccolateria, una di quelle che sono cosi' belle da farti credere che la cioccolata non ingrassi e che quando esci di li' somigli a Julia Roberts. Ho preso la prima cosa che ho trovato (abbastanza piccola da potermela permettere) e quando la cassiera mi ha detto il prezzo l'avrei baciata.
Alla faccia di Jack. La mia felicita' ieri e' costata solo 65 centesimi.
Thursday, May 13, 2010
E ora?
La prima domanda che mi frulla nella testa e' "E ora?' Ora che ho deciso di iniziare a scrivere questo blog... che faccio??? Prendere la decisione, e' stata gia' un'impresa non da poco, sopraffatta come sono dalle incombenze del mio quotidiano. Mica perche' sono una persona importante e occupata.... Al contrario... Esattamente perche' non sono ne' importante, ne' abbastanza occupata o, meglio, non occupata in maniera lucrosa e in grado da garantirmi una vita 'al di sopra di ogni preoccupazione'. La vita di chi ha un portafogli che non vede un biglietto da 50$ da troppo tempo, tuttavia, e' spesso assolutamente e paraddossalmente simile a quella di chi la stessa cifra la considera equivalente ad costo di un pranzo in un ristorante a buon mercato, quasi un diner... Le persone ricche non hanno tempo e non hanno mai contanti. Proprio come me. Sono talmente impegnata nella mia quotidiana sopravvivenza che disdegno persino di rispondere al telefono quando Lisa, la mia amica che e' la gioia della AT&T mi chiama per la quarta volta per raccontarmi che stasera alla Kabbalah c'e' l'evento per la luna piena. E, ovviamente, non ho mai contanti in borsa. Ma nemmeno nelle tasche. A volte nemmeno in banca. Ecco, questo mi distingue dai ricchi.
Un altro grado di separazione sta nel fatto che la mia casa ha la superfice di una delle loro cabine armadio.
Dunque, cio' che si evince (intanto cerco di dimostrare che ho una certa padronanza del Devoto-Oli) e' che non me la passo bene a livello di finanze. La seconda e' che sono a New York e che mi sono cacciata volontariamente in questa situazione. Nessuna costrizione. Se per costrizione non includiamo il fatto che nel mio paese di origine, l'Italia, il merito conta meno di una tetta rifatta, i sogni sono fastidiosi come i calli ai piedi e le speranze sono peccati senza assoluzione.
A parte questo, pero', nessuno mi ha puntato una pistola alla tempia o fatto minacce per costringermi a venirmene qui.
Avendo fatto una di quelle pazzie che si fanno quando hai vent'anni (e io li ho superati da un po' - giusto un po') e vivendo in una citta' che tutti conoscono ma nessuno conosce poi del tutto, ho deciso che questa mia (sana) follia, potesse diventare l'oggetto di questo blog (ma trovero' un vocabolo alternativo perche' blog mi da' un insopportabile prurito alle falangi) con cui spero di farvi conoscere meglio la mia nuova "casa", la mia nuova vita e coinvolgervi nelle mie peripezie di sopravvivenza.
E senza accorgermene ho iniziato!!!!!! Brava me.
Un altro grado di separazione sta nel fatto che la mia casa ha la superfice di una delle loro cabine armadio.
Dunque, cio' che si evince (intanto cerco di dimostrare che ho una certa padronanza del Devoto-Oli) e' che non me la passo bene a livello di finanze. La seconda e' che sono a New York e che mi sono cacciata volontariamente in questa situazione. Nessuna costrizione. Se per costrizione non includiamo il fatto che nel mio paese di origine, l'Italia, il merito conta meno di una tetta rifatta, i sogni sono fastidiosi come i calli ai piedi e le speranze sono peccati senza assoluzione.
A parte questo, pero', nessuno mi ha puntato una pistola alla tempia o fatto minacce per costringermi a venirmene qui.
Avendo fatto una di quelle pazzie che si fanno quando hai vent'anni (e io li ho superati da un po' - giusto un po') e vivendo in una citta' che tutti conoscono ma nessuno conosce poi del tutto, ho deciso che questa mia (sana) follia, potesse diventare l'oggetto di questo blog (ma trovero' un vocabolo alternativo perche' blog mi da' un insopportabile prurito alle falangi) con cui spero di farvi conoscere meglio la mia nuova "casa", la mia nuova vita e coinvolgervi nelle mie peripezie di sopravvivenza.
E senza accorgermene ho iniziato!!!!!! Brava me.
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