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Thursday, February 5, 2015

erano giorni

Erano giorni di turbolenze

Erano giorni di amarezze

Erano giorni di addii

Ogni mattino mi svegliavo e dicevo addio a qualcosa e, straordinariamente, invece del peso dell'addio sentivo la leggerezza della liberazione.

Di fronte a me c'era il nulla. L'ignoto che mi raccontavo meno pauroso per non lasciare che le mie ansie mi fermassero ancora.

Dentro di me finalmente, seppur tardivamente, sopita quella voce nevrotica che suggeriva di restare, insinuava sensi di colpe, diffondeva immagini apocalittiche.

Ero come un bimbo nel ventre di sua madre: al sicuro, con tutto l'essenziale alla sopravvivenza ma non vivo del tutto. Nascere sarebbe stato doloroso. Per me e per mia madre che mi avrebbe rimessa al mondo dicendo "vai via, qui non sei felice". I genitori sentono l'assenza dei figli piu di chiunque altro. No, non bisogna essere genitori per saperlo. Bisogna solo aver abbracciato una madre e un padre in un arrivederci che non ha tempo di ritorno preciso.

Erano giorni in cui mi sedevo sul balcone di casa al mattino, con il sole negli occhi e imparavo a memoria quel panorama. Quasi sapendo che tanta bellezza mi avrebbe aiutata a salvarmi dalla disperazione. Capri, il luccichio riflesso sul mare, il Vesuvio, la collina di Posillipo sotto di me. Il silenzio di una citta diversa da Napoli eppure Napoli fino in fondo.

Erano giorni. Che a pensarli oggi sono anni interi in cui ho accumulato delusioni, stanchezze, disullusioni e offese e ho deciso di morire o vivere finalmente.

Erano giorni. Lunghissimi e brevi come un bacio d'amore: mai sufficientemente infinito.

Otto anni.

Erano giorni e poi sono diventati ricordi in lontananza. Mentre fra una ruga nuova e un momento di stanchezza, sento sotto la pelle la vita mia. La vita. Tutto cio' per cui vale la pena morire.

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