New York e' il mio regalo. Da sei anni
Ecco perche' la mia torta avra' sei candeline. Sei anni fa io sono rinata. Sei anni fa - con dolore e lacrime - sono rinata.
Ero morta. Come solo i morTi che vivono possono essere morti. Morta in un paese che mi aveva tolto ogni entusiasmo e speranza. Non sapevo piu' chi fossi e se fossi brava o un'asina. Non mi sentivo nemmeno piu'. Vivevo in una specie di solitudine in cui il tempo e' un machete che ti taglia a pezzetti. Fino a lasciarti lacera. Non potro' ma perdonare l'Italia, o meglio gli italiani, per tutto cio' che mi hanno tolto. Non potro' mai perdonare l'Italia, o meglio gli italiani, per cio' che ha tolto ai miei genitori, togliendogli in parte me. Continuero' ad amarla con sofferenza perche' e' li che sono diventata Angela. Comunque. Ed e' li' che ci sono le ragioni di pezzi di me che fanno oggi, l'essere umano (splendido!!!! ;) diciamolo) che sono.
Sono arrivata a New York di fine marzo, quando la neve si alternava al sole e non sapevi come vestirti. Io non sapevo nemmeno dove andare, che fare, chi vedere o come fare la spesa in un supermercato. Io ero sola e senza un soldo e piena di paure orribili. Passavo ore attaccata al computer, invece di uscire, per parlare con chiunque fosse in Italia. La malinconia mi stava infliggendo il colpo di grazia.
Ricordo pero' che spinta da chissa' quale disperazione, comincia a prendere puntualmente la metro, dal Queens, dove abitavo, fino a Central Park. Li' camminavo e poi mi fermavo e respiravo. A volte mi stendevo sull'erba a pancia in su e guardavo le nuvole alternarsi al sole. Riuscivo persino a non pensare.
Sono stati giorni di profonda e disperante solitudine. Di abbandono. Di commiato da me stessa. Da quella me stessa che era ormai troppo infelice.
I primi mesi non mi e' stato risparmiato nulla di difficile, negativo, doloroso, inclusa la morte di una delle persone a me piu' care. Al suo funerale non ho partecipato. Non avevo i soldi per farlo. Non perdonero' nemmeno questo all'Italia.
New York, all'inizio ti sfida. Non ti abbraccia amorevolmente per proteggerti. Ti scova se ti nascondi in un angolo. Ti stana se provi a chiudere la porta. Ti provoca, ti sfinisce, ti inquieta, ti tramortisce. Ti mette di fronte a te stessa e ti chiede: tu cosa vuoi? Se non lo sai, se non ti sforzi di capirlo, questa non sara' mai la tua citta'. Se continui a guardarti alle spalle e a compiangerti per le tue "sfortune" questa non sara' la tua citta'. Potrai viverci. Ma non sara' TUA.
"Smetti di essere cosi' italiana" mi disse un giorno una delle mie piu' care amiche. Una di quelle conosciute mentre ancora, come i topi, provavo a camminare rasente il muro per non farmi scorgere. "Smetti di lamentarti sempre". Quello fu lo schiaffo in pieno viso. E l'inizio della mia salvezza.
Ora non cammino come i topi ma faccio sfilate come i giocatori della squadra degli Yankees quando vincono il campionato. E tutti dai palazzi a lanciarmi coriandoli ed applaudirmi. Perche' ora sono nata e sono newyorchese. Perche' ho smesso di aver paura di aver paura e di lamentarmi e di usare parole come "fortuna e sfortuna".
In piu' sono diventata piu' pratica, meno sdolcinata e sicuramente zero formale. Se faccio una cosa o se amo qualcuno e solo perche' ne ho voglia e mi fa stare bene. Se mi fa stare male, chiudo. Senza appello. Perche' il mio tempo in questa nuova vita non dura per sempre ed io ho l'obbligo morale di onorarlo.
In sei anni ho visto molti venire qui. Restando italiani nel modo peggiore: tristi, malfidati, poco generosi, invidiosi, presuntuosi, spocchiosi e lamentosi. Alcuni li ho visti da vicino. Spesso riescono ancora a ferirmi se, come fece la mia amica Ginny, provo a tendere una mano, dare un consiglio. C'e' chi mi ha succhiato energia come con una cannuccia, ripagandomi con disprezzo. Il lato positivo e' che anche quello e' servito a rendermi migliore. E a rendere ancor piu' miserabili loro. Quando chiudo non torno indietro. Senza rimpianti.
Compio sei anni. Sei anni che a raccontarli ci vorrebbe un'altra vita. Ma che provo a sintetizzare in sei parole
NEW YORK GRAZIE PER ESSERE CASA.
Ecco perche' la mia torta avra' sei candeline. Sei anni fa io sono rinata. Sei anni fa - con dolore e lacrime - sono rinata.
Ero morta. Come solo i morTi che vivono possono essere morti. Morta in un paese che mi aveva tolto ogni entusiasmo e speranza. Non sapevo piu' chi fossi e se fossi brava o un'asina. Non mi sentivo nemmeno piu'. Vivevo in una specie di solitudine in cui il tempo e' un machete che ti taglia a pezzetti. Fino a lasciarti lacera. Non potro' ma perdonare l'Italia, o meglio gli italiani, per tutto cio' che mi hanno tolto. Non potro' mai perdonare l'Italia, o meglio gli italiani, per cio' che ha tolto ai miei genitori, togliendogli in parte me. Continuero' ad amarla con sofferenza perche' e' li che sono diventata Angela. Comunque. Ed e' li' che ci sono le ragioni di pezzi di me che fanno oggi, l'essere umano (splendido!!!! ;) diciamolo) che sono.
Sono arrivata a New York di fine marzo, quando la neve si alternava al sole e non sapevi come vestirti. Io non sapevo nemmeno dove andare, che fare, chi vedere o come fare la spesa in un supermercato. Io ero sola e senza un soldo e piena di paure orribili. Passavo ore attaccata al computer, invece di uscire, per parlare con chiunque fosse in Italia. La malinconia mi stava infliggendo il colpo di grazia.
Ricordo pero' che spinta da chissa' quale disperazione, comincia a prendere puntualmente la metro, dal Queens, dove abitavo, fino a Central Park. Li' camminavo e poi mi fermavo e respiravo. A volte mi stendevo sull'erba a pancia in su e guardavo le nuvole alternarsi al sole. Riuscivo persino a non pensare.
Sono stati giorni di profonda e disperante solitudine. Di abbandono. Di commiato da me stessa. Da quella me stessa che era ormai troppo infelice.
I primi mesi non mi e' stato risparmiato nulla di difficile, negativo, doloroso, inclusa la morte di una delle persone a me piu' care. Al suo funerale non ho partecipato. Non avevo i soldi per farlo. Non perdonero' nemmeno questo all'Italia.
New York, all'inizio ti sfida. Non ti abbraccia amorevolmente per proteggerti. Ti scova se ti nascondi in un angolo. Ti stana se provi a chiudere la porta. Ti provoca, ti sfinisce, ti inquieta, ti tramortisce. Ti mette di fronte a te stessa e ti chiede: tu cosa vuoi? Se non lo sai, se non ti sforzi di capirlo, questa non sara' mai la tua citta'. Se continui a guardarti alle spalle e a compiangerti per le tue "sfortune" questa non sara' la tua citta'. Potrai viverci. Ma non sara' TUA.
"Smetti di essere cosi' italiana" mi disse un giorno una delle mie piu' care amiche. Una di quelle conosciute mentre ancora, come i topi, provavo a camminare rasente il muro per non farmi scorgere. "Smetti di lamentarti sempre". Quello fu lo schiaffo in pieno viso. E l'inizio della mia salvezza.
Ora non cammino come i topi ma faccio sfilate come i giocatori della squadra degli Yankees quando vincono il campionato. E tutti dai palazzi a lanciarmi coriandoli ed applaudirmi. Perche' ora sono nata e sono newyorchese. Perche' ho smesso di aver paura di aver paura e di lamentarmi e di usare parole come "fortuna e sfortuna".
In piu' sono diventata piu' pratica, meno sdolcinata e sicuramente zero formale. Se faccio una cosa o se amo qualcuno e solo perche' ne ho voglia e mi fa stare bene. Se mi fa stare male, chiudo. Senza appello. Perche' il mio tempo in questa nuova vita non dura per sempre ed io ho l'obbligo morale di onorarlo.
In sei anni ho visto molti venire qui. Restando italiani nel modo peggiore: tristi, malfidati, poco generosi, invidiosi, presuntuosi, spocchiosi e lamentosi. Alcuni li ho visti da vicino. Spesso riescono ancora a ferirmi se, come fece la mia amica Ginny, provo a tendere una mano, dare un consiglio. C'e' chi mi ha succhiato energia come con una cannuccia, ripagandomi con disprezzo. Il lato positivo e' che anche quello e' servito a rendermi migliore. E a rendere ancor piu' miserabili loro. Quando chiudo non torno indietro. Senza rimpianti.
Compio sei anni. Sei anni che a raccontarli ci vorrebbe un'altra vita. Ma che provo a sintetizzare in sei parole
NEW YORK GRAZIE PER ESSERE CASA.
Concediamoci sempre una possibilità. E' giusto essere severi con sè stessi nel momento in cui lo siamo nella stessa misura con il prossimo.
ReplyDeletePer il resto capisco il tuo senso di riscossa e fai benissimo a goderne. Per dire, lo scorso fine settimana ho avuto modo di trascorrerlo con la famiglia e parentame vario (acquisito) e ho constatato ancora una volta che il meridione d'Italia sia realmente senza scampo. Frasi come: "è triste dirlo ma al sud se non sei raccomandato non lavori" o nel momento in cui il politico di turno, specie se è in famiglia, riesce a piazzare tizia in un posto creato ad hoc aggiungere: "non ho niente da fare e leggo libri durante l'orario di lavoro" , allora mi viene davvero voglia di disconoscere le mie origini! Ma ciò che fà più male è l'attaccare il prossimo per giustificare se stessi. Vigliaccheria, bassezza e miseria umana. E un pensiero mi attraversa la mente ma poi fortunatamente sparisce. Il desiderio di non tornare mai più in quella terra misera ed ingrata.
Questa volta, cara Angela, il tuo post è servito per vomitare uno sfogo che era rimasto strozzato in gola.Ancora una volta, grazie. Grazie davvero.
Leonardo