C'e' sempre un momento, almeno per me, in cui sembra che quell'ossicino gia' fragile, si spezzi definitivamente. Un dolore sordo, impercettibile quasi, di cui apparentemente nemmeno ti accorgi.
Alcuni dicono "la goccia che...". Ma una goccia la vedi, ti arriva sul viso e ti scivola lungo le guance percorrendo un percorso lunghissimo fino all'angolo della tua bocca. La senti. E sai.
Io queste non le chiamo gocce. Non le vedo. Ma so che arrivano. Sempre.
Anzi, diciamolo, sono dentro di me che, come una spugna, le ho assorbite per tanto tempo. Con pazienza, silenziosamente, senza ribellarmi. Una spugna perfetta che passa e assorbe l'acqua.
Acqua di malattie
Acqua di incertezze
Acqua di paura
Acqua di delusioni
Acqua di cose inevitabili
Acqua a gocce sottili che cadono da tutte le parti e assorbi. Perche' tu sei forte. Come una spugna, assorbi tutto e trattieni e ti gonfi. E gonfi.
E poi fermi l'ascensore per aspettare la tua vicina. Non ne conosci nemmeno il nome ma il suo viso ti piace. A volte cammina con un bastone ma non e' anziana. E sorride sempre. E ha bei capelli lunghi e di un bellissimo grigio. E a volte un rossetto che mette ancora piu' in evidenza il suo sorriso bello, largo ma non sguaiato, allegro ma silenzioso.
Mi chiede se mi sono trasferita. Le dico di si e mi chiede se mi piace il mio nuovo appartamento. Il piede brucia, il graffio e' profondo. Provo un sorriso che non riesce e le dico "si certo ma non potro' godermelo visto che hanno messo le impalcature". Lei mi dice che e' vero ma mi guarda. Sa gia' che la spugna e' satura. Siamo gia' al suo piano e lei mantiene la porta e mi dice "mi spiace". Le dico "moriro', senza aria moriro' e io non uso l'aria condizionata". "Dovresti dirlo al management mi dice affettuosamente". Ed io "no, non voglio sentirmi dire che sono la solita italiana che non usa l'aria condizionata". Non mi sembra che il tono di voce sia diverso dal solito a parte che non "difendo" mai il mio essere italiana. Ma lei nota qualcosa e mi dice "don't do this to you" - "non farti questo".
Apro la bocca ma non esce nemmeno un suono. La guardo e so che se quella porta non si chiude qualcosa succedera' ma lei non lascia la mano che blocca la chiusura. Mi guarda e io sto piangendo. Non so come ne' perche'. "Mi spiace" farfuglio mentre tutte le gocce accumulate escono a fiotti.
Allora lei fa un passo e mi abbraccia stretta. E io singhiozzo per un minuto senza dire niente. Solo "mi spiace". Quando mi stacco lei ha gli occhi pieni di lacrime e mi dice "cosa posso fare per te?" E io le dico ancora "mi spiace". Lei mi dice, come se non mi sentisse "vuoi parlare o andare a casa" e io "andare a casa". Mi dice "va bene, ti pensero' ".
Ha lasciato che la porta si chiudesse su quel nostro momento di pura umanita'. Di assoluta e miracolosa umanita'. Ho messo gli occhiali da sole e sono arrivata a casa e mi sono sentita meglio.
Ho imparato, cinque anni fa, a chiedere aiuto. In quell'ascensore non ho dovuto nemmeno parlare.
E in questa citta', tranne che dai miei connazionali, lo trovo sempre. In un modo o nell'altro.
Stavo per cadere in tanti momenti. In cinque anni, in tanti momenti e ogni volta qualcuno ha detto "lean on me - appoggiati o, se preferite, conta su di me". Ci ho messo una vita per imparare a "lean on someone" ma fa bene al cuore saperlo fare.
Esternare i propri sentimenti รจ un atto di forza. Non tutti ne sono capaci.
ReplyDeleteSuccede persino che talvolta un aiuto maggiore lo dia una misconosciuta vicina. In che senso un aiuto? Beh, potrebbe bastare una parola di conforto o una spalla per poggiarsi e lasciarsi andare.
"Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio" (S. Beckett)
;-)
Leonardo Sileo