Ieri una mia amica americana, una di quelle conosciute per caso, americana doc (nemmeno una goccia di sangue italiano nelle vene) ed ebrea, una di quelle, per intenderci, che mi hanno "adottata" aiutandomi ad arrivare fin qui, sopravvivendo nelle mie quotidiane battaglie per la sopravvivenza, mi ha detto "tutto cio' che ti arriva adesso e' meritatao. Meriti tutto perche' hai combattuto come una leonessa e ancora lo fai. Non ho mai conosciuto nessuno usare gli artigli come te. Sempre. Una battaglia feroce piena di umiliazioni che tu hai sopportato senza farti sconfiggere. Me le ricordo io e fanno male a me. Meriti tutto. Meriti di stare qui e di essere felice".
So da tempo che mi vuole bene. Sicuramente da quella volta che, dovendo lasciare una casa in tutta fretta (inclusi i miei mobili) per ragioni troppo lunghe da spiegare, mi arrivo' trafelata sotto casa, alle 7.30 del mattino, con una bustina piccina nella mano stretta a pugno che fece scivolare nella mia tasca, dandomi un bacio sulla guancia arrossata dalle lacrime, "buon Natale" (ma eravamo appena a Novembre). Dentro, piegati in otto, c'erano cento dollari. Conosco da tempo il suo affetto, dunque, ma ieri era quasi ammirazione e mi ha commosso.
In cinque anni, ho incontrato amici "indispensabili" che hanno reso il mio viaggio possibile, il mio stomaco meno vuoto e le mie malinconie meno acerbe. Ho incontrato amici che mi hanno donato amicizia senza limiti. Nessun italiano. Quelli che, di tanto in tanto, mi si sono avvicinati mi hanno sempre delusa, tradita, criticata e giudicata. Ho pochissimi amici italiani qui. Li conto sulle dita di una sola mano.
Molti italiani non amano New York e gli americani. Sono stata in molti posti nella mia vita, in Italia e all'estero. Ho amato ogni citta' e ogni paese e so che avrei potuto vivere ovunque. Per questo non capisco. Non riesco a dire "non mi piace". Persino Vienna, citta' cosi' lontana dalle mie "corde", l'ho amata molto. Avrei poi voluto vivere all'Avana. Ho adorato la Spagna, divorato con gli occhi Londra e travato il mio angolo vitale su una spiaggia messicana dove non mi sarebbe stato difficile invecchiare.
New York pero' e' la mia casa. E come tutte le case non e' perfetta. C'e' sempre una cassettiera di Ikea montata male in cui il cassetto non si apre piu' della meta' o il pomello dell'armadio che continua a staccarsi. A volte c'e' troppo caldo o troppo freddo e la pioggia e' bagnata e la neve gelata. Ma e' la mia casa.
Avete mai visto quel film vecchissimo con Cary Grant "La casa dei nostri sogni?" - In quel film la coppia compra una casa e poi passa un tempo imprevedibilmente lungo, intervallato dalla piu' lunga serie di contrattempi, difficolta', contrarieta', ostacoli che mente umana avrebbe potuto prevedere. Nell'ultima scena, pero', lui e' sulla sua sedia, nel giardino, a leggere il giornale e fumare la pipa. A casa.
Nella mia casa ci sono ancora i "lavori in corso" e a volte sono stanca. A volte sono molto stanca e vorrei mandare tutto a puttane e prendermi un residence. Ma poi esco, mi siedo su una panchina e ancora, come il primo giorno, mi ritrovo a guardare senza stancarmi, ogni singola increspatura che nasce dall'amoreggiare del vento con l'Hudson. E mi sento felice. Sento che questo e' il mio posto, il mio giardino dove sedermi a fumare una pipa leggendo un giornale. Forse perche' ho dovuto, e devo, ogni giorno, cacciare gli artigli e combattere. Di piu' credo, pero', perche' per sopravvivere ho dovuto imparare a chiedere aiuto. E l'ho trovato. Meraviogliosamente. Ho trovato braccia che mi hanno accolto e spalle che hanno sorretto la mia testa pesante e anime belle "americane" che non hanno una bandiera a stelle e strisce tatuata sulla pelle: hanno il gene dell'umanita'. Come me e come tanti. Quelli che sanno amare l'umano e non la razza, non il popolo, non le bandiere.
New York, sei la mia Napoli dell'eta' adulta. La passione del vivere. E t'amo.
So da tempo che mi vuole bene. Sicuramente da quella volta che, dovendo lasciare una casa in tutta fretta (inclusi i miei mobili) per ragioni troppo lunghe da spiegare, mi arrivo' trafelata sotto casa, alle 7.30 del mattino, con una bustina piccina nella mano stretta a pugno che fece scivolare nella mia tasca, dandomi un bacio sulla guancia arrossata dalle lacrime, "buon Natale" (ma eravamo appena a Novembre). Dentro, piegati in otto, c'erano cento dollari. Conosco da tempo il suo affetto, dunque, ma ieri era quasi ammirazione e mi ha commosso.
In cinque anni, ho incontrato amici "indispensabili" che hanno reso il mio viaggio possibile, il mio stomaco meno vuoto e le mie malinconie meno acerbe. Ho incontrato amici che mi hanno donato amicizia senza limiti. Nessun italiano. Quelli che, di tanto in tanto, mi si sono avvicinati mi hanno sempre delusa, tradita, criticata e giudicata. Ho pochissimi amici italiani qui. Li conto sulle dita di una sola mano.
Molti italiani non amano New York e gli americani. Sono stata in molti posti nella mia vita, in Italia e all'estero. Ho amato ogni citta' e ogni paese e so che avrei potuto vivere ovunque. Per questo non capisco. Non riesco a dire "non mi piace". Persino Vienna, citta' cosi' lontana dalle mie "corde", l'ho amata molto. Avrei poi voluto vivere all'Avana. Ho adorato la Spagna, divorato con gli occhi Londra e travato il mio angolo vitale su una spiaggia messicana dove non mi sarebbe stato difficile invecchiare.
New York pero' e' la mia casa. E come tutte le case non e' perfetta. C'e' sempre una cassettiera di Ikea montata male in cui il cassetto non si apre piu' della meta' o il pomello dell'armadio che continua a staccarsi. A volte c'e' troppo caldo o troppo freddo e la pioggia e' bagnata e la neve gelata. Ma e' la mia casa.
Avete mai visto quel film vecchissimo con Cary Grant "La casa dei nostri sogni?" - In quel film la coppia compra una casa e poi passa un tempo imprevedibilmente lungo, intervallato dalla piu' lunga serie di contrattempi, difficolta', contrarieta', ostacoli che mente umana avrebbe potuto prevedere. Nell'ultima scena, pero', lui e' sulla sua sedia, nel giardino, a leggere il giornale e fumare la pipa. A casa.
Nella mia casa ci sono ancora i "lavori in corso" e a volte sono stanca. A volte sono molto stanca e vorrei mandare tutto a puttane e prendermi un residence. Ma poi esco, mi siedo su una panchina e ancora, come il primo giorno, mi ritrovo a guardare senza stancarmi, ogni singola increspatura che nasce dall'amoreggiare del vento con l'Hudson. E mi sento felice. Sento che questo e' il mio posto, il mio giardino dove sedermi a fumare una pipa leggendo un giornale. Forse perche' ho dovuto, e devo, ogni giorno, cacciare gli artigli e combattere. Di piu' credo, pero', perche' per sopravvivere ho dovuto imparare a chiedere aiuto. E l'ho trovato. Meraviogliosamente. Ho trovato braccia che mi hanno accolto e spalle che hanno sorretto la mia testa pesante e anime belle "americane" che non hanno una bandiera a stelle e strisce tatuata sulla pelle: hanno il gene dell'umanita'. Come me e come tanti. Quelli che sanno amare l'umano e non la razza, non il popolo, non le bandiere.
New York, sei la mia Napoli dell'eta' adulta. La passione del vivere. E t'amo.
1 comment:
La chiusa del pezzo racchiude tutto.
L'Italia è un Paese dove diventa sempre più difficile essere cittadini di seria A.
Voglio credere che una metà degli italiani sia migliore della classe dirigente che hanno eletto (si fa per dire eletto).Devo crederlo....
Leonardo Sileo
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